Capitolo 1

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Marzia


Corro lungo il sentiero che costeggia il cimitero e imbocco il vialetto che dà sull'aranceto della Duchessa. Saltello sul posto e guardo il cronometro: ho stabilito il mio nuovo record mensile.

Quella testa di cazzo di Nunzio ne sarà felice! Questo significa che posso concedermi un bel premio. Mi avvicino a uno degli alberi e afferro un'arancia. È soda e profumata. Non vedo l'ora di gustarmela. Mi sfilo lo zaino tattico dalla schiena assieme al fucile e li butto a terra. Mi siedo alla base del tronco e assaporo il frutto. Se fuori sembrava buono, dentro è anche meglio. Uno dei pochi prodotti di quest'isola che meriti di essere apprezzato.

Raccolgo la mia roba e mi rimetto sul vialetto; i lampioni che lo costeggiano cominciano ad accendersi, nonostante manchi ancora un po' prima che arrivi la sera.
Oggi la servitù ha ricevuto ordini di non badare a spese o forse mi stanno dando il bentornato a casa? Sorrido, oltrepassando le guardie armate al portone d'ingresso della villa, e senza indugio mi dirigo in piscina. Il rapporto della sera può aspettare, dopotutto sono in anticipo. Mi svesto in fretta e furia e mi lancio in acqua; riemergo dopo qualche secondo e mi sdraio sul dorso. Chiudo gli occhi: l'acqua fredda mi rilassa e i miei muscoli ringraziano.

Qualcosa di pesante cade in piscina, sollevando spruzzi su di me; con un rapido movimento di gambe mi rimetto in verticale.

«Che minchia fai, picciotta?!» Nunzio mi fissa con occhi carichi di livore dal bordo piscina, reggendo in mano il mio fucile.
«Lo capisti che l'addestramento giornaliero finisce solo nel momento in cui sei rientrata nella tua casupola?! Potevo essere un fottuto nemico e ti avrei inculata a sangue con la tua stessa arma! Cinque anni a ripeterti sempre le stesse minchiate!»

Questa paternale se la poteva proprio risparmiare. «Hai così poca fiducia nei tuoi stessi uomini, Nunzio? O forse hai paura?» Gli rivolgo un ghigno compiaciuto. «E poi come mi avrebbero mai potuto inculare con un fucile scarico? Le munizioni le hai buttate in piscina insieme allo zaino.»

L'uomo continua a fissarmi con gli occhi spalancati per un paio di secondi. «Ottima reazione! Non andasti nel panico quando sentisti il rumore e non battesti ciglio per le mie parole gentili!» Posa il fucile a terra. «Ma avrei sempre potuto avere un'altra arma con me e allora ti avrei fottuta.» Ride di gusto come l'imbecille che è.

Non ho la minima voglia di rispondergli. Vado verso la scaletta della piscina senza mai togliergli gli occhi di dosso, esco dall'acqua e lo raggiungo. «Mi cercavi per qualche motivo a parte questo test di riflessi? Se è per il rapporto, sarò pronto stasera dopo cena, come sempre.»

Il suo sguardo da porco si posa per un istante di troppo sulle mie tette. «La Duchessa decise di anticipare la data della tua Prova, tieniti pronta.»

Il mio cuore comincia a battere forte per l'emozione. «Vuoi dire che... presto potrò fare ritorno a casa? Non è uno dei suoi soliti scherzi o prove, come li chiami tu?»

Mi guarda con gli occhi stretti a fessura. Brutto segno. Mi preparo a difendermi da uno dei suoi scatti d'ira.

«Quando nomino la Duchessa, non scherzo mai, picciotta.» Nessuna reazione fisica, per fortuna.

Non sto più nella pelle. Questo significa che a breve potrò lasciare questo postaccio e riabbracciare mio fratello! «Quando comincio?»

«Già cominciasti, da questa mattina.» Gira i tacchi e se ne va.

Altro che una semplice arancia, qui c'è proprio da festeggiare!
Mi dirigo a perdifiato verso la mia dependance, a recuperare lo zaino ci penserà la servitù. Chiusa tra le quattro mura, lancio un urlo di soddisfazione. «Sì!»

Libera dal peso del mio armamentario, recupero un telo e mi asciugo in tutta fretta. Non vedo l'ora di parlarne con Lillo! Tra poco finisce il turno e non staranno a rompergli le scatole se si intrattiene un po' con me. Mi metto addosso una maglietta e un paio di bermuda e vado verso la villa. Salgo i gradini, ignoro i soliti tizi armati e percorro il corridoio principale fino alla cucina. Spalanco la porta. «Ehi L—»

Una forchetta d'argento scivola dalle mani del mio amico e finisce sul pavimento. Pallido e molto sudato, Lillo mette il dito indice sulle labbra e sussurra: «Chiudi la porta.»

Faccio come mi dice e vado verso di lui. «Si può sapere che stai c—» Non ho bisogno che mi faccia di nuovo segno di tacere.

In un panno ha raccolto un buon numero di posate, lo lega e ne fa un fagotto. «Ti prego, non mi giudicare. Ma ho bisogno di soldi e quelli che guadagno qui non mi bastano.»

«Ma sei impazzito? Se Nunzio ti scopre, ti taglia la testa e la dà in pasto ai suoi maiali.» La mia voce è flebile. Vorrei aiutarlo ma cosa posso fare?

«Devo rischiare, non ce la facciamo con quello che mi danno qui. E poi la Duchessa ha altri dieci servizi d'argenteria, di sicuro non sentirà la mancanza di qualche posata.» Le mani di Lillo tremano. Prende il fagotto dal cassetto e lo poggia sul mobile.

Prendo un lungo sospiro e raccolgo la forchetta rimasta sul pavimento. «Aggiungi anche questa al tuo bottino e seguimi.» Apro di poco la porta, non passa nessuno nel corridoio. «Esci dalla finestra della sala da pranzo e non passare vicino a nessuno; con la tremarella che hai in corpo non ci metterebbero nulla a scoprirti.»

L'unico amico che ho in questo posto mi guarda e abbozza un sorriso. «Grazie, Marzia. Anche da parte della mia famiglia. Non lo dimenticherò.»

«Vai adesso, riccioli d'oro, e non guardarti mai alle spalle.» Lascio passare Lillo e chiudo la porta. Aspetto qualche secondo ed esco anch'io. Pazienza per i festeggiamenti, ci penseremo domani. Ritorno alla dependance e mi concedo una lunga doccia calda. Mi asciugo e lego i capelli a coda di cavallo, la stessa acconciatura che avevo quando ho lasciato Foggia. Chissà se Amedeo mi riconoscerà quando ci rincontreremo.

Recupero il mio diario dal cassetto del comodino e lo sfoglio; arrivo alla data del 7 ottobre 2015. Eccolo qui, il giorno o meglio la notte in cui il Marchese ha ordinato che ci separassimo e che io venissi qui per addestrarmi. Prendo la foto che custodisco in quella pagina: ci siamo io e mio fratello. Sfioro il contorno dei nostri visi, così simili nonostante i cinque anni di età che ci dividono. Il mio fratellone; chissà quante conquiste avrà fatto coi suoi occhi profondi e scuri e i suoi zigomi alti e ben definiti. Giro la foto e leggo ancora una volta la promessa che ci siamo fatti poco prima di essere separati.

Non lasciare mai che ti cambino e ti facciano diventare come loro.

Sorrido.

«Hai visto? Sto facendo proprio come ci siamo promessi...»

Faida AncestraleWhere stories live. Discover now