Rapporti tagliati

175 15 10
                                    

Continuai a correre per la strada per un tempo indefinito, ripensando continuamente e visualizzando nel mio cervello la scena patetica di poco tempo prima. Mi fermai per riprendere fiato e per placare il dolore alle gambe. 
Mi resi conto di aver percorso molta strada, più di quanta ne intendessi percorrere. Quello spiegava il dolore. Non conoscevo bene la zona, infatti non riuscii a riconoscere nemmeno i palazzi e le vie; se non fosse stato per un vicolo molto stretto e familiare. 

Avrei riconosciuto quel vicolo anche ad occhi chiusi; all'apparenza sembrava uguale agli altri, stretto e sporco proprio nella stessa maniera, se non fosse stato per un dettaglio: sulla destra c'era un bidone della spazzatura danneggiato, senza più ruote né coperchio. Una volta addentrati nel vicolo, si notava che, in realtà, era solo una stradina molto piccola, una scorciatoia che portava direttamente alla strada principale. La attraversai, immergendomi nel flusso di persone che tranquillamente passeggiavano. Il sole cominciava a tramontare, perciò sempre più adolescenti facevano la propria comparsa. Intravidi un gruppo di ragazzi che credevo frequentassero la mia stessa scuola, ma li ignorai e proseguii per la mia strada. Il cielo era sereno, macchiato qua e là da qualche nuvola bianca; alcuni uccelli volavano sopra gli alti palazzi. Lungo questa via erano presenti negozi di tutti i tipi: librerie, pub, enoteche, scuole di danza, gelaterie, pasticcerie e ristoranti. In particolare, cercavo il ristorante italiano, l'unico considerato ottimo qui ad Okinawa; quello con l'insegna a vista con la scritta "Sia la luce" in un verde neon. Impossibile da ignorare. 
Non appena arrivai di fronte alle porte di vetro del locale, presi un bel respiro e le aprii. Il familiare campanello segnalò la mia presenza. Detti un'occhiata in giro: molti tavoli erano già stati occupati. Cercai con lo sguardo la cuoca, vedendola impegnata nella preparazione di una pizza, mentre un ragazzo dai capelli verdi appuntava l'ordine di un tavolo. Il ripiano da lavoro era colmo di foglietti bianchi che svolazzavano, cercando di fuggire. Quando un ordine cadde, ne approfittai e lo riportai alla madre di Kojiro. Mi sedetti su una sedia al bancone, osservando senza richiamare l'attenzione di nessuno. Poggia il foglietto bianco vicino agli altri ordini. Il profumo di casa era sempre ciò che riscaldava il mio cuore. 
Perfetto, ero arrivato lì. E cosa avrei fatto in quel momento? Decisamente non avevo intenzione di mangiare e, stando semplicemente seduto qui, senza fare niente, avrei tolto il posto ad un cliente. Avevo corso e casualmente ero finito là, probabilmente guidato dal subconscio. Ma se fossi rimasto sarei finito per essere soltanto d'intralcio.
Però, proprio mentre mi stavo alzando, Chika mi notò, sorridendomi. «Kaoru! Perché non mi hai detto che saresti passato? Ti avrei fatto preparare qualcosa!» Esclamò senza perdere il suo dolce sorriso. 
Ecco lì il motivo per cui ero giunto in quel ristorante. «Ah, no. Ecco, diciamo che la mia è stata una decisione presa impulsivamente e non programmata. Ti avrei avvisata ieri sera se avessi saputo che sarei finito qui!» Mi sforzai di ridacchiare.
«Allora, se la metti così, sono comunque felice di vederti. Cosa ti posso preparare?» Mi chiese, continuando ad impastare una pizza.
«Oh no nulla, stai tranquilla! Sono venuto qui solo per salutarvi».
«Scherzi vero? Dai dimmi come la vuoi, offre la casa» Mi fece un occhiolino. «La quattro stagioni arriva subito!» disse rivolta ad un cliente. «Scusa Kaoru, ma sono impegnatissima. Adesso chiamo Koko e prenderà lui il tuo ordine» Sorrise ancora e schiacciò il campanello, impiattando la pizza e porgendola a Kojiro insieme ad altri tre piatti. Poi, lui si avvicinò a sua madre e lei gli sussurrò qualcosa all'orecchio, facendogli spostare lo sguardo su di me. Kojiro mi salutò con un cenno con il capo e l'occhiolino. Alzai gli occhi al cielo. Anche mentre lavorava non perdeva mai il suo carattere. Quando mi passò vicino, si abbassò fino a quando arrivò all'altezza del mio orecchio, sussurrandomi: «Sarò subito da lei, signore ». Un brivido fuggente attraversò la mia schiena; le mie orecchie andarono a fuoco. «Dongiovanni» borbottai solamente. Sorrise soddisfatto e continuò a servire ai tavoli tranquillamente, sfoggiando quel suo maledetto sorriso che gli guadagnava non poche mance. Rimasi al bancone osservando Chika che velocemente e professionalmente preparava gli impasti, li condiva, li cuoceva e, nel momento perfetto, li tirava fuori quando il bordo era dorato e il condimento aveva un aspetto decisamente invitante. Nonostante questo, non volevo mangiare nulla. Contenevano sicuramente troppe calorie, così come tanti carboidrati e grassi saturi. Sarebbe stato meglio evitare cibi così sostanziosi.
«Allora, cosa posso portarle questa sera, signore? » Ritornò da me, utilizzando lo stesso tono provocatorio e persuasivo di poco fa. Ma non sarebbe stato meglio utilizzarlo con le ragazze?
«Nulla, avevo già avvertito la cuoca che non avrei ordinato, sebbene i piatti sembrino invitanti» Il suo ghigno si allargò. «Che c'è? non sei mica l'unico qui a sapere qualche parola in italiano».
«Ne è sicuro, signore? Abbiamo degli ottimi condimenti che sicuramente le piacerebbero da morire ». A quel punto non sapevo nemmeno come fossimo arrivati a quello scambio di battute.
«Assolutamente sicuro, gigolò». L'espressione sul suo volto era ripagante. Si abbassò verso di me lentamente, sussurrandomi all'orecchio.
«Di solito i gigolò vivono alle spese delle donne seducendole, ma per te posso fare un'eccezione». Non sapevo cosa fosse stato: il tono sensuale e provocatorio, la vicinanza del suo corpo con il mio, il suo respiro che mi solleticava l'orecchio; fatto stava che ero certo di essere diventato completamente rosso, dalla testa ai piedi. Si rialzò, rimettendosi di fronte a me, riprendendo in mano il taccuino e la penna.
«Secondo me dovresti provare la capricciosa, conoscendoti è molto probabile che ti possa piacere. Che ne pensi?» Ma non uscirono parole dalla mia bocca. Ero troppo concentrato a metabolizzare ciò che era appena accaduto. «Mh. Chi tace acconsente. Mamma...» E andò dietro il bancone a lasciare il bigliettino con su l'ordine. 
L'unica cosa che sapevo con certezza in quel momento era che il tremolio del mio corpo e una strana sensazione che partiva dal fondo dello stomaco e risaliva fino alla testa, riempiendo totalmente il busto di emozioni troppo forti, non erano un segno troppo vago. In realtà sapevo esattamente di sapere il perché di quella reazione. Io sapevo di cosa si tratta. Ma non ero pronto ad ammetterlo; non ero pronto ad ammettere di essere innamorato di Kojiro. Non in lì, non in quel momento, non in quella vita. 

La promessa del ventidue aprile - matchablossomDove le storie prendono vita. Scoprilo ora