Dark

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La sveglia suonó rompendo il silenzio pacifico della stanza. Io sbuffai rifiutandomi di aprire gli occhi, nella speranza che ignorandola magari sarei riuscita a dormire un pochino di più; purtroppo però passarono solo cinque minuti prima che la sveglia suonasse di nuovo. Infastidita feci scivolare un braccio fuori dalle coperte ed il freddo pungente della stanza mi fece venire la pelle d'oca. Senza nemmeno pensarci due volte colpii con la mano quell'oggetto infernale nel vano tentativo di spegnerlo, inutile dire che fui in grado solo di farlo cadere dal comodino. Quel 'Beep beep' continuo ed assordante di primo mattino mi stava già dando alla testa e se c'era una cosa che odiavo quella era esattamente svegliarmi presto. Aprii gli occhi e con un lamento di frustrazione mi diedi lo slancio, contro voglia, per scivolare fuori dalle coperte e giù dal letto.

Rimasi in piedi in mezzo alla stanza, ferma a fissare con sguardo truce e denti stretti la colpevole del mio pessimo risveglio. Nella mia testa non facevo altro che immaginare in quali modi assurdi e crudeli avrei potuto far sì che quella dannata sveglia stesse zitta, magari armandomi di martello avrei potuto sfondarla... o avrei potuto lanciarla fuori dalla finestra, in strada, con la speranza che in quell'esatto istante passasse una schiacciasassi e la distruggesse.

I led azzurri e luminosi della sveglia segnavano le ore 7:30. Erano solo le 7:30 del mattino e a me erano già saliti i primi istinti omicidi della giornata. Fantastico direi.

Alla fine decisi solo di optare per il metodo tradizionale, quindi mi inginocchiai sul parquet scuro della mia stanza e mi limitai a schiacciare il pulsantino per spegnere la sveglia. Un po' mi sentivo in colpa a desiderare l'annientamento di quell'oggetto demoniaco che ogni mattina mi portava all'esaurimento nervoso, dopotutto lo possedevo da quando avevo 10 anni: era stato un regalo di mia zia e, nonostante mi dolesse ammetterlo, ci ero molto affezionata.

La raccolsi e la rigirai tra le mani, non sapevo se essere felice o meno del fatto che non si fosse danneggiata; in quel momento stavo provando sentimenti troppo contrastanti. Inoltre mi ero appena svegliata e dovevo ancora bere il mio amato caffè, medicina di ogni male, quindi non ero nelle facoltà ideali per mettere d'accordo il mio cervello con il mio cuore. Passai un dito sul metallo graffiato della sveglia per pulirla dalla polvere, poi la riposi al suo posto sul comodino.

Lanciai distrattamente uno sguardo allo specchio appeso sull'armadio davanti al letto e me ne pentii subito. I miei capelli neri erano tutti arruffati, sembrava che durante la notte mi fosse esplosa una bomba in testa. La mia bocca si piegò involontariamente in una smorfia di dolore al sol pensiero del doverli poi pettinare e provare a renderli un minimo presentabili per andare a scuola. Era anche vero però che di certo nessuno ci avrebbe fatto caso ai miei capelli impresentabili, non ero mai stata amata nella mia classe, quindi se i miei compagni potevano ignorarmi potevo stare certa che lo avrebbero fatto. Purtroppo non avevo quasi nulla in comune con loro, avevamo interessi e gusti completamente diversi ed inoltre ragionavamo su due lunghezze d'onda completamente differenti. Definirmi sola forse era eccessivo, in classe dopotutto una ragazza a cui stavo simpatica c'era anche se la reputavo troppo esuberante e felice per i miei gusti. Ero sempre stata quel tipo di ragazza a cui non piace stare troppo in compagnia, abbastanza riservata e a tratti forse un po' troppo respingente. Non avevo una buona fama a scuola anche a causa delle mie risposte spesso acide e della mia lingua tagliente ma non biasimo i miei compagni di classe, mi stavo antipatica pure io a volte.

Ad ogni modo però, tutto l'acido che avrei potuto sputare da un momento all'altro scompariva immediatamente non appena Jack, il mio amato gatto, faceva capolino da dietro la porta. Lui era l'unico in grado di comprendermi sempre fino in fondo, capace di rendermi felice anche nei momenti peggiori, era stato il mio primissimo migliore amico. Forse anche l'unico. Bastavano le sue fusa per sciogliermi e il suo pelo morbido e profumato per farmi dimenticare le brutte giornate.

Mi affacciai fuori dalla mia camera da letto e vidi mia sorella uscire dalla sua con il suo solito fare principesco, come se si stesse avviando verso la sala principale del suo palazzo reale in attesa che la servitù le servisse la colazione. Che arroganza.

Non ho mai avuto un buon rapporto con Clarissa, mia sorella, di certo tra noi non scorreva buon sangue. Non facevamo altro che farci dispetti e litigare, o per lo meno quello sembrava essere il suo hobby preferito dato che in realtà a me, di lei, non poteva semplicemente che fregarne di meno. Era solo così tremendamente irritante nel suo modo di fare. Viveva in un mondo fatato e pieno di brillantini dove tutto le era dovuto e del quale lei era la regina indiscussa. Doveva sempre aver ragione lei e gli altri dovevano sempre essere nel torto a prescindere da tutto. Ci scontravamo perchè semplicemente io ero l'esatto opposto. Quando lei sognava di andare a fare un giro in gondola per i canali di Venezia, io desideravo solamente andare ad un concerto di una delle mie band metal preferite, quando lei pretendeva vestiti costosi e sfarzosi a me bastavano semplicemente un paio di pantaloni in pelle, la mia cintura borchiata, un top a caso possibilmente nero ed i miei bracciali in cuoio. E se lei si divertiva a prendere il tè delle cinque, in tazze di ceramica cinese, con i pasticcini in compagnia delle sue amiche "dame di corte", a me bastava semplicemente una birra in bottiglia, bevuta guardando fuori dalla finestra mentre ascoltavo un po' di sano grunge o rock per essere più che in pace con me stessa.

Ma nonostante l'arroganza e la supponenza di Clarissa i miei genitori ed i miei parenti più stretti sembravano, per una questione a me ancora sconosciuta, venerare mia sorella come fosse Dio in Terra. Dovevo ammettere, però, che la cosa che mi infastidiva di più di lei era la sua innata capacità di eccellere sempre in tutto e di attirare di conseguenza sempre tutte le attenzioni.
Era sempre così dannatamente perfetta che alla fine era finita con il montarsi la testa, raggiungendo così atteggiamenti al limite del vergognoso. Diciamo che lei ed i miei genitori erano uno dei tanti motivi per il quale perdevo, giorno dopo giorno, sempre più fiducia nel genere umano.

Fortunatamente questo mio fortissimo disinteresse nei confronti degli altri mi permetteva di vivere una vita abbastanza tranquilla, soprattutto a scuola dove mi veniva particolarmente facile ignorare le persone. La mia classe, essendo per la maggior parte femminile, era diventata a mio malgrado una passerella di alta moda, una sfida continua a chi aveva l'outfit più bello. Non mancavano quindi i commenti disgustati sul mio abbigliamento poco femminile o il mio modo di truccarmi un po' pesante.

Non ero mai stata una VIP e mai mi sarebbe interessato esserlo, soprattutto dopo che alla domanda della prof di italiano 'qual è la tua massima aspirazione nella vita?' avevo sentito un gruppo di ragazze rispondere con 'diventare tronista a Uomini e Donne'. Degrado. Preferisco mille volte di più essere chiamata 'stramba' o presa in giro che associarmi a quel tipo di persone.

A maggior ragione quindi non vedevo per quale motivo avrei dovuto adeguarmi alla massa seguendo stupide mode e adottando stupidi comportamenti da ragazzine frivole e senza un minimo di spessore.
Perché diventare una copia plasticosa e rigida, senza cervello delle milioni di ragazze che girano a scuola e per strada? Non vedevo per quale motivo dovevo iniziare a vestirmi in un determinato modo, pensare solo determinate cose e vivere ogni giorno come se fosse una passerella di moda illuminata dai milioni di flash dovuti agli scatti dei fotografi. Non volevo nemmeno essere come mia sorella: la perfetta protagonista di un film in pieno stile 'Principessa Sissi'. Io volevo essere solo me stessa. Me stessa e nessun altro.

L'unica cosa che mi avrebbe potuto far cambiare idea sul genere umano sarebbe stata poter fare amicizia con qualcuno che non sapesse giudicare ogni singola cosa, qualcuno che si lasciasse alle spalle i pregiudizi e che avesse il coraggio di ribellarsi alla massa, proprio come tentavo di fare io. 

La gente mi reputava strana, rideva di me e del mio modo di vestire. Mi considerava una ragazza troppo diversa. Ma era proprio questo il punto: il diverso spaventa sempre quando non lo si conosce. Volevo solo che qualcuno provasse a uscire dagli schemi malati in cui si trovava, così da poter aprire gli occhi su quello che in realtà era davvero. Mi chiamavano 'pazza' perchè vestivo cuoio, borchie, catene e collari, ma in realtá io ero semplicemente me stessa e avrei voluto che anche gli altri provassero a trovare il loro vero Io senza dover per forza inseguire degli schemi di bellezza imposti dalla società.

Io la mia armonia l'avevo trovata, avevo trovato il modo per esprimere quelle emozioni che reprimevo da sempre e quell'amore per la musica che in pochi hanno davvero. Per questo ero Dark.

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