Un tramonto mozzafiato

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Arrivo finalmente sulla spiaggia di Okinawa, sentendo il profumo del mare inebriarmi il naso e il rumore delle onde che si infrangono sulla riva riempirmi le orecchie. Il tramonto che si riflette sulla tavola d'acqua è mozzafiato: un mix di colori, tra viola, blu, rosa, arancione, giallo e rosso si scontra, nascosto appena da nuvole bianche quasi semitrasparenti. Lo vedo lì: una sagoma nera seduta sulla sabbia, con le gambe vicine al petto e i capelli scompigliati dal vento. Rimane immobile difronte a questo spettacolo naturale, godendosi la calma della sera che incombe. Ma nella quiete del paesaggio, in questo meraviglioso quadretto, c'è qualcosa che stona: sento, anche da centinaia di metri di distanza, che la sua è solo una finta calma. In realtà si sente sommerso nelle acque scatenate durante una tempesta furiosa.
Lentamente mi avvicino a lui, non volendo distrarlo dai suoi pensieri. Appena gli arrivo vicino cautamente mi siedo affianco, senza proferire parola. Rimaniamo entrambi in silenzio per qualche minuto, stavolta pienamente consapevoli della presenza dell'altro.
Non distoglie lo sguardo dal tramonto, ma inizia a parlare. «Sai, avevo proprio bisogno di tranquillità» segue una breve pausa. «Nonostante casa mia sia sempre abbastanza silenziosa, avevo bisogno di una tranquillità solitaria, non so se capisci». Eccome se lo capisco. «Posso immaginare perché tu sia qui» continua. Io mi giro dalla sua parte, incitandolo a continuare. «Sei venuto qui perché qualcuno credeva che io fossi uscito con te, di nuovo» si gira anche lui, facendo incrociare i nostri sguardi. Ridacchio per l'accuratezza della risposta. Conosce molto bene sua madre. Segue un altro breve silenzio, seguito da una mia domanda: «Vuoi rimanere qui ancora per molto?». 
Ritorna ad osservare i dettaglia del panorama. «Non so se sia per molto, ma voglio rimanere qui finché me la sento» mi risponde con un soffio. Affonda ulteriormente il volto tra le ginocchia, con quel suo sguardo perennemente fisso alla line sottile dell'orizzonte. Annuisco alla sua risposta. E' venuto qui per rimanere da solo con il silenzio, sarà meglio se me ne vado. Tranquillizzerò sua madre ma non gli dirò dov'è, sarà lui a dover decidere quando tornare a casa o se avvisarla del luogo in cui si trova. Lo guardo un'ultima volta, per poi alzarmi intenzionato ad andare verso la moto. Tuttavia, mentre faccio peso sulle braccia per sollevarmi, sento che mi tira una parte della giacca. All'inizio rimango interdetto, non capendo il motivo di quel gesto; solo dopo qualche secondo capisco che è il suo modo per chiedermi di restare. E' fin troppo orgoglioso per chiedermi qualcosa del genere ad alta voce. Sorrido leggermente al suo carattere e ai suoi modi di fare, risedendomi affianco a lui. Non cambierà mai.
Sposta la sua attenzione di nuovo su di me, inclinando leggermente il capo verso destra. «Come facevi a sapere dove fossi?». 
Faccio un'alzata di spalle. «Avevo un presentimento. Non ero sicuro, ma ti conosco da tanti anni e conosco bene il modo in cui ragioni» gli rispondo con un ghigno.
«Tsk, scimmione» Ed ecco che ripartiamo con gli insulti. Continuiamo per dieci minuti abbondanti, fino a quando non finiamo le idee e rimaniamo in silenzio; è un silenzio talmente strano che non mi trattengo più e scoppio a ridere. Ogni giorno che passa sembriamo sempre più immaturi; nemmeno le vecchie coppie sposate litigano e si insultano così pietosamente. Mi guarda confuso, evidentemente non capendo la situazione divertente.
Gli spiego il motivo per cui sto ridendo, vedendolo sorridere leggermente; mi tira un 'pugno' sul braccio per farmi smettere, facendomi arrivare alle lacrime perché ha usato pochissima forza e le sue braccia sembravano dei ramoscelli in confronto alle mie.
Con un filo di voce, mi chiede: «Ritorniamo a casa?». 
Ritorno serio. «Va bene» gli rispondo con un tono che voleva essere rassicurante.
Saliamo sulla moto e, come sempre, Kaoru si aggrappa al mio busto. Il mio cuore, però, decide definitivamente di farmi venire un arresto cardiaco quando sento, oltre alle sua braccia circondarmi la vita, la sua testa poggiarsi sulla mia schiena, insieme al suo busto. Guardo furtivamente nello specchietto e lo vedo, per la prima volta dopo tempo, rilassato, con gli occhi chiusi sotto la visiera del casco. 
Non mi lamento, non lo stuzzico: entrambi accettiamo in silenzio questo piccolo gesto. 

La promessa del ventidue aprile - matchablossomWhere stories live. Discover now