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Sono stata a trovare mia madre. Non sapevo come trovare le parole giuste per spiegarmi, ma alla fine sono uscita a farle capire.

Anche stavolta lei è stata comprensiva; mi ha detto che non dovrei essere troppo severa con me stessa e che forse mi sto preoccupando per niente.

Quando le ho fatto capire che la mia non è un'esagerazione, è andata in soffitta ed è tornata con un vecchio libro. Mi ha chiesto di leggerlo perché forse conteneva una risposta alle mie domande.

Quando le ho chiesto cosa fosse mi ha risposto "I pensieri di qualcuno che si è chiesto le stesse cose che ti stai chiedendo tu".

Il libro ha tutta l'aria di essere un diario. E dev'essere molto vecchio.

Apro la prima pagina e la data in cima riporta "Grosseto- Settembre 1919".

Al margine c'è il nome dell'autore: "Dalila Maggesi". Il cognome di mia madre.

Dalle prima righe comprendo che non si tratta di un diario, ma di una raccolta di memorie.

Faccio fatica a capire... in che modo può aiutarmi la raccolta di memorie di una donna vissuta all'inizio del ventesimo secolo?>


<Sono nata nel 1895, da una famiglia di agricoltori, ero la seconda di cinque figli. La nostra famiglia era povera, ma unita, a noi figli non è mai mancato niente.

Nessuno nella mia famiglia era letterato, ma eravamo tutti grandi lavoratori.

Mia madre mi ha raccontato che quando sono nata avevo la "collinetta" fra le cosce pronunciata*[1], difetto che è migliorato col tempo, ma che è sempre rimasto presente.

Io ho sempre saputo di essere diversa dalle mie sorelle. Durante l'infanzia* [2] uno strano desiderio iniziò a farsi strada nel mio corpo... coglievo ogni occasione per stare da sola in camera mia iniziare ad esplorare il mio corpo.

A volte trovavo sollievo usando il getto d'acqua, in cortile.

Tuttavia il sollievo che mi dava era solo momentaneo, invece che spegnere il fuoco lo alimentava ancora di più.

Sentivo come del fuoco liquido che mi scorreva nelle vene.

Non parlai mai a nessuno della cosa, nemmeno con le mia sorelle, ma a sedici anni iniziai a soffrire di alcune crisi di nervi.

Dato che continuavano a ripetersi mio padre disse di portarmi dal medico e così mia madre mi portò in città. Il medico mi fece alcune domande, di cui capii solo in parte la natura e poi mi diede un flacone da prendere una volta al giorno.

L'unica cosa che riusciva a distrarmi un pò era la mia passione per il  disegno: ero solita disegnare il paesaggio rurale e fare ritratti alle mie sorelle, col tempo perfezionai la mia tecnica.

Correva l'anno 1911 e in quel periodo nella nostra zona iniziano a spuntare diverse fattorie e alcune di esse si allargarono fino ad includere diversi acri di terreno.

Aumentarono anche il numero dei braccianti che lavoravano per loro.

Ricordo una volta che io e le mie sorelle andammo nei campi e vedemmo da lontano alcuni dei braccianti che lavoravano. Eravamo abbastanza vicine da poter distinguere le forme dei muscoli delle braccia e la pelle bagnata dal sudore.

Rimasi come rapita ad osservare i muscoli delle braccia che diventavano tesi tutte le volte che si allungavano o sollevavano qualcosa. Il sole metteva in risalto l'abbronzatura causata dall'esposizione ai raggi.

Volevo vedere di più e così chiesi alle mie sorelle se il giorno dopo potevamo avvicinarci di più alla fattoria, loro risposero che era meglio non farlo, ma non bastò a frenarmi.

E così il giorno seguente andai da sola vicino alla fattoria. Era quasi il tramonto, poiché ero stata indaffarata tutto il pomeriggio nell'orto.

Mi avvicinai in maniera furtiva e notai che non c'era quasi nessuno in giro. Dietro ad un capanno c'erano delle lenzuola stese e quando sentii delle voci andai a nascondermi dietro di esse.

Sentivo uno scrosciare d'acqua. All'improvviso ebbi paura di essere vista.

Poi scostai lievemente uno dei lenzuoli: rimasi esterrefatta da quello che vidi... in un piccolo cortile c'erano i braccianti che si stavano lavando.

Erano circa otto. Non riuscii a staccare gli occhi dai loro nudi corpi ruvidi che si bagnavano.

Un paio di loro erano di bell'aspetto, giovani e slanciati, alcuni invece erano più corpulenti, con le spalle larghe e le cosce sode.

Scorrevo con gli occhi i loro muscoli, finché il mio sguardo si posò sul sesso. Ero incuriosita ed estasiata dalla vista: alcuni erano di dimensione maggiore, mentre altri erano medi.

Non ero ben sicura di quale fosse la loro funzione, ma avvertivo un'inspiegabile attrazione.

Mentre "saziavo" la mia vista e i miei sensi con quella visione, che mi aveva dato più diletto di qualunque altra prima, all'improvviso sentii un grande calore e, sebbene non riuscissi a guardare altrove, dovetti andare via da lì.

Corsi a casa e mi chiusi in camera per "placare" il calore.

Tutto ciò non fece altro che provocarmi una brutta crisi nella notte: ricordo solo che mi svegliai gridando e mi salì la febbre. In seguito mi dissero che la mattina seguente mi portarono con il carro in città, dove il medico mi visitò.

Anche lì ebbi una crisi, anche se non la ricordo. Il medico fece allora  la sua diagnosi: isterìa. *[3]


*[1] per "collinetta" si intende il clitoride.

*[2] per "infanzia" si intende pre-adolescenza.

*[3] Le cause dell'isterìa sono molteplici e diverse. Le teorie del passato al riguardo non sono state provate.

Camelia neraМесто, где живут истории. Откройте их для себя