Capitolo 17: Numb

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«Jimin!»

La voce di Yoongi parve alzarsi di cinque ottave per quanto preoccupato fosse. Sentire quei rumori così forti, conoscendo le fragilità di Jimin, lo resero a dir poco paranoico. Sapeva che lo aveva ferito, sapeva che Jimin aveva sempre combattuto contro il desiderio di sentirsi importante per qualcuno, la prima scelta e sapeva quanta fiducia aveva nei suoi confronti. Il biondo lo aveva sempre visto come l'unica persona sulla faccia della terra che avrebbe messo sempre il suo bene al primo posto; che si sarebbe sempre preoccupato prima di lui; che si sarebbe interessato alle sue scelte e le sue passioni senza mai giudicarlo e Yoongi era pronto per essere quel qualcuno. Lo era stato dalla prima volta che lo aveva visto e aveva continuato ad esserlo, nonostante la distanza che li separava per la maggior parte del tempo. Ma purtroppo... la vita a volte ci riserva delle ferite che mai ci saremmo aspettate di ricevere, tantomeno da quel qualcuno tanto atteso e il maggiore sapeva che lo aveva fatto, lo aveva deluso e Jimin non era il tipo di persona che perdonava senza batter ciglio.

«Jimin, per favore! Ti prego, apri la porta!» continuava a supplicarlo di aprire, mentre bussava alla porta con insistenza. «Rispondimi!» ma Jimin non rispondeva, Jimin era fermo, in silenzio, inginocchiato tra i vetri rotti dello specchio, mentre si guardava le mani, osservando il sangue che lentamente gocciolava via dalle sue nocche spaccate. La sua voce gli arrivava ovattata e flebile, come se avesse perso la priorità che prima gli aveva donato. Non aveva la forza di ascoltarlo, non aveva la forza di alzarsi, di aprire la porta e di mandarlo a quel paese. Questo è il problema delle persone rifiutate... sanno come ci si sente a sentirsi esclusi, mandati via, derisi... stupidi. Non avrebbero mai il coraggio di fare lo stesso a qualcun altro, ne soffrirebbero anche loro. 

Era passato troppo tempo senza risposta e Yoongi stava incominciando a tremare. L'ansia che gli stava percorrendo i nervi lo stava lentamente uccidendo e non avrebbe resistito a lungo senza vedere Jimin, senza assicurarsi che stesse bene. Cercò di raccogliere tutta la forza che aveva in corpo e prese a sbattere la spalla contro la porta, cercando di sradicarla dai cardini. Il minore rinchiuso all'interno del bagno, sussultò a quei rumori così bruschi e arretrò impulsivamente, finendo con il calpestare altri vetri rotti. Fu in quel momento, fu con quel dolore lancinante che gli scalfiva la pelle, fu allora che si risvegliò dal suo stato di trance. I suoi occhi presero a lacrimare incessantemente e le sue mani raggiunsero il suo capo, dove le sue dita sottili e piccole si intrufolarono tra le ciocche chiare dei suoi capelli, stringendoli con forza. Voleva che tutto quello smettesse, voleva rimanere da solo con sé stesso, come era sempre stato.

Ma Yoongi era deciso e finalmente riuscì ad aprire la porta, correndo dal ragazzo singhiozzante e sanguinante, sgranando gli occhi dalla sorpresa. «Che cazzo fai?!» urlò in preda al panico, inginocchiandosi anche lui, afferrandogli i polsi con le proprie mani. 

Jimin non rispose, singhiozzando, stringendo i pugni e strizzando gli occhi, scuotendo il capo. Non voleva sentire la sua voce, non voleva vederlo, non riusciva a guardarlo dopo aver saputo che anche per lui... anche per lui era la seconda scelta. «V-vattene» sussurrò, voltando il capo dall'altra parte, allineando il mento con la propria spalla, cercando di allontanarlo. 

«Jimin, guardami» disse Yoongi disperato, mollando la presa sui suoi polsi, andando ad afferrare le sue guance, voltandogli il capo per poterlo vedere in viso. Osservò le lacrime secche sulle sue guance e le goccioline che stavano continuando a cadere sulle sue guance, prima di far cadere l'occhio sulle sue ferite, causate dai vetri taglienti che componevano lo specchio. «Dio, Jimin... dov'è il Kit medico?» chiese, voltandosi, guardandosi intorno, alla ricerca della cassetta medica.

Il minore scosse il capo, agitando gambe e braccia, cercando di spingerlo via. Non voleva la sua compassione, non voleva che lo vedesse ridotto in quel modo per lui. «Vattene!» urlò stavolta, tenendo entrambe le mani sul suo petto. «T-tu non vuoi me...» disse singhiozzando, scuotendo il capo, cercando di riempire i suoi polmoni di aria pulita, ma mai cosa gli era sembrata tanto difficile come in quel momento. «Ness-nessuno vuole me! Sei come tutti gli altri!»

Don't ruin my Christmas - Vkook/KookVDove le storie prendono vita. Scoprilo ora