2- Il Linguaggio dell'Amore

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Una volta raggiuntala, seduto al posto di guida, seleziono dal lettore musicale Domani, una canzone dell'artista anglo-libanese Mika: colonna sonora del nostro primo viaggio insieme, a Portalnd, per il Waterfront Jazz Festival, l'estate appena trascorsa.

La guardo e sa che c'è un'unica cosa che desidero al mondo.

Niente recriminazioni se non quelle delle mie labbra quando a malincuore devono lasciare le sue.

Avvio i motori e si parte verso la nostra destinazione. Il cambio automatico favorisce che possa tenerle la mano durante il tragitto, come spesso siamo soliti fare. Le dita intrecciate, palmo contro palmo, il calore del suo si irradia fino al cuore. Ne bacio il dorso vellutato, i guanti deposti sul cruscotto.

In un gesto complice porto la mia mano sul suo ginocchio lasciato scoperto dall'orlo del vestito in tulle giallo, che spunta in contrasto con il nero del blazer dal modello redingote che esalta il punto vita esile sui fianchi generosi. Con il pollice rilascio lievi carezze sul tessuto lucente e setoso delle calze nude look mentre guido adagio godendo del profumo fruttato dei suoi capelli, dal momento che il suo capo s'abbandona sulla mia spalla.

Giunti a destinazione, un nuovo bacio sulla fronte la ridesta dal silenzio che ha avvolto il nostro viaggio, accompagnato solo dalle note frizzanti della musica e dal rumore ovattato del traffico che giunge lontano dietro i vetri dai bordi ornati di brina invernale, sulla quale soffia caldo il respiro del nostro amore.

Centottanquattro metri, in pochi minuti, ci catapultano sul tetto di Seattle. In cima alla Space Needle, ho prenotato un tavolo allo SkyCity Restaurant, in un angolo intimo che gode della migliore visuale sulle Snoqualmie Falls vestite dal rosa al rosso, per l'occasione.

Jen

Poe ha pensato proprio a tutto e io, io sono una brontolona seriale, livello nonna Evelyn; se continuo così finirò per superarla presto.

Lo avverto impugnare le maniglie della sedia a rotelle, lo stridere dei guanti di pelle che vi s'accartocciano intorno è inconfondibile. Ci addentriamo in un paradiso in penombra. La calda illuminazione soffusa sfuma lungo i bordi della vetrata circolare panoramica, intorno al cui perimetro sono disposte sedute in pelle liscia bordeaux opportunamente distanziate tra un tavolo e l'altro. Vi sono anche altri coperti, a riempire lo spazio centrale, ma il mio pilota ne ha scelto uno con veduta. Piccolo problema: nonostante il semaforo verde per i clienti speciali, le sedute a noi riservate sono sopraelevate da gradini di marmo. Allo sguardo a dir poco contrariato del generale Dameron, vedo il commis di sala sbiancare più della camicia che indossa. Estremamente costernato ci propone un'altra postazione priva di ostacoli, il tutto accompagnato da un omaggio della casa per l'omissione di un simile particolare, oltretutto non visibile dalle foto sul sito del locale, esaminate da Poe, al fine di evitare inconvenienti. Con una richiesta richiamo l'attenzione del mio accompagnatore per smorzare la tensione: "Poe," lo attiro a me con dolcezza, mentre battibecca con il responsabile di sala sul fatto che non se ne parli di cambiar posto. "Mi aiuti a sfilare il cappotto? Qui è molto caldo," insisto.

Per una volta, la regina delle polemiche placherà la diatriba: non mi piace avere gli occhi addosso e, sarà il ronzio meccanico del mio bolide, sarà che un disabile pare sempre un alieno, complice il mio accompagnatore che attira, arcigni, gli sguardi femminili a me rivolti, facciamo storcere il naso ai perbenisti. E io, le occhiate della gente, le sento affondare nella carne come lame affilate, insieme al loro sarcasmo e al gusto per l'orrido che li contraddistingue.

Si sentono così normali signore più che mature, siliconate e scosciate, strabordanti in vestiti di due taglie in meno insieme al toy boy di turno, senza contare il cliché più antico del mondo, quello del quale anche il mio genitore è reo confesso: il fedigrafo ricco e attempato che fa sfoggio dell'accompagnatrice di turno, coetanea della figlia. Eh sì che il concetto di normalità è sopravvalutato. Qui di coppie consolidate ce ne son poche, sembra più la sagra della trasgressione.

Partita vinta, prendiamo posto; non saranno quattro o cinque scalini a rovinare la splendida serata che l'uomo più meraviglioso del mondo ha preparato per me, con tanta premura. Mi trae a sé sollevandomi con un braccio, per la vita. Poso i palmi sul suo petto, ancora imprigionato sotto lo spesso tessuto dell'elegante spigato che indossa. Vicinissima alla sua bocca, estasiata dalle sue lucenti perle di ossidiana che mi trafiggono da dietro i rivoli ritorti di cioccolata calda, i quali ricadono sulla fronte, non resisto: lascio l'impronta delle mie labbra, rosse di un make up al sapore di ciliegia, sulle sue ambrate e disegnate sull'ovale irsuto il cui dolce pizzicore mi lascia pregustare ogni sorta di fantasia proibita in merito al dopo cena che ci attende, e che sono certa lui, pragmatico e meticoloso, non abbia lasciato al caso, per viziarmi a dovere.

In un gesto fluido e sensuale mi sfila il soprabito, sollevandomi leggermente da terra, circondandomi tra le braccia per baciarmi ancora, fino poi a depormi sul divanetto dove consumeremo la nostra cena. Uno Chardonnay dei vigneti della Wellamet Valley accompagna l'antipasto a base di ostriche e sashimi di salmone servito accanto alla sua salsa di soia.

"Sei stata grande, prima," mi imbocca l'aviatore, porgendomi un pezzetto di salmone inforcato tra le hashi. Ricambio, ponendo tra le sue labbra un mezzo guscio d'ostrica, di cui il mio cavaliere divora il frutto avidamente mentre con le dita ripulisce uno sbaffo del liquido proprio del pregiato mollusco.

"Ci diamo il cambio. Mi hai fermato in tempo, queste zucchine non sono capaci di riservare un tavolo con richieste specifiche: che so, per esempio se avessimo avuto allergie alimentari o intolleranze."

"Quanto brontoli," non resisto e gli poso un bacio sulle labbra pregne delle note agrumate del vino bianco dalle bollicine frizzanti. "Se qualcuno parla troppo, in una coppia, l'altro deve sopperire, non trovi?" Complice la penombra e la postazione defilata ci lasciamo andare a un'effusione più ardita. La città gira intorno a noi, con le sue mille luci. Fluttua sotto i nostri piedi attraverso pavimento trasparente di una delle costruzioni più iconiche d'America. La luna nel palmo di una mano, solo per me. Per farmi felice. Non te la chiedo, tu me la regali mentre ti bacio e sento l'arco delle tue labbra tendersi contro le mie, assetate della tua tenerezza.

Una risata cristallina echeggia sussurrata al mio orecchio. "Sei una bisbetica, Jen Lindley. Dove s'è visto mai che t'improvvisi maestra di diplomazia?"

"E tu sarai sempre una testa calda che insegue draghi barbuti, nelle proprietà altrui, generale indisciplinato. Ti ci vorrebbe un richiamo per iscritto."

"Quarantotto miglia, circa un'ora di macchina per tutto questo, e mi merito un richiamo?"

Un musetto corrucciato fa capolino tra la barba scura.

Il mattino dopo, mal di testa a parte per i bagordi notturni, ricorderò solo i tuoi occhi adoranti, stelle luminose in una camera rischiarata solo dalle luci lontane di una città che non dorme. Le mani sapienti che percorrono le ruches, che dalle spalle circondano il décolleté adornandolo, fino a sfilarle lungo le braccia. Le stesse mani che, con cura, srotolano le autoreggenti al di sotto del tulle dell'ampia gonna. Le stesse che poco più tardi affondano le dita scure e affusolate nei miei fianchi mentre la punta del mento, irsuta, traccia una scia elettrica lungo la curva di Venere, dalla nuca ai lombi. Le stesse che circondano il mio petto mentre duole dal desiderio di godere del loro calore. Le mani che scorri dal ventre, alla mia femminilità, in un crescendo di passione nel linguaggio dell'amore attraverso il quale mi avvinci a te, indissolubilmente.

Cedo. Hai vinto. Una brontolona prevenuta: questo sono. Una zitella inacidita dal tempo e delle circostanze. L'amore esiste perché tu esisti, e lo rendi reale, Poe Dameron. Fatto di gesti non semplici, nei momenti in cui vorrei scomparire e tu mi dimostri che non sono una disabile ma una donna.

Antologia: opposti innamoratiWhere stories live. Discover now