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"Non mangi?"
"No...meglio di no"
"Come vuoi"
Flavia non insistette: da qualche tempo Gioia non riusciva mangiare. Tutto quello che ingeriva il suo stomaco non lo tollerava e glielo faceva rigettare fuori. Vomitava quasi ogni giorno, era di umore pessimo e non dormiva nemmeno bene.
"Fla devo andare. Scusami tanto" Gioia si alzó e abbandonó l'amica da sola al tavolo della gelateria. Le dispiaceva andarsene così all'improvviso senza nemmeno dare spiegazioni ma non ce la faceva proprio. Aveva resistito fino a che aveva potuto ma adesso doveva tornare a casa e distendersi sul divano; ovviamente dopo aver vomitato tutto il cibo che non aveva mangiato.
Gioia salì in macchina e mise in moto, aprì del tutto i finestrini e mise la musica a palla. Inspirava forte mentre gli occhi le si inumidivano di lacrime.
Prima di arrivare a casa vomitó lungo la strada almeno tre volte.

Passó un mese e in quel mese le sue condizioni non erano migliorate. Nando, Mirko e Flavia la guardavano preoccupati ma lei continuava a dirli che stava bene, forse era solo una banale influenza.
Ma dentro di se sapeva che non era tutto ok. Le stava succedendo qualcosa: aveva messo su qualche chilo e la pancia le faceva male, aveva fame ma non riusciva a mangiare e il suo umore era sempre sotto sopra.
Gioia aspettó ancora un altro po' senza dare ascolto al suo istinto di donna. "Non ci pensare" si diceva "Vedrai che è solo un'influenza" ma la sicurezza di quelle giustificazioni iniziava a vacillare. Alla fine si fece coraggio e decise di rivolgersi a un dottore.
"Da quanto non ha le mestruazioni?" Le chiese la donna dagli occhiali rossi che aveva davanti.
Gioia la guardó stringendo le labbra in una linea sottile. "Questo mese le ho saltate".
"Bene, ho capito. Allora sarà meglio fare qualche accertamento per capire se lei sia o meno ... - "Non dirlo, non dirlo" sussurrava la mente impaurita di Gioia - ... incinta"
Sospiró per l'agitazione.
Gioia si lasciò toccare rispondendo alle domande insistenti dei dottori che la visitavano anche se in realtà non aveva bisogno di loro: il risultato lo conosceva già, aveva fatto il test una settimana prima. Solo, sperava con tutto il cuore che fosse sbagliato e che quelle persone ne confermassero il malinteso.
Poco dopo la dottoressa, sempre la stessa dagli occhiali troppo luminosi, la guardó sorridente. Ma Gioia in quel sorriso non ci vide altro che la fine della sua vita spensierata e senza regole. La donna le passó una busta sotto gli occhi contenente delle lastre. "Beh, a quanto pare le devo dare una bella notizia - pausa ad effetto accompagnata da una leggera risata - aspetta un bambino"
A quelle parole Gioia non ce la fece più e scoppió in lacrime davanti a quella sconosciuta. Si posó una mano sulla bocca per diminuire l'eco dei singhiozzi. "Non può essere, ci deve essere stato un errore" pensava in preda al panico.
Non lo voleva.
Quel bambino, quel figlio che non sentiva suo ... se ne doveva sbarazzare.
Il sorriso della dottoressa sembró tentennare per qualche secondo e alla fine si spense del tutto. Aveva capito cosa la sua paziente stava valutando. "Ovviamente se non lo vuole potrà sempre abortire. Senta, si prenda una settimana di tempo per pensarci che ne dice? L'importante è che la sua scelta sia cosciente e ben voluta"
Gioia la guardó e annuì docilmente.
Una settimana.
Una settimana per pensare se diventare un' assassina ma salvarsi la vita o diventare la protettrice di una nuova creatura che probabilmente non avrebbe amato.

Durante quella settimana Gioia rimase a casa e non parló con nessuno.
Nando era disperato perché non sapeva proprio come aiutarla. Ogni tantó si appostava davanti casa sua nell'attesa di vederla uscire. Ma Gioia non si fece mai vedere. Nemmeno a Flavia era permesso starle accanto: la sentiva per telefono ma solo per pochi minuti. Quelle telefonate erano prive di sentimenti e Gioia le concludeva sempre con "Sto bene non preoccuparti" oppure "Ho bisogno di rilassarmi, sono troppo stanca, ci sentiamo domani"
E Gioia lo era davvero. Era stanca, il suo fisico la tradiva non rispondendo alle esigenze della mente la quale ogni tanto, anche lei, le giocava brutti scherzi. Ormai nemmeno i suoi sogni si potevano considerare belli: nel cuore della notte si alzava sudata fradicia convinta di aver sentito un bambino piangere e urlare con frustrazione.

Tommaso non si era più fatto vedere. Sapeva che le ragazze erano a conoscenza di quello che Mirko e Fernando gli avevano fatto.
E il suo orgoglio di uomo era troppo grande per permettergli di fronteggiarle.
Tuttavia a casa di Gioia ci doveva andare. Aveva lasciato camicie e pantaloni di marca nella stanza degli ospiti e doveva fare in modo che quella pazza della sua ex non gli bruciasse prima che a lui fosse permesso riprenderseli.
Un mercoledì pomeriggio staccó prima dal lavoro. Aveva ancora la chiave di quella casa: quando stavano insieme Gioia gliene aveva data una copia. Entró trovando tutte le luci spente. Silenzio.
Probabilmente Gioia non c'era e lui per un attimo si sentì felice di non averla trovata in casa.
Era riuscito a trovare la sua roba e a metterla in uno scatolone di cartone rovinato quando udì dei rumori provenire dal bagno.
C'era qualcuno che tossiva.
Sembrava stare male.
Tommaso, quasi senza pensarci, si diresse in quella direzione e aprì la porta della stanza molto lentamente, senza far rumore.
Nessun cigolio.
Appena entró ciò che lo colpì fu subito l'odore pungente del vomito e trovó Gioia in vestaglia china sulla vasca.
Era accasciata a terra con gli occhi chiusi e la fronte sudata.
Tommaso le arrivó alle spalle e chinandosi alla sua altezza le sorresse i capelli e le accarezzò la schiena.
Gioia sussultó a quel tocco e quando lo vide sgranó gli occhi nonostante le bruciassero.
"Che ci fai qui?" gli chiese senza cortesia.
"Sono passato a prendere la mia roba"
"Bene, ora che l'hai presa puoi anche andart ..." Gioia inizió a tossire e vomitó di nuovo le poche fette biscottate con cui aveva pranzato. Tommaso la sostenne fino a quando gli spasmi terminarono.
"Ti vado a prendere dell'acqua" disse ma nel mentre si voltó per uscire dal bagno e dirigersi in soggiorno per poi andare in cucina, i suoi occhi caddero sul cestino nero vicino al water.
Lì dentro, un test di gravidanza semi avvolto in un pezzetto di carta.
Gioia ne aveva fatti altri durante la settimana perché il suo cervello non riusciva a capacitarsi di quello che a lei sembrasse un errore e un enorme sbaglio. Ovviamente tutti risultavano dannatamente positivi.
Tommaso si scordó all'istante del bicchiere d'acqua che le aveva promesso, si voltó verso di lei e continuó a fissarla fino a quando anche lei lo guardó negli occhi. Gioia incroció i suoi e capì immediatamente quello che avevano visto prima di posarsi su di lei. Gioia passó lo sguardo da Tommaso al cestino per poi riportarlo su di lui.
"Tom io ..." non ebbe il tempo di finire la frase che Tommaso era già uscito dalla stanza dirigendosi a passi svelti in salotto. Gioia si alzó e barcollando reggendosi la testa e la pancia dolenti lo seguì implorando di fermarsi e di ascoltarla, che gli avrebbe spiegato.
Il terrore in lei si trasformó in panico non appena lo vide frugare nella sua borsa.
"Tommaso cosa fai? Eh? Tommi? Tommaso rispondimi!"
Ma Tommaso non la stava nemmeno a sentire. Scaraventó la borsa sul divano e vi ci rovesció tutto il contenuto.
Il cellulare: finalmente l'aveva trovato. Aveva bisogno di chiamare una persona e quella persona nella sua rubrica Tommaso non l'aveva. Gioia capì al volo e cominciò a sbraitare e a urlare di non farlo, che sarebbe stata una pazzia e che si sarebbe rivelata una notizia troppo grande per gestirla tutti insieme. Una notizia che avrebbe rovinato tutti quanti. A nulla però i suoi sforzi servirono a qualcosa: Tommaso compose il numero e aspettó che dall'altra parte gli rispondessero.
Gioia lo picchiava sulla schiena e lungo i bracci ma per lui i suoi deboli tentativi di farlo smettere erano inutili.
L'avrebbe fatto.
Quello stronzo doveva sapere.
Era l'unico modo per renderlo infelice e per vendicarsi di quello che gli aveva fatto al suo faccino delicato.

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