Capitolo III

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Il giorno dopo quel secondo incontro Melissa era dovuta passare a casa di Don Salvatore per stabilire alcuni dettagli riguardanti un affare e ricevere la sua paga per il lavoro recentemente svolto. Quando a fine chiacchierata lei e Don Salvatore si erano alzati per stringersi la mano, lui le aveva detto: «Melì, Ciro sta di là in camera a riposare, secondo me se passi a salutare gli fa piacere.»
Così la ragazza, staccandosi dalla stretta di mano, si era congedata dicendo: «Vado a vedere come sta, vi passo a salutare quando me ne vado.»

Arrivata davanti alla porta della camera di lui aveva esitato un momento prima di bussare, poi alla sua richiesta di entrare era seguito il permesso di farlo e lei aveva aperto la porta e, con calma, si era girata per richiuderla. Girandosi nuovamente con le spalle alla porta, aveva visto Ciro che le sorrideva, disteso sul letto in boxer, con le lenzuola che lo coprivano fino a poco sotto l'inguine.
«Che bel buongiorno stamattina nennè» le aveva detto lui, continuando a sorriderle.
«Cirù e lassame stà. Sono venuta a vedere come stai, niente di più, non farmene pentire.»
L'entusiasmo di lui si era un po' spento mentre si tirava su, mettendosi a sedere sul letto, e le rispondeva dicendo: «Sto meglio, sono meno stordito rispetto a ieri; fa solo un po' male la spalla.»
«Vedrai che fra qualche giorno non fa più male. Posso?» aveva chiesto portandosi una sigaretta alla bocca; lui aveva annuito, silenziosamente.
«Posso offrirtene una?»
«Si, grazie. Il posacenere sta qua.» le aveva detto indicando il comodino.
Lei aveva acceso la sigaretta di lui prima, poi la propria, infine gli si era seduta accanto nel letto e aveva spostato il posacenere sulle proprie gambe. Avevano fumato in silenzio, non smettendo mai di guardarsi. Condividere il silenzio l'uno con l'altro era sembrato piacevole a entrambi; il silenzio fra loro due non era imbarazzante.

Quando lei, alzatasi dal letto, stava per andarsene, lui l'aveva fermata dicendole: «Ciù ciù resta cca»
«Nun me chiamà ciù ciù» aveva freddamente replicato lei
«E ja ciù ciù» aveva continuato a stuzzicarla lui, ridendo.
«Pcché avess e restà?» gli aveva chiesto lei a braccia conserte.
«Vogl ca sta cca, m faje cumpagnia» aveva detto lui stendendosi nuovamente nel letto.
«Cirù non farmi perdere tempo» aveva replicato lei, portando la mano alla maniglia della porta.
«Non perdi mai tempo con me. Vien cca» aveva detto lui, facendole spazio nel letto.
Melissa si era così allontanata dalla porta e si era avvicinata al margine del letto, dicendogli: «C vuò?»

Ciro le aveva afferrato una gamba e l'aveva tirata verso il letto, facendo si che la gamba poggiasse su quest'ultimo, piegata.
«C sfacimma faje?»
Lui si era tirato su, sedendosi sul letto, la mano ancora sulla coscia di lei; poi, mentre la guardava negli occhi, la mano era salita lentamente, accarezzandola e provocandole così un brivido, fino ad arrivare al sedere e stringerlo.
«M faje ascì pazz, è da ieri ca piens sul a te, t vir cu chell fierr n'mano e m fa sang.» le aveva detto mordendosi il labbro.
Lei gli era salita sopra a cavalcioni, spostando anche l'altra mano sul suo sedere, e provocando così in lui un sorriso spontaneo; ma, muovendosi lentamente su di lui, gli aveva detto:
«Miezzu scem, t l'agg ritt ij ca tu si abituato mal ccu l'ommn e pat't. Ij stong ca pe faticà e far chell ca m ric don Salvatore, no p chiavà ccu te; m vogl piglià Napule, nun teng tiemp e perdere appress a te.»
«E allora lievt annanz o cazz, va» aveva urlato lui, indicando la porta e allo stesso tempo mandandola a quel paese con un brusco movimento del braccio.

A quel brusco movimento era seguito un grido di dolore e Ciro aveva istintivamente portato la mano sulla ferita alla spalla, la cui fasciatura si era riempita di sangue: erano saltati i punti di sutura.
«C cazz 'e fatt Cirù» aveva urlato Melissa prendendo la sua mano insanguinata tra le proprie; poi era scesa di scatto dal letto e, precipitandosi al di fuori della stanza, aveva gridato: «Don Salvatò, chiamate il medico che si è aperta la ferita, facit ambress»

Rientrata in camera, era salita nuovamente a cavalcioni su Ciro e, dopo avergli chiesto di stare fermo, aveva rimosso la medicazione ormai impregnata di sangue; si era poi frettolosamente pulita le mani sulla maglietta, sporcandola di sangue, per poi sciacquarle con l'acqua ossigenata presente sul comodino, mentre lui la osservava attentamente. Infine aveva estratto una garza sterile dal pacchetto posato sul comodino e aveva iniziato a disinfettare la ferita.
«Statt ferm Cirù» lo aveva rimproverato quando lui si era mosso reagendo al bruciore causato dal disinfettante; così, mentre lei continuava a pulire la ferita, aveva potuto notare con la coda dell'occhio un sorriso formarsi sulle labbra di lui, al quale era seguita una leggera carezza, che le aveva lasciato una linea di sangue disegnata sul volto. Lei, tuttavia, era rimasta concentrata sulla ferita, sulla quale aveva effettuato una stretta medicazione, affinché essa impedisse il più possibile la fuoriuscita del sangue.

Mentre il medico ricuciva la ferita lei era rimasta nella stanza e non l'aveva abbandonata neanche quando lui se ne era ormai andato.
«Non te ne volevi andare piccerè?» le aveva chiesto lui osservandola mentre si accendeva una sigaretta e gliene offriva una.
«E mo agg decis ca nun m ne vac cchiù. È stata colpa mia, dovevo lasciarti tranquillo.»
Poi dopo un attimo di silenzio aveva detto: «Ti dispiace se mi tolgo la maglietta che sta piena di sangue?»
«M dispiace si nun o faje» aveva detto lui ridendo.
Lei aveva scosso la testa, aveva posato la sigaretta sul bordo del posacenere, poi si era spogliata e aveva ripreso a fumare affacciata alla finestra.
«Ti vedono da fuori»
«Anche se fosse, non fa niente. Sono senza maglietta, proprio comm a te» aveva detto lei girandosi verso di lui per poi guardarlo dritto negli occhi.
Dopo essersi staccata dalla finestra lei si era seduta accanto a lui, nel letto, con la schiena poggiata alla testiera del letto e il volto rivolto al soffitto, mentre fumava; poi lo aveva guardato e gli aveva detto: «Dovresti riposare.»
«Si tu rest ccu me» aveva replicato lui.
Lei aveva così spento la sigaretta e si era stesa accanto a lui, che con un braccio l'aveva avvicinata a sé.

Ora lei si trovava in quella medesima stanza, ma senza di lui. E solo ora si rendeva conto che lei lo aveva amato sempre, dalla prima volta in cui lo aveva visto, doveva solo capirlo; e avrebbe continuato a farlo, anche se lui ora non c'era più.

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sono tornata con questo terzo capitolo. c'ho preso gusto nel pubblicare, anche se molto probabilmente non riuscirò a farlo sempre con questa frequenza, soprattutto in settimana. la storia sta avendo via via più visualizzazioni, e di questo sono contenta, sia perché la sto scrivendo con impegno e mi diverto a farlo, sia perché ritengo possa diventare un progetto molto valido. mi raccomando, se la storia vi sta piacendo lasciate una stellina e, se vi va, fatele un po' di pubblicità, ma soprattutto fatemi sapere cosa ne pensate  qui sotto nei commenti!

Comm a na pistola - Ciro RicciWhere stories live. Discover now