Capitolo 3

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Il profumo di pioggia e muschio mi pizzicò le narici.

Il vento aveva incominciato a soffiare leggero, poi sempre più incalzante da quando ero entrata in metropolitana, ed ero in seguito uscita.

Le foglie gialle degli alberi vennero trasportate dalla corrente in una danza mistica e leggiadra, che solamente in questa stagione dell'anno era possibile assistere. Disegnavano nell'aria forme invisibili, circonferenze astratte e suggestive, come una matita su un foglio lasciata libera di esprimersi. Non so bene perché, ma l'incontro con Sebastian aveva avuto un buon effetto positivo su di me. La sua spensieratezza era riuscita a risollevarmi, in un qualche modo.

Mi strinsi nel mio golfino blu scuro e corsi diretta al Filligan Pub.

Il bar alle 20:30 cominciava ad affollarsi al mio arrivo. Nella sala principale, sotto la luce traballante di una vecchia lampada trovai Jennifer che stava servendo un tavolo e mi salutò da lontano. Jennifer Vermignoli era la mia collega ormai da due anni. Non potevo ritenerla un'amica stretta, ma da quando avevo abbandonato la scuola, e le compagnie del centro, non avevo più avuto molti amici attorno a me. Jennifer era simpatica e aveva un idea tutta sua di look. Quella sera aveva raccolto i capelli lunghi e rosa in una coda a lato, abbellita da un vistoso fiocco a pois azzurro in tinta con la divisa del pub.

«Ehi, come mai in ritardo?» domandò subito dopo aver riposto la borsa sotto il balcone del bar e essermi legata il grembiule attorno alla vita.

«Ho avuto qualche problema venendo qui».

Mi guardò e rise. «Come ieri con la sveglia?».

«Già» risposi sconcertata. Possibile che non aveva assistito al black out?

«Bé, spero che ora tu sia abbastanza sveglia: ci aspetta un tavolo di venti persone alle 9!».

«Venti? Ma questo è un bar, mica un ristorante».

«Diglielo con Brambilla. Ha invitato alcuni uomini d'affari. La vedo brutta».

«Uomini d'affari?» chiesi con una nota di stupore, sollevando un sopracciglio.

«Sì. Erano quelli di ieri sera che stavano parlando con lui, ricordi? Penso che Brambilla voglia chiudere il locale».

Rimasi un attimo intontita dalla novità flash dell'ultimo minuto. Era una bruttissima notizia. Se davvero quell'incosciente aveva deciso di vendere il locale, voleva dire che presto avrei fatto bene a cercare un nuovo impiego.

«E ti dirò di più. Il capo, qualche ora dopo, è venuto a domandarmi strane cose» la voce, solitamente acuta di Jennifer, si fece più bassa parola dopo parola.

«Mi ha chiesto di te. Ma nulla di importante, te lo posso giurare».

«Magari si è stufato di farti il filo e vuole avere un rimpiego. Che fortuna!» esclamai sarcastica sollevando gli occhi al cielo. Era risaputo del lato maniacale di Brambilla, il proprietario del Filligan, verso il pubblico femminile. Questo suo carattere aveva anche portato la moglie a chiedere il divorzio svariati anni prima, e da quel momento di lei non si seppe più nulla. Un po' mi faceva pena però. Brambilla era il classico uomo dalla battuta sempre pronta, arrogante e orgoglioso. Non permetteva mai a nessuno di mettergli i piedi in testa, e probabilmente questa era l'unica sua qualità, anche se spesso e volentieri non la sfruttava nel modo più corretto.

Avevo sempre provato a cercare del buono in lui, davvero ci avevo provato. Ma senza riuscirci. La presenza sentenziale di un capo poco socievole rendeva quotidianamente l'atmosfera del Filligan Pub irrespirabile e pesante. Per questo non poteva ritenersi il posto di lavoro per eccellenza. In fin dei conti, era anche l'unico lavoro che potevo permettermi, vista la mia scelta di abbandonare gli studi, per giunta anche nell'anno in cui avrei perseguito la maturità. Con i debiti da pagare lasciati in eredità da mio padre, con una madre poco affidabile e una sorella menefreghista, prima o poi mi sarebbe toccata la sentenza finale: lasciare la scuola e far i conti con la vita.

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