22 - Anime Rubate

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Il Dio degli Inganni si trovava nel centro di quella stanza, arredata sempre con quello stile gotico aristocratico, perciò anche lui aveva deciso di adattarsi all'ambiente. Teneva i capelli neri sempre mossi e spettinati e indossava abiti sempre del suo colore, il verde, ma con una sfumatura più scura e i toni generali più cupi.

Ma doveva ammettere che gli piaceva, nonostante non fosse Asgard e nonostante fosse quanto di più lontano potesse esistere dalle sue abitudini, ci si trovava bene. Il castello sembrava essere perfetto per lui, quando camminava per quei corridoi, quando osservava il paesaggio che lo circondava, nella sua mente pensava che avrebbe potuto farlo. Avrebbe potuto essere il Re di quel posto, se avesse voluto.

Aveva sempre avuto tanti dubbi su se stesso, perché sentiva di non essere accettato per quello che era. Ma lì, laggiù in quel Regno Ultraterreno, si sentiva accolto, compreso e quasi venerato. Aveva presto imparato che negli Inferi, più ti comportavi male e più venivi adorato.

Era come una specie di riflesso malato che ti portava ad ammirare quelli che in qualsiasi altro mondo sarebbero stati considerati i cattivi.

E per la prima volta, Loki poteva essere se stesso, poteva generare caos senza preoccuparsi delle conseguenze, poteva ingannare senza poi doversi nascondere. Era una sensazione che lo faceva stare bene, non voleva abbandonarla.

«La prego di presentarsi alle otto in punto nel salone dei ricevimenti, nella terza torre» Clelio decise di ignorare le sue frecciatine, continuando a mantenere un tono distaccato. Non si fidava di quell'uomo e voleva evitare di cadere in qualche tranello.

«Non mancherò» rispose Loki, aprendo la sua bocca in un falso sorriso amichevole e invitandolo, con un cenno della mano, ad uscire dalla sua stanza. Quando la porta in legno grezzo della camera fu chiusa, il Dio si assicurò di far girare quella chiave due volte e di non essere sentito da nessuno, prima di pronunciare quella frase.

«Ti vedo, sai?» disse, lasciandosi ricadere sul letto dal materasso fin troppo duro. Continuò a guardare quell'armadio chiuso. Concentrò il suo sguardo tra la fessura di quelle ante intagliate, incontrando un occhio che lo fissava insistentemente.

Quelle porte si aprirono, rivelando la figura di Elin, con un'espressione arrabbiata.
«Oh, ciao piccoletta» la salutò, facendo incupire ancora di più il suo sguardo.

«Non hai rispettato il piano!» esclamò, avvicinandosi a lui con fare minaccioso.

La bambina era discesa in quel mondo, poco prima che Loki tradisse la Dea dell'Oscurità. Come d'accordo con Lilith, Elin si era presentata alle porte degli Inferi e aveva percorso la strada delle anime dannate, fino al castello, esattamente come le aveva spiegato di fare.

Aveva chiesto a Minosse di parlare con Agatha, che al suo arrivo davanti alla cascata si trovava già lì. Le aveva rivelato il modo in cui Lilith le aveva mentito e il modo in cui l'aveva usata senza scrupoli. E aveva chiesto aiuto a quella strega, pregandola di insegnarle le arti magiche oscure di quel Regno Ultraterreno.

Accecata dalla sua voglia di vendetta verso la Dea, Agatha aveva accettato senza pensarci su due volte, prendendola sotto la sua ala e iniziando sin da subito a insegnarle ad usare i suoi poteri.

Erano ormai sette giorni che Elin si allenava con la Strega e aveva dimostrato la sua grande intelligenza anche in quel contesto, imparando molto velocemente gli incantesimi. E mentre Agatha pensava di formare quella bambina per usarla come ennesima arma contro Lilith, lei faceva di tutto per destreggiare al meglio la magia nera, così da poter aiutare la Dea.

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