Si spostò i capelli tinti di biondo da un lato e andò a sedersi nell'ultima fila, da solo. Aprì un quaderno controvoglia e ci appuntò qualcosa. Dal primo banco faticavo a vederlo, quindi mi sporsi appena, ma nel farlo, ribaltai il libro di testo e l'astuccio sul pavimento. I miei compagni, intenti a parlare tra di loro, si voltarono, tranne lui. Malgrado il rumore, l'espressione sul suo viso rimase impassibile.
«Lascialo stare, quello è un teppista» bisbigliò qualcuno alle mie spalle.
Raccolsi le cose che mi erano cadute, presi lo zaino e andai a sedermi accanto al nuovo arrivato. I suoi occhi, che prima fissavano un punto imprecisato attraverso la finestra, incrociarono i miei per un istante. Distolsi subito lo sguardo e feci un respiro profondo.
«Ciao. Non avresti dovuto presentarti con i capelli tinti e senza la divisa una settimana dopo l'inizio dell'anno. Sai che è vietato[1]» dissi tutto d'un fiato.
Mi volsi di poco nella sua direzione e notai che gli si era dipinto un sorriso sul viso. «Lo so, ho avuto i miei problemi e ho spiegato la situazione al dirigente scolastico. Per fortuna è stato comprensivo. Grazie per l'interessamento.» Dal tono dolce e allegro capii che la mia invadenza non gli aveva dato fastidio.
«Mi chiamo Ishikawa Kei.[2]»
L'insegnante entrò e invitò lo studente appena trasferito a presentarsi. Jun lo guardò a metà tra la supplica e la rabbia. Nell'aula calò un silenzio imbarazzante. Rassegnato, si alzò in piedi.
«Mi chiamo Jun, solo Jun. Piacere di conoscervi.»
Fece un inchino con il capo e tornò a sedersi.
Il professore si grattò la nuca imbarazzato. «Va bene, hai fatto del tuo meglio. Mi raccomando, ragazzi, trattatelo con rispetto e aiutatelo a integrarsi.»
Udii i commenti sprezzanti e le risatine degli altri causati dalla prima impressione che dava. Jun non si scompose. Anziché prestare attenzione al docente, si mise a giocherellare con un braccialetto e poi a scrivere qualcosa. La fronte gli si corrugò per la concentrazione; lo vidi mordicchiarsi il labbro inferiore. Sembrava distante anni luce da tutto ciò che lo circondava. Accortosi che lo fissavo, indicò un'accozzaglia di frasi e di cancellature.
«È il testo di una canzone. Ci sto lavorando da giorni» spiegò senza che gli chiedessi nulla.
Sgranai gli occhi. «E lo fai durante le lezioni?»
«Perché sei così sorpreso? A volte le parole scivolano dalla mente alla mano e non puoi fermarle. Devi salvarle, per non perderle, ovunque tu sia.»
«Davvero?»
«È così che ci si sente quando si vive per la propria passione.»
Abbassò lo sguardo per tornare a immergersi nel proprio mondo, mentre io continuavo a osservarlo ammirato. Seguii il suo esempio e provai a disegnare qualcosa. Scontento del risultato finale, stracciai il foglio e sospirai.
Quando la lezione terminò, uscì dalla classe e ne approfittai per seguirlo in corridoio. Mi incuriosiva e speravo di poterlo conoscere meglio.
«Non ho bisogno della guardia del corpo. Posso andare in bagno da solo.» Mi sorrise e aggiunse: «Stavo scherzando.»
Infilò le mani nelle tasche dei jeans. Uno strappo nel tessuto evidenziava un livido sul ginocchio. Avrei voluto chiedergli come se lo fosse procurato, invece mi limitai a rimanere in silenzio e contemplare la sua schiena magra.
Non fece in tempo ad aprire la porta che qualcuno lo prese per la felpa e lo scaraventò a terra.
Harada, un tipo dell'ultimo anno che mi perseguitava dal primo giorno, mi squadrò con disprezzo. «Ma guarda chi si vede, il quattr'occhi sfigato. Allora è vero che ti piacciono i maschi, che schifo.»
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