Capitolo ventuno

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Vorrei dire qualcosa, ma i suoi infidi occhi continuano a scivolare sulla mia figura immobile e la tensione aumenta sempre di più.

Decido di spezzare il silenzio conturbante nella stanza, adesso che i miei non sono presenti. «Mi sono appena ricordata di avere un impegno importante di lavoro, quindi tra poco devo scappare», guardo Kenneth dritto negli occhi.

Martha si alza in piedi con il cellulare stretto in una mano. «Scusatemi, devo rispondere per forza», esce fuori e inizio a giocherellare nervosamente con le mie dita. Per quanto tempo continuerò ancora a mentire?

«Ah, già! Kendra è super impegnata, soprattutto ora che ha ricevuto una promozione», mi dà manforte Eileen. 

«E il mio capo è parecchio esigente, quindi…», continuo a dire.

 Kenneth si affretta ad aggrottare le sopracciglia e ad assottigliare lo sguardo.

Steve ride brevemente. «Ma dai, domani è domenica, Ken! Sono sicuro che gli impegni possono aspettare».

«Non chiamarmi Ken!»

«Non chiamarla Ken!», diciamo io e Kenneth all'unisono. Oh, so il perché del suo sdegno!

L'avevo chiamato così una volta. È soltanto uno stupido ricordo! Non dovrei nemmeno pensarci.

«Dove lavori?», chiede all’improvviso Steve.

A rovinare l'atmosfera è la tosse inaspettata e convulsa di Kenneth.«Stai bene?», gli chiede.

«Certo che sta bene! Gli è soltanto andato di traverso il senso di colpa», la sfumatura sarcastica nel tono di voce di Eileen mi fa ridacchiare. «Ti porto dell'acqua», aggiunge quest'ultima, lanciandomi un'occhiata torva e intimandomi di stare zitta.

«Lavoro per una casa editrice. Piccola, nulla di che», sventolo una mano davanti al viso, sminuendo l’importanza del suo lavoro e dei suoi successi.

«E ti trovi bene?», indaga Steve, avvicinandosi di più a me. Per ogni centimetro di distanza che viene annullato tra noi due, un nuovo nervo scatta all'interno del corpo del mio capo. Ho sempre invidiato la sua pazienza e il suo essere dignitoso anche davanti alle situazioni che lo rendono pressoché irascibile.

Ed è qui che entra in gioco il mio essere vendicativa. «Il mio capo è uno stronzo, ma tutto sommato non è male», mi stringo nelle spalle con nonchalance.

Il mio capo, qui presente, per poco non mi trucida con lo sguardo.

Eileen gli passa il bicchiere d'acqua e lui trangugia il liquido con una tale ferocia che mi pare sia sul punto di scagliare il bicchiere contro il muro.

 «Stai mancando di rispetto al tuo capo, Collins.»

«Non sto lavorando, signor Harrison. Il mio capo non è qui», gli faccio l’occhiolino.

«Sei dannatamente incredibile», mormora.

«Quindi fammi capire», esclama il mio amico con un sorriso divertito. «Quando da piccolo ho fatto lo stronzo con te mi hai quasi preso a legnate, e adesso per gli stronzi invece ci lavori?»

Kenneth stringe i pugni sulle ginocchia e inclina in avanti il busto, guardandolo come se volesse scavargli la fossa in mezzo alla stanza. Assottiglia le labbra e gira di poco lo sguardo di lato. Noto lo spigolo della sua mascella, adesso più rigida che mai.

«Il lavoro mi serve», io ed Eileen ci scambiamo un'occhiata complice. «Mi paga bene, altrimenti sarei andata via da un bel po'.»

«Ho delle conoscenze, se vuoi posso cercare qualcosa per te», la gentilezza nella voce di Steve per poco non mi fa sciogliere.

Boyfriend- Un ragazzo in prestitoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora