3- Comandi, generale Dameron

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"Voglio tornare a casa, a Lacey. Non posso chiedere a mia sorella di farmi da baby sitter a oltranza, Lily è una bambina impegnativa. Dobbiamo tornare, non posso restare."

"Sono le quattro del mattino, Jen, e ci siamo addormentati da non molto. Dammi qualche ora di sonno ancora, sono stanco per rimettermi a guidare adesso. Domani ci alziamo con calma e dopo colazione partiamo, okay?"

Ti avvicini per baciarmi su una guancia ma una nuova ondata di gelo s'interpone a bloccare ogni tuo intento.

"Jen, lo sai io non capisco," sbuffi scuotendo le braccia animatamente e la tua voce di dolce non ha più nulla. "Che c'è che non va? Sai quanto è difficile organizzare tutto per passare un fine settimana noi due. È dalla vacanza in Florida che non ci prendiamo un momento per noi. Sai che amo Lily come sia mia, ma volevo un po' di tempo per noi. Credevo ti facesse piacere. Cosa ho sbagliato? Sentiamo."

"L'aver attirato l'attenzione di tutti al ristorante, ieri sera, per esempio?"

"Che?" scendi dalle nuvole.

"Hai capito bene! Tu e la tua mania di impartire ordini. Fuori dal tuo mondo militare non sei il generale Dameron che comanda i suoi sottoposti. Sei nessuno, come me."

Poe

"Ma che stai dicendo, Jen? Io ho insistito su un nostro diritto," sono senza parole. Donne, vai a capirle. Cerchi di fare qualcosa di buono e non sono mai contente.

"Mi hai messa in imbarazzo. Hai alzato la voce con il commis di sala. Potevamo prendere un tavolo centrale, ovviando al problema delle barriere architettoniche."

"Io non ci posso credere che questa conversazione senza senso stia avendo luogo nel cuore di quella che doveva essere una notte tutta per noi. E sto gelando, oltretutto, e morendo di sonno dopo gli straordinari post cena."

"Non te li ha chiesti nessuno! Fai tutto tu, come sempre."

Mi mordo la lingua sull'ultima frase.

"Non m'è parso ne fossi particolarmente dispiaciuta, poco fa," puntualizzo tagliente come la lama di un nakiri.

"Non ci arrivi proprio, Dameron. È inutile. Non ci provi neanche dall'alto della tua saccenza. Sei troppo abituato a vivere da solo, agire da solo, pensare da solo, decidere da solo. Forse dovresti cintinuare a startene da solo: è il tipo di vita che fa per te. Non è cattiveria, lo so. È che non sai ascoltare gli altri."

La requisitoria al mio indirizzo arriva con la precisione di un dardo infuocato che spacca a metà il suo centro. Colpito e affondato, mi rivolgi le parole più amare che potessi udire. Tu, alla quale ho donato tutto di me, compresi i ricordi amari di un passato fatto di una solitudine che non ho scelto in sorte.

Gli occhi rivolti alla finestra non riesco a guardarti. La neve ha ricominciato a cadere copiosa. Si posa sui tetti, non fa rumore. Cade dentro di me, sull'anima dolente. Ho freddo.

– Abbracciami, Jen. Non mi lasciare anche tu.

Vorrei soffiartelo sul cuore ma sei distante anni luce, chiusa nel silenzio delle tue ferite. Posso allungare una mano per toccarti eppure non sei mai stata così lontana da me come adesso. Afferri la camicia da notte bianca, in pizzo, che si posa sulla tua pelle candida rendendoti bella al pari di una ninfa. Non mi guardi. Ti volti di spalle, su un fianco, avvolta dal piumone. Come un automa faccio lo stesso, rinfilo boxer e la t-shirt e torno sotto le coperte. Guardo la neve fuori dalla finestra. Cade silenziosa sui tetti e in questa camera d'albergo, tra noi.

"Mi dispiace. Io non volevo metterti a disagio."

Non avrei mai pensato di farti stare peggio.

Non una parola fa eco alle mie scuse. Una puntura sorda si affaccia tra le narici che pizzicano e la gola. Stringo gli occhi e tremo dentro al solo pensiero di perderti. Perché vanno via sempre tutti. Mi chiedo solo quando accadrà di nuovo.

È solo una questione di tempo.

Sei troppo superficiale, Dameron.

– Frena la tua esuberanza.

– Sei troppo perentorio. Troppo severo. Troppo indulgente. Troppo volitivo. Troppo di tutto.

Guido piano, attraverso la luce lattiginosa di un'alba amara che adduce i postumi di una notte insonne. Il silenzio ci avvolge di un manto che non scalda. I pallidi raggi del sole illuminano i tuoi capelli d'oro. Sciolti oramai – la bella acconciatura raccolta di ieri sera è un ricordo – ricadono sul cappotto nero da cui spunta l'orlo in tulle del meraviglioso vestito giallo che ho scelto come regalo. L'ho scelto io. Faccio sempre tutto io, come hai detto. E poco importa ti stia un incanto, forse a te nemmeno piace. In fondo non te l'ho chiesto, l'ho visto e immaginato su di te, presentandomi alla tua porta a misfatto compiuto.

La strada si spiega davanti a noi come una striscia di pergamena che taglia perfettamente a metà il mare delle aghifoglie che pungono le punte del sole ormai alto. Rosseggia sulle palpebre e inforco gli occhiali scuri. Voltata verso il finestrino per tutto il tragitto, tiro giù l'aletta parasole dal lato passeggero. È più forte di me: l'ho fatto di nuovo. È un istinto. Non ne posso fare a meno. Tu lo chiami essere soffocante. Nella mia lingua si chiama amore.

Quando non ci speravo più una gelida manina sfiora il dorso della mia. Il cuore manca un battito. Palmo contro palmo, devo sentirti per capire che è vero.

Porti la mia mano al viso. Per la prima volta, dopo ore, il timido calore di una lacrima bagna il dorso gelido della mia mano.

Le dita scorrono per asciugarla e mentre la strada scorre davanti a me, il rivolo diviene un delta inarrestabile.

Allungo un braccio per avvolgerti. Tenera nascondi il viso sulla mia spalla, la tua piccola mano sul mio petto. Resta, Jen. Resta. 

Antologia: opposti innamoratiWhere stories live. Discover now