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<Leggere le parole di Dalila per me è come guardarsi allo specchio.

Mi domando che vita abbia avuto... ma, devo attendere fino a domani per saperlo, stasera ho qualcosa da fare... .

Mi preparo ed esco, come quasi tutte le sere: vado in uno di quei locali dove è facile fare nuove conoscenze. E' come le altre sere: un ragazzo carino e simpatico che mi offre da bere, parliamo e poi finiamo la serata a casa sua.

E' talmente abituale per me che ormai non riesco più a capire se ne ricavo piacere oppure no.

Anche Dalila aveva le mie stesse sensazioni? E' la prima cosa a cui penso quando mi sveglio all'improvviso in piena notte, nel letto sconosciuto.

Vado via senza neanche salutare e torno a casa, solo le 5.30.

Prendo di nuovo le memorie di Dalila e torno a leggere>.


<Il 15 Ottobre 1911 era il giorno in cui arrivai a Grosseto.

Era la prima volta che vedevo una città: era così dispersiva che mi sentii minuscola. L'ansia mi salì pensando a come avrei fatto con le poche lire che avevo.

Da quello che avevo sentito dire dalle altre donne al paese, le ragazze che erano venute in città avevano trovato lavoro come sarte o a servizio presso qualche famiglia.

Camminai per più di un'ora per le strade, quando ad un tratto incontrai due donne che, vedendomi spaesata, mi rivolsero la parola: "Ti sei persa? Sei di fuori?"

Parlai con loro qualche minuto, mi chiesero da dove venivo, se ero da sola, quanti anni avevo e così via. Poi mi dissero che potevano aiutarmi e mi condussero in una piccola locanda.

Mi fecero parlare con la proprietaria, la quale mi disse che potevo rimanere in cambio di lavoro nella locanda. Io accettai.

Mi diede una piccola stanza spoglia. Mentre mi sistemavo sentii delle voci sulle scale: socchiusi la porta e vidi una delle donne che mi avevano accompagnato lì in compagnia di un uomo, mentre salivano le scale parlando e ridendo.

Richiusi la porta e capii che quel posto non era una semplice locanda, dubbi che vennero confermati dalla mia successiva conversazione con la proprietaria, che non usò molte sottigliezze per farmi capire che una delle mie mansioni sarebbe stata intrattenermi con i clienti in camera.

La mia iniziale confusione si trasformò in sollievo quando ripensai alla mia avventura con quel giovane bracciante; trovai ironico il pensiero che i clienti mi avrebbero pagato per qualcosa che avrei fatto anche per nulla.

La proprietaria, che si chiamava signora Donati, mi chiese se sapevo come fare per evitare di rimanere incinta; dissi di no e lei mi spiegò che avrei dovuto utilizzare una scorza di limone tagliata a metà, ogni volta che lo facevo e inoltre bere un'infuso a base di una pianta prima di  ogni volta.

Il mio primo cliente fu un giovane di circa venticinque anni, il quale fu abbastanza cortese; lo facemmo due volte e ogni volta era sempre meglio, il dolore era scomparso e lasciava spazio solo al piacere, che non avevo nessuna difficoltà a trovare.

Appresi poi dalla signora Donati che la media di clienti di ogni donna che lavorava lì era fra i dieci o dodici per notte, non essendo un bordello tradizionale. Fortunatamente la locanda, sebbene fosse di modesto lignaggio, era ben frequentata: i clienti erano di età compresa fra i venti e i quarant'anni, (salvo rare eccezioni), erano cortesi e ci trattavano bene.

La signora Donati ci diceva che eravamo fortunate poiché nelle case di piacere dei bassifondi era molto peggio.

Per la prima volta indossai un corsetto e avevo perfino la vasca da bagno in camera.

Una sera poi arrivò un giovane sui sedici anni, il quale era la prima volta che giaceva con una donna.

Dopo che io lo ebbi spogliato, ci mettemmo a letto iniziammo a "prepararci" all'amplesso e, dopo averlo "aiutato", presi il suo sesso e lo guidai, mostrandogli come iniziare... la sua iniziale reticenza si trasformò presto in passione e ci mettemmo seduti uno sopra all'altro, non si riusciva a distinguere dove finiva il mio corpo e iniziava il suo; lui divenne più concitato e continuò l'attività una prima e poi una seconda volta, finché la timidezza non scomparve del tutto. E devo ammettere che rimasi soddisfatta tanto quanto lui.

Poiché l'esperienza mi riportò alla mente la mia prima volta, decisi di confidare alla signora Donati la mia storia e le parlai delle mie crisi isteriche e del mio ricovero; lei mi disse che era una storia comune a moltissime donne e che alcune di loro erano finite nei manicomi, questo avveniva perché le famiglie non sempre capivano la causa e non comprendevano il bisogno di avere un corpo caldo abbracciato. E aggiunse che la soluzione era o il matrimonio o intraprendere la vita di donna pubblica, la seconda era preferita dalle donne con un appetito più grande delle altre, donne che lei riteneva più fortunate poiché non obbligate alla vita matrimoniale.

Mi parlò di come il corpo della donna fosse fatto apposta per accogliere quello maschile, in modo che si completino l'un l'altro.

Non avevo mai considerato questo aspetto riguardo a quella vita, ma il tempo diede ragione alla signora Donati: ogni giorno non vedevo l'ora che scendesse la sera, desideravo ardentemente sentire il tocco di quei corpi, ricevere quelle carezze e sentire il desiderio che mi riscaldava.

Sebbene arrivavo agli ultimi clienti stanca, non c'era per me rifugio più pacifico di due braccia che mi stringevano. Le notti erano come  la luce dell'alba per me.

Non ebbi mai più crisi e né presi più i farmaci.

Camelia neraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora