Calma e fermezza, si ripeté, come una vera Guardiana.

Fingendo che la vecchia camera di Arthur fosse sparita, s'avviò per la scala che, per fortuna, non le causò alcun sentimento negativo: solo un sorriso nostalgico in ricordo delle volte in cui l'aveva percorsa.

Il problema tornò prepotente al piano superiore, quando Chandra dovette affrontare la vista della sua vecchia camera di accolita, anch'essa scrigno di segreti troppo freschi per essere archiviati.

Aumentò la presa sulla ceramica del piatto che aveva in mano.

Non ebbe difficoltà a rivedere una sé più ingenua sull'uscio, accompagnata da un Arthur altrettanto ingenuo – e forse un po' troppo presuntuoso – che le stava passando lo schizzo della planimetria del Monastero.

Non ebbe difficoltà ad andare avanti di un mese, arrivando a ottobre, al primo incontro con Jesse e alla conseguente chiacchierata con Arthur. Gli affari del Leblanc non sarebbero mai stati suoi, si era illusa quella volta, dopo che lui aveva condiviso il bizzarro rapporto col suo amico. Adesso, gli affari del Leblanc erano tutto ciò che chiedeva.

Inspirò a pieni polmoni.

Le lacrime stavano tornando.

Allo stesso modo, non ebbe difficoltà a sentirsi oltrepassata da un Arthur immaginario, diretto verso la camera della rivale per sistemarle i condotti d'areazione. Per poi passare un'intera mattinata a raccontarle della sua infanzia.

Espirò.

Era lì per Adhara e nient'altro.

Avanzò quel tanto che bastava per arrivare agli ingressi delle camerate, poi imboccò il corridoio che le interessava.

Se quella stolta avesse fatto come ogni Guaritrice del Monastero a lei precedente, Chandra non avrebbe avuto nessun problema: a loro era destinata una camera privata in infermeria, al piano inferiore. Ma Adhara insisteva nel dormire insieme alle sue sorelle, poiché stare da sola la rendeva triste.

Giunta alla porta, Chandra chiamò: «Adhara, sono io.»

Dovette attendere solo un paio di secondi prima che l'anta si spalancasse.

«Si-signori... Signorina Noyer», singhiozzò Adhara. Fu impossibile non notarne il gonfiore delle palpebre, accentuato dalle sclere del tutto arrossate. Aveva pianto, e anche molto.

Chandra alzò il piatto. «Posso entrare?»

Visto il pasticcio, Adhara sgranò gli occhi e si portò le mani alle guance. «Oh, no! Mi ha portato il pranzo. Non dovevate, non dovevate!» Scosse il caschetto a destra e a sinistra.

«L'ho fatto con piacere.» E perché aveva uno scopo preciso, ma si premurò di non farlo presente. «Posso entrare, adesso?»

La monaca si scostò, così da far passare la nuova arrivata.

A Chandra bastò un singolo passo all'interno per storcere il naso: c'erano calzini appesi ovunque, le cassettiere aperte, i tre letti sfatti e una marea di cartacce sparse sul pavimento. Forse c'era anche un assorbente appallottolato in un angolo, ma lo stomaco di lei non era abbastanza forte per indagare oltre.

L'unica nota positiva era il lucernario rialzato, che permetteva all'aria fresca di entrare. Se così non fosse stato, Chandra era certa sarebbe stata accolta dalla puzza di sporco.

«Lo dia a me.» Adhara le strappò piatto e forchetta dalle mani e andò a posizionarli sull'unica scrivania presente; dovette scostare un bel po' di cianfrusaglie prima di crearsi uno spazietto.

Fatto ciò, si sedette sulla sedia e strisciò in avanti, fino a schiacciarsi lo stomaco sul bordo del banco. Afferrò la posata e iniziò a mangiare.

«Come stai?» chiese Chandra.

Come Acqua e FuocoWhere stories live. Discover now