Capitolo 11: Io, Ferit Aslan, dove sono?

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La faccia di Deniz è impressa nei miei occhi. Il suo sguardo soddisfatto mi disturba la mente. Tra le dita il calore del biglietto di Nazli. Mi sembra di vivere un incubo. Non riesco ancora a realizzare quello che è successo. Un gelido fremito attraversa le mie membra mentre ripenso a quelle lacrime di ghiaccio che solcavano il volto di Nazli. Il gelo avanza mordendo le carni e divorando le ossa. Un silenzioso dolore atrofizza i muscoli e strappa i tendini. È fuori da ogni logica un comportamento simile. Cerco di non tradirmi davanti a Deniz. Non voglio dargli la soddisfazione di danzare sulla mia carcassa. Con gli occhi fissi nei suoi, mi allontano. La solita scusa del "lavoro che chiama" torna più che mai utile ora. Voltare le spalle al nemico non è così facile né tanto meno scontato. L'idea di un colpo alle spalle è sempre in agguato. Ma cosa può accadere ancora? Cosa può esserci di più doloroso? Lontano da tutti, immerso nella mia solitudine, mi ritrovo accovacciato a leccarmi l'ennesima ferita. È ancora viva, con i lembi ben aperti e la carne irrorata di sangue ben in vista. Raccogliere goccia dopo goccia quel sangue amaro come il fiele è l'ennesima prova di coraggio richiesta a me stesso. Non devo lasciare tracce visibili. Con l'ago dell'orgoglio e il filo del risentimento inizio a rattoppare gli strappi della mia pelle. Un piangere e urlare sordo che atterrisce l'aria. Mai la belva in me fu così disumana nel mostrare il suo dolore. Il mio lupo riconosce il ruggito del leone da lontano. Ma la ferita è fresca e ogni slancio perde di vigore e velocità. Si ritrovano così uno di fronte all'altro per l'ennesima volta le due belve, ma questa volta il leone ha ben da ruggire. Con la criniera al vento rivendica la sua proverbiale prudenza, mostrando un trono che ormai non gli appartiene più. Con la coda tra le zampe, il lupo si allontana. Le tundre ghiacciate lo aspettano. Un ululato il suo indietreggiare che sa di nostalgia della terra natia e della sua naturale freddezza. Tra le braccia della madre, trova ristoro la belva ma la ferita brucia e con essa il fuoco divampa al ricordo di quel dolce amplesso che gli occhi e le mani e le labbra assaggiarono. Non meno sensibile, il leone riconquista spazi e inizia a dettare legge. Ma non è facile farsi obbedire da un corpo che ha assaporato la voluttuosa libertà. Una graffiata che genererà nuove ferite, necessarie a dirottare il dolore su un altro fronte. Immerso nei pensieri, ma con la testa china, arrivo in ufficio. Oggi la giornata prevede una serie di incontri e questo mi porterà lontano da Nazli. Almeno credo. La verità è che quando una persona entra nella nostra vita, metterla fuori è difficile, vederla andare via senza un motivo impossibile. Nazli è il mio pensiero impossibile. Non riesco a togliermela dalla testa. Rivivo quella scena per l'ennesima volta mentre racconto dell'accaduto ad Engin. Lo stupore di un amico getta benzina sul fuoco e di fatti l'incendio divampa. Le fiamme lambiscono la mente, le scintille accecano gli occhi, le ceneri sotto i piedi ardono e quel fuoco piano piano si espande e coinvolge tutto me stesso. Mentre parlo con Engin la convinzione che il comportamento di Nazli sia innaturale diventa reale. D'altra parte non credo che la decisione di Nazli sia legata alla proposta di Deniz. È qualcosa di più profondo, che si ha paura a raccontare. Ma cosa? La linea di pensiero di Engin è che sotto ci sia Asuman. Anche io penso che lei centri qualcosa e il comportamento della ragazza alla nostra presenza conferma la mia impressione. Asuman è sempre esuberante e sicura di sé, questa volta invece si dilegua e resta sul vago sotto i colpi, a dire la verità leggeri, della nostra armeria. Forse in passato questa ragazza ha dato problemi a Nazli, ma anche se fosse, cosa può aver fatto di così grave da farla allontanare da me? Mille dubbi mi assalgono e poi il desiderio di scegliere questa come motivazione finisce con lo schiacciare ogni altro pensiero. Sordo ad ogni voce, ma non al punto da non sentire le urla di Demet, mi precipito nell'ufficio di quella vipera. Sta urlando proprio contro Asuman. Entrambe hanno uno sguardo che non mi piace, complicità e odio insieme...un connubio che quando è riferito ai coniugi Onder fa tremare i polsi. Le scuse raccattate da Asuman e Demet buttano sabbia negli occhi degli altri ma non nei miei. Tuttavia decido di sorvolare. Oggi ne ho avute già troppe di rogne e non ho intenzione né la forza di aggiungerne un'altra. Vado via, non senza aver intimato alla signora Demet che è "ospite" nel mio ufficio e che se vuole restarci, deve assumere un atteggiamento meno eclatante e più rispettoso verso tutti. Quegli occhi sgranati addosso non li sopporto proprio oggi. Odiosa lei e suo marito. Esco da quell'ufficio che mi angoscia con quelle dimensioni e quella presenza. L'idea è di svincolarmi prima possibile dai vari impegni per correre a casa. Dentro un pensiero urge e mi schiaccia mettendomi addosso un'ansia incredibile. È come se la mente avesse fretta di ritrovarsi davanti a se stessa per riprendere un antico discorso traumaticamente interrotto credendo ci sia ancora speranza di riportarlo in vita. Un'illusione, la mia, che serve solo come momentaneo cicatrizzante sulle ferite fresche del giorno. Percorro gli spazi tra i vari uffici con l'idea di scansare ogni altro pensiero. Il lavoro, a volte, può essere una buona soluzione. Ma sì! Buttiamoci nel vivo e affrontiamo la nuova situazione. La carica di ottimismo dura il tempo che trova. Evidentemente la giornata per me ha in serbo sorprese dello stesso stile fino alla fine. E così, mentre penso di averne avuto abbastanza e di aver trovato una buona dose di energia, nel bel mezzo di una riunione con i soci italiani, fa capolino quel pagliaccio dalle mani sporche di Hakan. Le sue pretese diventano sempre più insopportabili e le mani prudono all'idea di vedere la mia azienda nelle sue grinfie. Se poi penso alla meschinità con cui e per cui lui e sua moglie si sono appropriati di Bulut...beh, un uragano di nervi si scatena in me. La sua voluta mancanza di tatto nelle attività rappresentative mi urta parecchio. La credibilità è una questione anche di stile e la mia azienda ne ha da vendere. Anni interi a creare, forgiare quella immagine di classe, versatilità ed eleganza. I sacrifici di mio padre, prima, mio e di Demir, Zeynep ed Engin, dopo, messi alla berlina da un giocoliere della peggiore specie! Non posso crederci! E questo solo per colpa mia e di quel maledetto documento che ha consegnato le quote di Demir a Demet. Fortunatamente la sua ignoranza nelle lingue è pari alla sua strafottenza e liberarmi di lui davanti agli ospiti diventa abbastanza facile. Sorrido all'idea che è appena trapelata di lui agli occhi dei nuovi soci. Un riso che però diventa amaro immediatamente se penso a tutto quello che mi sta succedendo. Il pensiero corre inesorabilmente a Nazli e per quanto io mi sforzi di dirigerlo verso un'altra direzione, ecco che, come una voragine aperta nel mezzo dell'oceano, lei mi risucchia, mi sprofonda e mi avvolge con le spire dell'indifferenza. Indifferenza? Non posso pensare che Nazli sia indifferente. Diamine! Quel bacio non era rubato ma voluto e preparato da entrambi da tempo. No...non è indifferenza! Forse vuole farmi credere questo, ma io so ben distinguere l'indifferenza vera da quella finta. Nazli finge e il perché deve essere qualcosa di molto profondo, che fatica a confessare perfino a se stessa. Il tempo...il tempo saprà dare la risposta giusta. Tuttavia c'è un piccolo grande problema: la lontananza e l'impossibilità di poterla avere sotto controllo. Questa cosa mi fa andare su tutte le furie. Nazli è la sola persona completamente fuori dal mio controllo. Immerso nei miei pensieri, elucubro inutili lamentazioni. Visioni...ecco...sono visioni quelle che ho vissuto in questo periodo. Inutili film girati dal peggiore regista, l'amore, sulla pellicola più dottrinale, l'illusione. Eppure, nonostante io mi renda conto di quanto stupido sia stato e lo sia ancora a pensare a lei, non posso fare a meno di farlo. La verità è che io voglio Nazli e per averla sarei disposto a tutto, forse anche a perdermi nell'abisso della follia. E non è già pazzia questo mio volerla vedere a tutti i costi nella mia vita? La voce della signora Ikbal mette fine finalmente al mio delirio, ma ne apre inconsapevolmente un altro. Bulut. Quel nome tatuato sul cuore prima ancora che sulla pelle, risuona come il richiamo della luna sul mare in tempesta. Sento le mia acque risalire dagli abissi in superficie per poi immergersi nuovamente non senza aver ingoiato un lembo di battigia. Le fauci della mia gola allora avvertono tutta la crudeltà di quella spinta. Con l'acqua arriva la sabbia e con essa i detriti, i rifiuti di una umanità che ha perso il suo fascino sul palcoscenico dell'apparenza. Pietre, bottiglie, carcasse di animali che raccontano di sentimenti cristallizzati, speranze fragili, vite derelitte. È così che mi sento. La realtà ha rivelato tutta la fragilità di una vita che agli occhi del mondo è quella di un leone, ma nell'intimo è carena avariata costretta suo malgrado a solcare ancora il mare. Su di me lo ammetto, accetto tutto...ma su Bulut no! Bulut è il mio riscatto, la mia linfa vitale. Lui deve vivere. Ho un po' di tempo libero prima della riunione e lo raggiungo. Il birbante ha voluto fermarsi a mangiare una pizza con Deniz prima di ritornare in quella casa degli orrori. Lo immagino già davanti ad un bel piatto di pizza. La sua faccia tonda con quei riccioli d'oro mi fa impazzire. Muoio dalla voglia di strapazzarlo. A passi decisi entro in pizzeria. Ma tutta la mia audacia si smorza alla vista di Nazli. È con Deniz e questo mi fa ancora più male. Non voglio perdere il controllo della situazione e fingo indifferenza davanti a entrambi. Bulut non deve capire nulla, anche se è giusto dirgli la verità. Evito di incrociare gli occhi di Deniz perché mi fanno rabbia. Mi guarda come la iena che sottrae la preda al leone ferito. Ride del suo trionfo e soprattutto della sua situazione di privilegio. Eh già perché Nazli con lui ci parla! Ma ancora più male mi fa guardare lei, la donna a cui ho consegnato le chiavi della mia intimità. Abbassa gli occhi, visibilmente in imbarazzo. Almeno so che ha ancora un po' di pudore nel riconoscersi in colpa. La mia ira divampa e decido di fargliela sentire a modo mio...Ferit Aslan sa essere molto pungente quando vuole e oggi va così. Bulut con la sua semplicità mi porge diversi coltelli dalla parte del manico. Abile giocoliere decido di usarli tutti ma senza affondare perché la preda deve desiderare e temere le mosse. Al tocco del tasto dolente, Nazli non evita di piantarmi i suoi occhi in faccia. Una mossa che mi riesce fatale perché io per quegli occhi morirei. La guardo ma completamente disarmato e solo ora mi rendo conto che quei coltelli che io tanto abilmente maneggiavo, avevano in realtà una doppia lama. Solo ora sento il sangue colare lungo le mie mani fino agli avambracci. Una colata lenta, continua e decisa, che trova il suo mare nel silenzio di quello sguardo. Le domande di Bulut sono incalzanti e tolgono fiato alla mia mente. Alzarmi e andare via è la soluzione migliore. La solita scusa del lavoro, un bacio al volo al mio leoncino e via, lontano da quella palude che mi stava risucchiando. Neppure uno sguardo a Nazli. Non voglio portarmela dietro per il resto della giornata impressa nei miei occhi. Illuso! Perché puoi volgere altrove gli occhi del corpo ma quelli dell'anima? E no! Quelli restano addosso a chi o cosa essi reputano degno di essere visto. E Nazli finora è la sola creatura che abbia catturato questa loro attenzione. Fatico a riportare in azienda con me la mia anima. Perfino la mia ombra mi ha abbandonato. L'inconsistenza del mio corpo deve essere ormai qualcosa di visibile anche ad occhio nudo se al mio rientro in ufficio, mi ritrovo subito alle calcagna Engin. Mi chiede come è andata in pizzeria e tutto sommato la sua richiesta è legittima. In fondo lui non sa che con Deniz e Bulut c'era anche Nazli e io non ho nessuna intenzione di dirglielo. Fortunatamente la nostra conversazione trova un nuovo polo di attenzione. Hakan attraverso Demet sta diventando una vera spina nel fianco per la nostra società. Le preoccupazioni di Engin sono anche le mie. Ma il nemico conviene tenerlo più vicino dell'amico. Solo così potrai parare i suoi colpi. Mentre cerco di tranquillizzare Engin, sopraggiunge la signora Ikbal. Porta il resoconto delle indagini su Asuman. Niente di straordinario se non fosse per una piccola denuncia, fortunatamente rientrata. Le solite bravate di un'adolescente fin troppo esuberante. Tuttavia ciò che è banale per me, potrebbe non esserlo per chi come Nazli ha il peso di una responsabilità genitoriale. Forse Nazli vede questo reato come una macchia, teme il mio giudizio. Sembra stupido ma voglio crederci. Sento che la mia anima e il mio cuore vogliono aggrapparsi a questa ennesima speranza, ma la mia mente, quella vigile sentinella, non ne è del tutto sicura. Il rischio di farsi male questa volta è davvero molto alto. Engin dal canto continua a buttare benzina sul fuoco senza accorgersi delle ustioni che ormai sono sparse sul mio corpo. Cerco di sviare il discorso ma...niente. Rassegnato all'ennesima sofferenza, incasso anche questo colpo. Dovrà finire prima o poi questa giornata maledetta. Faccio fatica a ricondurre la nostra attenzione sul lavoro, dove le rogne non mancano di certo. Dentro, però, un mondo parallelo di ansie e preoccupazioni che affossano il lupo che è in me, mettendo altresì in catene il leone. Le due bestie, parte della mia vita, giacciono, braccate dalla fame e legate dalla sete di lei. Ma le loro fauci restano, ahimè, spalancate invano. Lei ha deciso di donare il suo cibo a un altro. Questo pensiero mette una lapide su una giornata che difficilmente dimenticherò. Il rientro a casa, poi, un pugno nello stomaco. La solitudine regna sovrana, prendendo nuovamente e più potentemente possesso della mia casa, che improvvisamente riscopro fredda e grigia. Per la prima volta ho freddo entrando nella mia cucina. C'è ancora il sapore della sua quotidianità. Sui cassetti le sue impronte, sulle posate, sulle stoviglie...ovunque lei! Dannatamente presente ancor più di prima. Nemmeno l'arrivo di Tarinh riesce a riempire non dico lo spazio, ma anche solo il punto in cui la sua persona affonda sul mio divano. Ha indagato. Niente di straordinario se non fosse per il reato di furto commesso da Asuman. Forse è questo ciò che impedisce a Nazli di essere libera con me. Teme forse il mio giudizio. Resto in realtà scettico, ma sento che in questo momento ho bisogno di acquetare il mio spirito e il solo modo per farlo è trovare una spiegazione più o meno plausibile al suo allontanamento. In fondo...potrebbe essere. Nazli è sensibile, leale, corretta. Sicuramente vive con vergogna questa azione della sorella. Mentre cerco di aggrapparmi all'esca della speranza, una telefonata di Engin mi riporta nel fango. Nazli è al locale di Deniz, con lui, Hakan e Demet. Sono distrutto da questa notizia. Non posso fare a meno di recarmi al locale per vedere con i miei occhi e magari parlare con lei. Le distanze si accorciano quando l'ansia lascia il posto alla rassegnazione. Sì...rassegnato. Con questo spirito mi butto nella mischia del locale alla ricerca di Nazli. Rassegnato ad incassare ancora ma non a perderla. Il verbo "perdere" non è contemplato nel vocabolario di Ferit Aslan. Vederla al tavolo da sola mi rincuora. Nessuna intromissione. Almeno questo. È così bella mentre è intenta a studiare i passi. Le onde dei suoi capelli sono come le distese di lussureggianti pascoli appena solcati dal vento. Mi avvicino deciso e solo ora mi rendo conto che la mia anima non si è mai staccata da lei. Mi riconosce, meschina, ma si rifiuta di rientrare in me. Il nettare del suo seno è quello di un favo stillante che nulla ha a che fare con le mie lande desolate. Anima infame! Indegna padrona di una terra desolata. Non è forse giusto curare il tuo di regno prima di migrare altrove? Non è forse proprio di una regina rendere rigogliosa la propria terra prima di quella di altri? Niente! Sorda si lascia appena intravedere per poi trovare posto nuovamente nell'abisso di quegli occhi che esitano a guardarmi. Eppure...quanti desideri ci siamo raccontati al chiaro di luna io e quegli occhi! Invito Nazli a venire fuori per poterle parlare. Lei ricalcitra ma difronte alla mia perentorietà finisce col capitolare. La sento mentre mi segue a passi rapidi fuori dal locale. L'ora della resa dei conti è prossima e io scendo in campo con tutte le armi possibili. La comprensione, la dolcezza, la delicatezza...mai avrei immaginato di dover imparare ad usare queste armi un giorno. L'amore, si sa, gioca strani scherzi ma con me è stato a dir poco diabolico. È difronte a me. Il vento le agita i capelli mentre un velo di ansia e insieme di tristezza copre il suo viso. Non mi guarda in faccia mentre le parlo. Il suo rispondermi sa di insofferenza. Nazli, la mia Nazli, dov'è finita? Chi è la donna che mi sta dinanzi in questo momento? Possibile che sia tutto finito tra noi? Stento a crederci. Le chiedo una spiegazione ma la sua risposta è prima evasiva e poi nervosa. Le afferro il viso e quella sensazione di morbidezza torna ad accarezzare i miei sensi. Freme tutto il mio essere al solo contatto con quella pelle. Il desiderio di lei travalica i confini della decenza e a stento riesco a mantenere una distanza, quella però necessaria per respirare il suo respiro e fonderlo ancora una volta col mio. Nazli non ha nessuna intenzione di dirmi la motivazione della sua fuga. È testarda e questo di lei mi rende pazzo. Le sfide che mi lancia quando si arrocca sulle sue convinzioni hanno lo stesso effetto di una pozza d'acqua nel deserto. Mi fa bruciare nell'intimo quando mi sfida e quelle fiamme sono il mio amplesso preferito. Nei suoi occhi il fuoco divampa e innesca nei miei una reazione inaspettata. Più fuggi, più ti afferro. Più mi bruci e più aizzo quel fuoco. Nazli, puoi fuggire dalla mia cucina ma non da me! Non te lo permetterò mai. Questa mia determinazione spiazza visibilmente la mia signora che ora recalcitra come una puledra selvatica prima di vedersi addosso per la prima volta una sella. Eh, già...il tuo cavaliere sono io e non permetterò a nessuno di averti nella propria scuderia. Godo al solo pensiero di averla di nuovo tra le braccia. È la cosa che più desidero al mondo. Il suo viso però racconta ai miei occhi ben altro. L'insofferenza iniziale, infatti, cede il posto ad un dolore velato ma palpabile. Che cosa ti fa male, Nazli? Dimmelo! Vederti così mi fa impazzire. Chiusa nel tuo mutismo, con le braccia quasi costrette a non aprirsi in un abbraccio, il corpo braccato nel suo intimo desiderio di ricongiungersi al mio...tutto parla e racconta di un segreto che non hai il coraggio di confidare. Ed è qua che la mia duplice natura viene ulteriormente atterrata. Il leone si insuperbisce all'idea di non essere ritenuto all'altezza di una confidenza. Il lupo sguaina le sue fauci e brancola all'idea di un segreto a lui inaccessibile. Superbia e famelicità mi dilaniano e i segni di quella guerra iniziano ad essere percepibili sulla mia pelle. Sento striare l'epidermide, solcato da un aratro infernale che non esita a passare e ripassare. Solchi profondi si aprono sul mio corpo. Ogni parola, come seme, penetra nel profondo e attecchisce irrorato dall'acqua della delusione. Crescono veloci i germogli dell'imbarazzo e subito traducono in fiori la sofferenza di una estromissione. Nazli mi ha volutamente messo fuori dalla sua vita e lo ha fatto passo dopo passo e da tempo. La realtà è che, forse, io non ne ho mai fatto parte veramente. In preda alla delusione, ma anche ferito nell'orgoglio butto l'esca dell'indagine. Il solo verbo "indagare" associato al nome di Asuman la fa trasalire. La vedo impallidire mentre le dico che ormai so tutto, compreso il reato di cui si è macchiata. Trema come una foglia al sopraggiungere della tempesta. Poi una luce e un sorriso inaspettato. Le dico che in fondo quello di Asuman è un gesto da adolescenti, ma quando pronuncio la parola "furto", un uragano si scatena dentro di lei. Gli occhi di Nazli si riempiono di lacrime e fugge, mettendo fine a ogni possibile dialogo. In realtà resto alquanto stordito. La facilità con cui è passata dal dolore alla gioia e da questa alla rabbia sa dell'incredibile. C'è altro sicuramente ed è qualcosa che è molto più profondo e duro da confessare di quanto io possa immaginare. Non è solo Asuman il punto...è qualcosa che lega le sorelle e me con loro. Ma cosa? Cosa? Mentre rientro a casa, sento che questo pensiero inizia a scavare la mia mente come un tarlo. Silenzioso, si insinua nelle viscere e lambisce ingoiando ogni mia spinta mentale. È un processo involontario al quale non riesco a dare un freno. Ripiombo nella mia solitudine e spengo con la luce un giorno che avrei voluto non sorgesse mai. La presa di coscienza, tuttavia, è necessaria. Affrontare la realtà è sempre stato il mio motto e non vedo perché non applicarlo anche in questo caso. Certo, un conto è la sfera lavorativa, un conto i sentimenti, ma la lucidità è la migliore alleata in ogni caso e mantenerla mi darà sicuramente un vantaggio. Prima cosa da fare? Sbarazzarmi del pensiero fisico di Nazli! Tutto nella mia casa deve tornare alla normalità. Ordine, pulizia e distacco...tre parole che farò incidere a caratteri cubitali nel mio vocabolario. Energia e un pizzico di acume sono le leve giuste per innescare i nuovi meccanismi di approccio. Ferit Aslan non si arrende facilmente e presto anche la piccola Nazli se ne renderà conto. Se la notte porta consiglio, la mia proverbiale prudenza mi ha edificato un tempio salomonico in testa. Ogni contratto ha una penale se interrotto prima...Nazli è in mora! A qualcuno potrà sembrare un vile tentativo di tenerla ancora legata a me. Ebbene sì! Lo ammetto: con lei sono un vile ricattatore. Sono disposto a tutto pur di averla con me e per me. Non lascerò via libera a Deniz. Lei è mia. Dentro di me sento le due belve prendere nuova vita. Il leone, quasi ubriaco di sé, gode nel veder ritornare l'antico cipiglio. Il lupo, dal canto suo, affila le zanne, irrorando di famelico desiderio le sue fauci. Il vento freddo del nord spira ma ora fa meno paura e la landa stessa si ripopola di esili germogli di speranza. Un ricatto bello e buono che però mi riporterà lei. Arrivo in ufficio sospeso tra il compiacimento per la mossa trovata e l'ansia di vederne i frutti. Conoscendo la mia Nazli, non spetterò molto per vedere la sua reazione e...nemmeno il tempo di sedermi che è già davanti a me. Scuote la testa, agita la cartellina del contratto, sgrana i suoi occhioni su di me e blatera tante parole. È lei in tutta la sua forza. Esile ma impetuosa come un torrente di montagna. Si arrabbia e mi apparecchia sotto gli occhi la tavola della mia viltà. Ha ragione e questo lo so anch'io ma... in amore e guerra tutto è concesso, soprattutto il ricatto. Mentre è a pochi passi da me, la vedo esplodere e ne impazzisco. È bellissima mentre rivendica la sua libertà. Stento a sorridere. Assumo un'espressione quanto più possibile seria. Ma dentro...oh, dentro il fuoco divampa. Il desiderio di stringerla e di dirle come è nato quel ricatto ha il potere devastante di un incendio in una foresta. Bruciano gli alberi delle mie corde, ma di piacere alla vista di lei. Il suo profumo sfiora la mia pelle che si riscopre così fortemente sensuale a quel tocco da sfogliarsi come lamine di cera. La verità è che la voglio con tutto il mio essere. Fatico a tenere le mani a posto. Ma gli occhi, beh...quelli non riesco proprio a domarli. Indisciplinati e refrattari a qualsivoglia pudicizia, i miei occhi iniziano a divorarla. È un lavoro silente ma continuo che me la fa godere fino al midollo. Gli occhi hanno le loro mani che sono ben altra cosa da quelle reali, perché riescono ad arrivare in modo invisibile ovunque, anche oltre la decenza. Quelle mani la sfiorano, affondano nella sua carne e la possiedono fino in fondo. E lei nemmeno se ne accorge del piacere che sto provando ora. Un amplesso che muove da stimoli molto più intimi di quelli fisici e perciò stesso infinito. La faccio parlare perché so che non finirà fino a quando non avrà detto tutto. Davanti alla mia ostinazione, si infuria. Cerco di restare indifferente ma dentro di me godo profondamente. È mia e questo basta. Mi richiama all'attenti battendo i piedi sul pavimento. Mai rumore di passi fu più gradito. Nazli non sa che quel rumore è ormai per me musica di fondo di tutti i miei pensieri. Nazli non sa che lei mi cammina dentro imprimendo sulla mia anima le impronte dei suoi piedi. Oh...è uno scalpiccio che riconoscerei in mezzo ad un esercito di fanti appiedati. Semplicemente perché è il passo della mia signora. Una dolcezza infinita mi assale improvvisamente mentre le consegno il menù settimanale. Le mie due belve giacciono ai suoi piedi. Lei va via e non sa che il vero sconfitto sono io e non da ora. Ogni volta, vederla andare via innesca in me mille emozioni e altrettanti pensieri. Il desiderio di afferrarla e di trattenerla ancora si mescola all'attesa del nuovo incontro. Se solo avessi potuto, avrei lasciato la mia comoda poltrona per raggiungerla prima che aprisse la porta. L'avrei abbracciata, le avrei con una mano scostato i capelli dal collo e le avrei sussurrato sfiorandola di non lasciarmi. Se solo avessi potuto...o voluto! Perché il problema in effetti non è solo lei e la sua usuale riluttanza alle smancerie, ma anche e soprattutto io, da sempre poco incline ai sentimentalismi e alle svenevoli attenzioni. Le mie due nature me lo impediscono. Entrambe le mie belve conoscono una docilità che è più simile alla mansuetudine che alla dolcezza. Il mio leone si lascia accarezzare la criniera ma non si sognerebbe mai di abbassare la testa. Figuriamoci il lupo, ingordo com'è e sempre irriverente. Eppure, quella sera, le mani di Nazli sono riuscite a frugare tra la folta pelliccia del lupo e le zanne appuntite del leone, senza che nessuno dei due sin ribellasse. Una strega...ecco...la mia Nazli è una strega. Tra mille pensieri, finalmente scende la sera e un nuovo giorno si chiude. Tornare a casa però stasera non mi pesa. Ingoio la strada e percorro freneticamente il vialetto della mia villa per immergermi senza perdere tempo in quella quotidianità che per me è già follia. Ritrovo il suo profumo, quell'odore che la mia pelle ha ancora cucito addosso. Seguo il richiamo dei sensi e mi ritrovo in cucina. Un tuffo incredibile al cuore. Sfioro i ripiani, apro le ante e un piacere mi assale al pensiero delle sue impronte sotto le mie dita. Nazli ha riempito di bigliettini la casa...dispettosa com'è ha pensato di provocarmi come i primi giorni. Tenera lei perché non sa cosa ha risvegliato in me questo suo modo di fare. Il primo incontro, i primi sguardi, i litigi e le riappacificazioni...tutto di lei scorre sulla pellicola del film che mai nessuno fino ad ora aveva girato per me. Immagino il suo nervosismo di oggi, ma la cura con cui ha intessuto la sua vendetta non sa affatto di odio. Riesco a digerire persino il basilico...per amore si cambiano anche i gusti. Sorrido all'impensabile reazione del nuovo Ferit. Solo pochi mesi prima una cosa così mi avrebbe mandato su tutte le furie. Stento a riconoscermi e a dire il vero non so se valga la pena lasciare a piede libero questa forma ibrida di uomo. La notte scorre veloce e il mattino mi sorprende ancora sveglio. Sarà un giorno faticoso in azienda...ma prima, ho il secondo round con la mia lottatrice preferita. Sorseggio il caffè in cucina, ma gli occhi sono fissi alla porta di ingresso. Non voglio perdermi un solo istante di quella visione. Nazli arriva e, come pensavo, è più agguerrita che mai. l'idea di essere trattenuta con la forza non le va giù. Mi rimprovera di manovrare e pianificare la vita di chiunque entri in contatto con me. Perfino il gatto! Si agita mentre ripopola il piano appena liberato. Domina in quella cucina come fosse la mia anima. Apre cassetti, maneggia gli arnesi e non si rende conto che tutto corrisponde in me. Mi sfoglia, mi apre, mi manovra dal profondo. Io la lascio fare perché è questo che voglio. E inutilmente la belva regale si affila le unghia dell'orgoglio sulla pelle del mio cuore. Scuote, misera, la criniera e ruggisce ma il suo grido resta sordo. Il lupo dal canto suo spalanca le fauci affamato come sempre. Lo sento sbavare mentre col pelo arruffato ulula sulla rupe dell'irrazionalità invocando chissà quale plenilunio di piacere. Nazli è tutto ciò che ho sempre desiderato. Mentre si agita, la vedo ridurre le distanze. Fatico a stare immobile. Non sa che pericolo corre. Ma so bene che con lei dolcezza e forza devono essere ben dosate e così la libero sul più bello della mia presenza. Vado via ma solo fisicamente. La giornata è molto lunga e avrò bisogno ancora di lei. Pranzo in barca con gli ospiti italiani e naturalmente la mia chef sarà Nazli. La informo con una telefonata, alla quale ovviamente risponde con cipiglio risolutivo ma so bene che orgogliosa com'è non si tirerebbe mai indietro rispetto a una sfida. Così fa capolino al porto e accoglierla è solo compito mio. Gli ospiti arrivano, il pranzo è squisito e i complimenti per la mia signora non tardano a venire. Forse anche qualcosa di più di un complimento...chiacchiere che il vento porta via non senza aver fatto breccia nel mio cuore e nella mia mente. Sì...con Nazli mi sento in paradiso e il fatto che sia visibile mi preoccupa ma relativamente. La verità è che sento un peso sul cuore e vorrei liberarmene ma ora è impossibile. Provo in realtà a parlare con Nazli ma Engin arriva sul più bello e lei, al solito, fugge via. Il sole nei suoi occhi, il vento tra i capelli, quelle gote rosee e le labbra intente a chissà quale dialogo segreto con i suoi ingredienti mi spremono la mente e lente si diluiscono nelle vene raggiungendo ogni più piccola parte di me. Un piacere che non passa inosservato al leone che è in me, che subito drizza il pelo e spulcia le mie viscere liberandomi da quel solletichio impertinente. Il lupo, invece, riprende vigore, scuote il nevischio sul dorso e, sebbene ancora intorpidito dal freddo, guadagna spazio abbandonando per un po' le lande desolate del mio capo nord. La fame si nutre di speranza, si sa, ma non al punto da non riconoscere la verità quando essa si presenta con tutta la sua violenza davanti agli occhi. Con la testa china, allora, la belva non può fare altro che ritirarsi nuovamente perché l'inverno è alle porte e questa volta sarà freddissimo. Mai rientro a casa fu più doloroso per me. La casa completamente e volutamente in disordine, biglietti ovunque, mobili e oggetti spostati. Solo ora mi rendo conto della mia meschinità. Quello che io chiamo sfida è in realtà il grido di dolore di un'anima che si sente a disagio e ha perso le ali per volare libera. E chi sono io per costringere una persona a vivere una vita che non sente sua? Quello che per me è un contratto sicuro, per Nazli è una prigione e a metterla dentro sono stato proprio io. Come ho potuto essere così insensibile da non rendermi conto di tanta sofferenza? La mia cecità è arrivata al punto da non vedere le catene che ho allacciato intorno a colei che reputo la persona più importante della mia vita. Cecità o dovrei piuttosto dire egoismo? Sì! Solo un egoista incatena una persona. Egoista e per giunta ipocrita, perché ho nascosto il tutto con le grinfie di un contratto. Solo ora mi rendo conto che il lupo in me non si affatto ritirato. Anzi! Con le sue arti subdole ha ingannato tutti mentre intrecciava con i rami di sedicente legalità la trappola più meschina che ci possa essere. Essere immondo, mai sazio, aveva già pronte le fauci e con la bocca imbavata lambiva la mia Nazli. E io? io gliel'ho permesso! Il freddo pervade le mie membra. Ma questa sensazione è ben poca cosa rispetto alla vergogna che attraversa le mie ossa, scivola nelle vene, gonfia i miei muscoli. Un'esplosione di rabbia e delusione verso ciò che sono diventato. Ho giocato con Nazli come un generale in battaglia. Troppo concentrato su me stesso, non mi sono reso conto che c'era un'altra terra ad essere dilaniata da questa guerra. Nazli ha urlato e io non ho riconosciuto il suo grido. Come posso pretendere di stare al suo fianco? Sono fuori dalla sua vita e non per colpa sua. La ferita che questa consapevolezza apre in me è intessuta di veleno, il peggiore perché realizzato con la mente e col cuore. Sono un verme che striscia sulle sue miserie. Il dolore si espande e divampa come un incendio. Una lotta si scatena in me. Le due belve ormai sono ai ferri corti. Scalpita il leone desiderando sbranare il lupo. Questo, dal canto suo, sfugge non senza aver lasciato assaporare il mordente della sua tessitura. Il desiderio di Nazli ha offuscato il buon senso. Non è una giustificazione valida ma è la verità. Il mio senso di inadeguatezza aumenta. Dov'è finito Ferit Aslan e la sua proverbiale saggezza? Dov'è la politica dell'equilibrio, della sobrietà, della legalità? Dove? Soggiogato dal piacere ho lasciato scuoiare il mio leone. Ho venduto la sua pelliccia al mercato dei sensi. Ho strappato gli artigli per rivestire le zampe dell'altra bestia. Ho spaccato il suo trono facendone un altare sacrificale. È vero. L'amore rende ciechi e io lo sono diventato nel peggiore dei modi. Spinto da chissà quale futile illusione ho permesso alla carne di parlare più della mente. La mia anima ha ben motivo di non rientrare in me! Ma il dolore che provo non deve essere fine a se stesso. Ferit Aslan è tornato e ora ricucirà i lembi della sua pelle, medicherà le ferite e se necessario strapperà la sua pelle irrorando di nuovo sangue le vene. Nazli sarà libera. Un messaggio che diventa premessa, una premessa che diventa realtà. Ma quanto male fa non sentirla più mia! Questa solitudine mi tenta ma non posso costringere nessuno a colmarla. La mattina porta il sole con sé. Nazli, come da messaggio, mi raggiunge sulla barca al porto. Lavo il ponte...ma in realtà sto per lavare la mia coscienza. La mia signora è serena e non immagina cosa sto per fare. Questo mi aiuta. Con una metafora le dico apertamente che è libera, che da questo momento in poi non la cercherò e non la costringerò più. Nazli è visibilmente turbata, ma i suoi occhi splendono. Il suo viso si tinge di rossore e le sue labbra si socchiudono dolcemente. Una sensazione nuova mi attraversa e capisco di fare la cosa giusta. Strappare il contratto è l'ultimo gesto che devo fare. Con la carta fatta a pezzi, i legacci si spezzano e la libertà torna a regnare. Nazli è libera. Io sono libero. Solo ora mi rendo conto che quelle catene con cui avevo legato Nazli erano le stesse che mi costringevano ad essere diverso. Sono libero e pronto a combattere con nuove armi questa guerra. La posta in gioco, però, non è più Nazli ma la felicità di entrambi. Affianco è un posto per pochi. Io e Nazli uno affianco all'altra.

Sotto la pelle di Aslan n.1Where stories live. Discover now