1- Siamo chi siamo

Začít od začátku
                                    

Irene incrociò le braccia sotto il seno, strofinò le mani sulla lana del cappotto cammello e tentò di riscaldarle.
I lunghi capelli neri librarono nell'aria, sollecitati dal vento pungente di febbraio. Le iridi smeraldine puntavano l'edificio che si ergeva, maestoso, innanzi a sé e aveva il mento innalzato, ostentando una sicurezza che non provava.

A onor del vero, la giovane temeva di fare un buco nell'acqua. Conosceva Bruno dei tempi del liceo e la loro frequentazione era stata costellata da reciproca diffidenza e ostinata indifferenza; erano sentimenti che si manifestavano a fasi alterne e senza il verificarsi di nessun reale, o apparente, motivo. Non c'era stata nessuna miccia innescare i piccoli screzi che, sovente, li vedeva coinvolti. Bruno era stato il primo a mostrarsi ostile e lei non aveva potuto non controbattere alle burle e alle velate offese.

Ora, però, non erano più due liceali e Irene sapeva che solo il vecchio compagno di scaramucce poteva lenire la disastrosa condizione economica dell'attività familiare. Non era una stupida ed era consapevole che avrebbe dovuto subire l'onta della mortificazione, ma si sarebbe umiliata con stoica rassegnazione pur di salvare le fatiche del padre e del nonno. Sentiva il peso della colpa gravare sulle proprie spalle: nessun declino si sarebbe mai verificato se lei fosse rimasta a lavorare con il padre, anziché sparire per anni. Non c'era più tempo, però, per procrastinare sul futuro delle finanze familiari, doveva agire per espiare i propri peccati e per salvare il padre, anche a costo di dover stringere un patto con il diavolo. Il diavolo era, in quel frangente, Bruno Ricci, almeno agli occhi contaminati di Irene. Aborriva i giorni in cui, appena adolescente, aveva provato un accenno di infatuazione per lui, scemata quando aveva scoperto che il ragazzo mostrava interesse per ogni essere femminile dotato di polmoni, tutte fuorché lei.

Irene caccio via dalla mente ogni cattivo ricordo e avanzò, fiera, verso le porte scorrevoli dell'edificio. Non si fermò alla reception, nonostante i continui richiami dell'addetta all'accoglienza, ma proseguì, spedita, fino ai piani alti, laddove era certa che ci fosse l'ufficio di Bruno.

«Desidera?» Una voce sottile sovrastò l'eco dei pensieri di Irene e lei si fermò.

Irene osservò la giovane, e avvenente, segretaria bionda. Erano dardi infuocati gli occhi della nuova arrivata e ammonirono, silenti, qualsiasi intromissione della sventurata lavoratrice. «Devo parlare con Bruno Ricci. E tu non proverai a fermarmi!» Irene si guardò intorno e vide un'unica porta; ispirò sommessamente e l'aprì con veemenza, spingendola contro la parete.

«Oh Gesù! Questa deve essere la ragazza di marzo... Ma si è anticipata di tanto.» sussurrò la segretaria, scattando dalla sedia e tentando di raggiungerla.

«Ma cosa diavolo...» Bruno era innanzi alla vetrata, a osservare il panorama, quando udì il tonfo del battente; si voltò e le parole soffocarono in gola appena incrociò il volto di Irene.

«Non sono la ragazza di nessun mese! Vedo che le abitudini amorose del Dottor Ricci sono dure a morire.» Irene aveva udito l'esclamazione della giovane segretaria e stava rimarcando la propria estraneità dai ménage sentimentali dell'imprenditore.

«Dottore, mi scusi, ma la signorina non mi ha dato il tempo di fermarla.»

Irene sbuffò e strinse le labbra per impedire ai peggiori improperi di venir fuori, ricordò il motivo per cui era lì, di certo non per aggredire Bruno, e tentò di chetarsi.

«Non importa, Elena, puoi andare. La signorina è una mia vecchia conoscenza.»

La segretaria sospirò di sollievo e indietreggiò, uscendo dalla stanza.

«Ma guarda chi si rivede! La figliol prodiga è ritornata all'ovile.» Bruno andò a sedere sulla poltrona che era posizionata dietro la scrivania, sfilò il bottone della giacca dall'asola e mostrò il candore della camicia, lasciando intravedere il possente torace. Invitò, poi, Irene ad accomodarsi di fronte a lui, smuovendo le dita. «A cosa devo questo onore

Irene si era incantata a osservare i muscoli di Bruno flettersi e avvertì le proprie fauci inaridirsi; poi, si destò dal torpore dei sensi e intuì il gioco del vecchio nemico. Slacciò la cintura del cappotto e fece scivolare l'indumento dal corpo, gettandolo sul divano presente al centro della stanza. Mostrò l'avvenenza della sua figura, avvolta in un elegante e attillato tubino nero, e camminò ondeggiando, pigramente, le anche fino a raggiungere la scrivania. Sprofondò su una poltroncina e accavallò le gambe, arroventandosi sotto lo sguardo interessato di Bruno. «Ero venuta per parlare d'affari con un vecchio amico. Scusa per l'irruenza, ma temevo che non mi avresti ricevuto.»

«Quando mai siamo stati amici noi due?» L'ombra del sospetto si dissipò e Bruno capì perché Irene fosse lì: l'aveva mandata il padre credendo di imbonirlo con qualche moina. Il suo cuore si infiammò, ancora una volta. «Non abbiamo affari in comune e saresti pregata di uscire dal mio ufficio. Subito!» Il corpo di Bruno vibrò, infervorato dalla disillusione.

«Sei serio? Mi metti alla porta senza lasciarmi spiegare i motivi della mia visita perché da ragazzi abbiamo avuto delle incomprensioni?»

«Mai stato più serio di così! Perché dovrei trattare di affari con te? Non mi risulta che tu ti occupi del mio stesso lavoro. Siamo agli antipodi, ecco perché non siamo mai andati d'accordo e non ho intenzione di sprecare tempo con te. Tra l'altro, ho un appuntamento e non voglio tardare. Quindi, fammi la gentilezza di andartene.» Bruno tuonò, risoluto, seppur un fremito d'insoddisfazione puntellò la colonna vertebrale quando lei si alzò per accomiatarsi.

«Ti accontento, ma non credere che finisca qui. Diventerò il tuo incubo fino a quando non mi ascolterai.» Irene puntò l'indice contro Bruno e andò via dal suo ufficio, a capo innalzato, promettendo a sé, perseverante, che l'avrebbe inchiodato al proprio volere, prima o poi.

Antologia: opposti innamoratiKde žijí příběhy. Začni objevovat