Un vodka lemon e un flirt

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Finalmente ritornavo ad essere libero. Libero dalle catene che mi tenevano prigioniero. In quel momento non mi fregava un cazzo di niente e nessuno. Superai i due fidanzatini, sapendo che se mi avessero chiesto il motivo avrei semplicemente risposto che volevo lasciargli un po' di intimità.
La verità era che non sopportavo la loro vista. Non sopportavo vederli insieme, felici. Con quei loro sorrisi innamorati e i loro occhi illuminati. Con i loro abbracci e le loro carezze. Con le loro risate.
Non mi accorsi di averli lasciati in dietro a tal punto da averli persi di vista, ma ormai mancava poco e avrei raggiunto Haruo; non mi sembrava il caso di fermarmi, perciò continuai dritto per la strada.
I capelli legati in una mezza coda svolazzavano dietro le mie spalle, lasciando che il vento graffiasse direttamente il mio viso. Più aumentavo la velocità e più lo sentivo infrangersi contro la pelle. Amavo quella sensazione. Riposi una ciocca dietro l'orecchio. La luna era coperta da alcune nuvole grigie; non mi piaceva per niente. Le strade erano colme di persone che si scostavano non appena sentivano il rumore delle ruote che sfregavano contro l'asfalto irregolare. Adoravo vedere crearsi una via non appena si accorgeva o del mio arrivo; in particolar modo, i bambini mi guardavano come se fossi un eroe con qualche super potere: i loro sguardi affascinati, le loro grida di gioia e i genitori che, inutilmente, cercavano di spostare la loro attenzione su qualcosa che fosse più adatto alla loro età. Ogni tanto mi fermavo vicino qualche panchina e mi mettevo un po' in mostra, giocandomela con qualche salto appariscente: sguardi estasiati e applausi erano sempre ben accolti.
Durante quella sera, avevo voglia di essere apprezzato. Mi sentivo inutile e trasparente. Sembrava che nessuno avesse bisogno di me, non come io avevo bisogno di loro. 
Era il weekend e la chiusura della scuola era ormai vicina, così come l'estate che bussa a già alle porte. Le persone passeggiavano tranquille, godendosi la serata. Io avevo già dato il mio esame, attendevo soltanto i risultati. 
Dopo una delle mie classiche scenate, decisi che era arrivato ormai il momento di raggiungere definitivamente Haruo; sicuramente ci sarebbe stato abbastanza tempo per divertirsi in sua compagnia.

***

«Quindi adesso io non posso flirtare con qualcuno ma tu puoi avere una fidanzata? Non ho capito bene come funziona». Ero incazzato e non perfettamente lucido, poiché quel vodka lemon stava facendo effetto più di quanto avessi creduto.
«Forse non hai ben capito la situazione. Hai bevuto un drink offerto da uno sconosciuto, senza sapere se ci abbia messo qualcos'altro dentro e ti stai incazzando se sono sospettoso?». Probabilmente Kojiro aveva anche ragione, ma io ero ancora furioso con lui per via delle scenette con la sua ragazza e non avevo intenzione di dargliela vinta. Non quella sera.
«Oh mio dio Kojiro, rilassati! È un fottutissimo drink che mi ha gentilmente offerto il barista, probabilmente ci vuole solo provare. Cosa c'è di male se lo accetto? Credi di essere l'unico qui che può divertirsi?». Haruo e Akira ci guardavano con occhi sgranati, sorpresi dalle nostre reazioni.
«Mi spieghi che cazzo stai dicendo, adesso? C'è di male che sei già meno lucido e che non sei tu. Se fossi stato veramente tu non lo avresti mai accettato, perché sei molto più razionale di così. Mi spieghi che cazzo c'hai in quella tua testa stasera o no?».
La testa mi stava esplodendo. Non sopportavo il fatto che nonostante tutto lui continuasse a preoccuparsi per me. Non sopportavo il fatto di non riuscire ad odiarlo. E soprattutto non sopportavo il fatto che avrei voluto soltanto scappare via e non sentire i suoi consigli, magari scappare con quel barista figo che non mi aveva staccato gli occhi da dosso da quando avevamo messo piedi lì dentro. Come ripicca finii di scolare totalmente il bicchiere, lasciando solamente lo spicchio di limone e il ghiaccio.
Il suo sguardo si indurì. Strinse i pugni con le braccia ancora distese lungo il corpo. «No» Risposi. Bastò per farlo scattare.
«Va bene. Basta così. Ne ho avuto abbastanza» Disse ed improvvisamente afferrò il mio braccio, trascinandomi con tutta la forza che possedeva in corpo fuori dal locale. «Lasciami andare, cazzo. Lascia il mio fottutissimo braccio!» ma lui continuò fino a quando non fummo fuori, dove l'aria fresca che precedeva la pioggia si intrufolò nei miei vestiti e mi fece rabbrividire.
«Smettila. Finiscila di fare qualsiasi cosa tu stia facendo adesso. Se tu fossi stato veramente lucido non avresti mai accettato quel bicchiere e Dio, non guardarmi così. Non saremmo mai dovuti entrare in quel locale» Passò la mano sul suo volto, strofinando i polpastrelli sulle palpebre. Sbuffò; ma in quel momento ero io quello che tra i due si stava innervosendo maggiormente. «Adesso, per l'amor del cielo, spiegami che cazzo hai stasera». Inspirai profondamente, sapendo perfettamente dove saremmo andati a finire. Quella conversazione prima o poi sarebbe dovuta avvenire, perché alla fine tutti i nodi vengono al pettine. «Il problema non sono io stasera, ma tu dopo quel giorno. Fai finta che non sia successo nulla, ti comporti come se potessimo fingere che niente sia cambiato tra di noi. Ma davvero credi che io possa dimenticare una cosa del genere?».
Si agitò, oppure si irritò, o si spazientì; non riuscii mai a capirlo.
«Oh no, assolutamente no. Non avremo questa conversazione qui. Non qui, non adesso e non con te mezzo ubriaco»
«Non sono ubriaco. Posso sostenere questa conversazione»
«No che non puoi. Domani mattina ne riparleremo, quando sarai tornato il solito Kaoru. Quello razionale, non quello che beve drink senza sapere il contenuto. E smettila di comportarti in questo modo. Non ti si addice».
Mosse un passo in avanti per rientrare nel locale, ma lo bloccai con la mano. «E come mi starei comportando?»
Il suo sguardo era duro, truce. Mi incatenò nei suoi occhi, intrappolandomi in una voragine di emozioni confuse e sconclusionate. «Come se non ti fregasse un cazzo di nessuno, tu per primo» Lo lasciai andare. Rientrò nel locale quasi immediatamente, lanciandomi uno sguardo prima di varcare la soglia. Ero pietrificato. Non mossi un solo muscolo per diversi minuti, fissando un punto indefinito davanti a me. Da quanto tempo continuavo a farlo? A comportarmi come nessuno significasse qualcosa per me? Non credevo nemmeno di aver mai iniziato.
Ed io ero testardo da morire e avevo bisogno di tempo, ore e notti per capire bene cosa intendesse dire. Perciò rientrai anche io nel locale, soltanto per vedere ancora una volta Kojiro che rideva e scherzava con la sua ragazza. Aveva tutto il diritto, lo sapevo bene. Ma proprio perché ce l'aveva, ero convinto che anche io avessi il diritto di fare ciò che più cazzo mi pareva.  Avrei voluto fare qualsiasi cosa pur di ignorare quella fitta dolorosa al cuore, oltre che la gelosia. E l'invidia. Perché c'era anche lei, l'invidia di non essere al posto di Akira, al suo fianco, ridendo e scherzando, sotto le sue attenzioni. Eppure sentivo che sarebbe stato sbagliato nei suoi confronti, perché io conoscevo i suoi sentimenti. Sapevo che mi amava. E sapevo che gli avrei solo fatto del male, accettando le avances del barman. Eppure... c'era sempre un eppure tra di noi. Qualcosa che ci impediva di vivere fino in fondo le nostre emozioni. Qualcosa che si metteva tra di noi e che ci ostacolava. Qualcosa o qualcuno. Ed ero convinto - e lo sono ancora - che quell'ostacolo spesso non fosse nient'altro che la semplice mancanza di comunicazione. Eravamo testardi e giovani; degli adolescenti in piena fase di sviluppo che non sapevano come comportarsi di fronte alla situazione in cui si erano infilati.
Perciò io stetti al gioco del barista. Ci scambiammo sguardi, risatine, sorrisi malamente nascosti, battute e tocchi sfiorati. Ordinai un altro cocktail, avvertendo il bisogno di una spinta. Sentivo il suo sguardo bruciarmi, consumarmi e osservarmi mentre cercavo in tutti i modi di dimenticare come lui avesse ferito me, mentre ero impegnato a ferire lui. Lo vidi farmi segno di avvicinarmi da sopra il bancone e così feci. Mi sussurrò qualcosa all'orecchio che compresi solo per metà, tra l'alcol che circolava nelle vene e la musica ad altissimo volume, ma che scatenò una mia risata. Ritornai sullo sgabello, continuando ad osservarlo mentre lavorava. Non era nemmeno brutto, anzi: se soltanto non avessi amato Kojiro, probabilmente sarebbe stato davvero il mio tipo. Continuai a bere ciò che avevo ordinato, non distogliendo un solo momento la mia attenzione da ciò che faceva. Avevo troppa paura di girarmi e vedere Kojiro baciare Akira o peggio, non vederli proprio. Avrebbe significato soltanto una cosa e non avrei decisamente retto.
Sentii la sua mano, grande e liscia, tratteggiare la linea della mia mascella. Possedeva un tocco delicato, deciso e perfettamente esperto. Passò lungo tutto il mio viso, voltandolo nella sua direzione. Lo guardai negli occhi: i suoi erano azzurri, limpidi, anche se con le luci neon non era molto chiaro; completamente diversi dai suoi, rossi come solo il fuoco era. Spostò lo sguardo sulle mie labbra e io chiusi gli occhi, beandomi di quel contatto. Poi mi avvicinò a sé e sì, mi baciò. Durò diversi secondi. Forse minuti. Ignorai la vocina che urlava nella mia testa che era sbagliato nei confronti di tutti, che non era altro che un errore. Ma ero, come sempre, fottutamente testardo. Avvolse il mio collo nelle sue mani, così gentili e decise. Era davvero bravo, c'era da ammetterlo. Si staccò da me solo quando sentii un cliente richiedere di essere servito; ma, nonostante tutto, non smise di guardarmi per un solo secondo. Io amavo sentirmi desiderato. Volevo sapere, avere la certezza che qualcuno fosse interessato in me. Forse fu proprio quello il motivo che mi spinse a baciarlo una seconda volta: il fatto che Kojiro stesse ancora con quella fottuta ragazza, nonostante la sua dichiarazione. Era vera, lo avevo capito. Ma cosa avrei dovuto farmene, se non l'avesse lasciata? Io lo amavo e volevo amarlo. Ma se non me ne avesse dato la possibilità, cos'altro avrei dovuto fare se non cercare di dimenticarlo? Non mi aveva nemmeno dato la possibilità di dirgli come mi sentivo io nei suoi confronti. Aveva semplicemente cercato di evitare come la peste l'argomento, non lasciandomi un momento per parlargliene. Si comportava come se, in fondo, anche a lui non importasse di ciò che provava.
La seconda volta fui io ad avvolgerlo nelle mie mani, avvicinando a me. Avevo bisogno di impegnare il mio corpo, così che la mia testa non potesse più pensare. Volevo svuotarla da tutti quei pensieri che, piano piano, mi spingevano verso il fondo. Sentivo di annegare, di essere sopraffatto da quelle emozioni così intense che non riuscivo a capire. Però non sapevo che, in verità, tutte quelle storielle che mi raccontavo non erano altro che cazzate. Lo baciavo con trasporto, immaginando che al posto del suo viso ce ne fosse uno totalmente diverso; uno che aveva il naso all'insù; uno che aveva un sorriso mozzafiato; uno che era decorato da capelli verdi, soffici al tatto. Le mie mani vagavano lungo il suo corpo, in cerca di un maggiore contatto. Sulle spalle, sul collo, sulla nuca, sulla guancia. Le spostavo ovunque, avvicinandolo il più possibile al mio corpo. 
Riaprii gli occhi, osservandolo attentamente. Aveva i capelli scompigliati e le labbra arrosate, ma non aveva perso il suo fascino. Mi guardava con lussuria, muovendosi deciso. Era circa l'una di notte e lui stava per concludere il suo turno. I suoi occhi dicevano tutto ciò che non usciva dalle sue labbra; era come un libro aperto. Capii dove voleva arrivare e cosa voleva fare. Non mi tirai indietro. Stetti ancora al suo gioco, nonostante sentissi una strana sensazione provenire dal petto. Sapevo quanto quello, più di tutto, fosse sbagliato. Più degli sguardi, più delle provocazioni, più dei baci. Perché avrei dovuto essere solo suo, almeno in quel modo. Eppure.

Eppure io accettai la sua mano, quando ritornò dopo essersi cambiato. Circondò il mio fianco con il braccio e lo guardai istintivamente, accennandogli un sorriso. Quando fummo sul punto di uscire dal locale, decisi che sarei stato forte. Decisi di girarmi. E non vidi né Kojiro né Akira. 

La promessa del ventidue aprile - matchablossomDove le storie prendono vita. Scoprilo ora