Pentimenti

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Parcheggio la moto, notando dei fiori crescere vicino al marciapiede. Devono essere piante molto forti per crescere in mezzo al cemento. I suoi petali, nonostante il colore delle luci artificiali presenti lungo la strada, rimane particolare, unico: sono rosa, proprio come i fiori di ciliegio. Scendo e mi sollevo il casco dalla testa, lasciando i capelli corti essere ulteriormente scombinati dal vento. Mi avvicino e ne raccolgo qualche petalo mettendoli sul manubrio, nonostante io sappia che non potranno durare più di qualche ora. Sembrano perfetti lì, in mezzo al nero della struttura del veicolo. Dopo essermi assicurato di aver spento correttamente il motore, svolto un angolo, pentendomi di tutte le scelte che ho fatto questa sera. Di averlo pensato, di aver desiderato di vederlo e di aver agito d'impulso. Forse però, per una volta, speravo di non rimanere ferito. Una veloce lacrima attraversa coraggiosa la mia guancia, mentre a stento trattengo i singhiozzi. Faccio un passo indietro, quasi inciampo in un sasso; mi giro e salgo sul sedile della moto, gettando per terra quei petali che pochi attimi prima avevo ritenuto perfetti. A quanto pare mi sbagliavo. Un ruggito, il motore che veniva messo in moto, e subito dopo sono qui che sfreccio sulle strade da poco asfaltate. Sono lisce e la moto scorre come se stesse correndo su dell'olio.
Il buio del cielo inghiottisce tutto ciò che mi lascio alle spalle, non dandomi la possibilità di voltarmi e farmi cambiare idea. Quasi nessuna macchina si aggira, qualcuna di rado mi sorpassa. Tutto scorre velocemente: gli oggetti mi passano accanto senza lasciare una singola traccia nella mia memoria. Il paesaggio che mi circonda corre veloce come una lepre mentre cerca di stare al passo con la velocità della mia moto. Nella mia mente sono ancora ben impresse ancora le immagini di pochi minuti fa. La sua mano sul suo fianco, l'altra sul suo collo. Le sue labbra sopra le sue; le sue e non le mie. La gelosia che ho provato. Quel infido e sporco sentimento che ti assale, partendo dallo stomaco fino ad arrivare al tuo cuore. Quella sensazione che il tuo cervello categorizza come inconveniente, scomoda, ma che non elimina. La gelosia, quella brutta bestia. 

Riconosco il vialetto di casa da lontano; rallento mano a mano, fino a ritornare sotto i 20 km/h. Faccio attenzione a non svegliare l'intero vicinato mentre sollevo la saracinesca del garage, parcheggiando la moto al centro. 
Entro in casa con la testa vuota, la visione sfocata e i sensi pronti a captare qualsiasi suono o rumore. Entro in bagno e mi guardo nello specchio. Occhi rossi per aver trattenuto le lacrime, i capelli scompigliati dal casco e la voce che a malapena esce dalle mie labbra mi fanno sembrare più un drogato che uno con il cuore spezzato. Solo dopo aver sussurrato un leggero 'vaffanculo' al riflesso nello specchio, vado in camera e mi getto sul letto a peso morto. Voglio urlare. Voglio far uscire tutto quello che mi sto tenendo dentro, ma non ci riesco. Non ce la faccio. L'unica cosa che sono in grado di fare è far scendere le lacrime che, da un po' di minuti ormai, aspettano di inumidire il mio volto. Scendono una dopo l'altra, mentre silenziosamente bagnano le mie guance. Sono silenziose ma dolorose. Trasportano tutto ciò che ho dentro al di fuori, lasciandomi un vuoto, facendo ciò che la mia bocca non riesce.
La luce lunare filtrava attraverso le tende tirate. Dall'altra parte della finestra il silenzio dominava, qualche volta interrotto dal veloce passaggio di una macchina o dal vociare di un gruppo di amici. 

La testa ancora più vuota di prima, troppo stanca per pensare ad altro se non a dormire. I muscoli si rilassano, lasciandosi cullare dalla morbidezza del materasso. Il cuscino, umido di lacrime, diventa soffice come una nuvola mentre finalmente un po' di quiete pervade il mio corpo. 

***

Stamattina non me la sento proprio di cucinare qualcosa di complesso, però mi sento in dovere di preparare la colazione a mia madre per ieri sera. Preparo di nuovo i pancake, conoscendo già la ricetta. Non ho molta fame, quindi preparo un po' meno impasto rispetto all'altra volta. Appena li finisco di preparare, li impiatto e vado a svegliarla. Movimenti automatici sono quelli che mi muovono. Mangiamo in silenzio, godendoci la tranquillità della città solita di quest'ora.
Ultimamente mia madre sembra sempre più stanca; occhiaie profonde, carnagione pallida e forti mal di testa. Cerca di non farmelo notare né pesare; ma io so come sta veramente. Capita anche che nel bel mezzo della notte le vengano attacchi di tosse molto forti, talmente tanto dolorosi che una volta sono dovuto correre nella farmacia aperta più vicina a prendere qualcosa per fermarla.
Mi alzo da tavola, salendo in camera e preparandomi per la giornata scolastica che mi attende. In bagno cerco di sistemare un po' il disastro che è diventata la mia faccia, senza ottenere ottimi risultati. Spero soltanto che nessuno farà dei commenti riguardo il mio viso.
Esco di casa senza nemmeno salutare mia madre, troppo impegnato come sono a pensare a come evitare Che- Kaoru. Certamente non riuscirò a reggere il suo sguardo.
Decido di camminare fino a scuola senza prendere nessun mezzo. Sono certo che mi aiuterà a schiarirmi le idee. Oggi la giornata è bella, senza contare qualche nuvola. C'è un venticello, tipico della mattina, che mi rinfresca completamente. Le nuvole hanno forme strane, sconnesse; più di una volta, da piccolo, avevo cercato di trovare delle cose che assomigliassero alla loro forma, inventandomi le peggio cose. Da piccolo ero molto vivace, logorroico ed estroverso; non avevo molti problemi nel farmi gli amici. Ero anche abbastanza giocherellone e creativo, per cui ogni volta facevo scherzi diversi.

La promessa del ventidue aprile - matchablossomOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz