Capitolo 13

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Le luci lampeggianti delle auto dei carabinieri lanciavano delle chiazze bluastre sulle mura delle case vicine. Vi erano due agenti che con fare deciso stendevano un nastro rosso e bianco davanti al cancelletto di casa - la mia casa - e a quello dei vicini, mentre tre uomini attendevano alla macchina della guardia medica aspettando indicazioni.

Quel giorno il vento si era fatto più freddo e nell'atmosfera si potevano già avvertire i primi geli dell'inverno sopraggiungere lentamente, nonostante un pallido sole cercasse di farsi largo tra le nuvole grigiastre e inconsistenti. Mi strinsi nel cappotto di Colt Devon, lui non ne aveva bisogno a quanto pare.

Vidi il suo sguardo protrarsi oltre studiando tutto ciò che riteneva degno di attenzione. Infine si volse verso me con una smorfia.

«Ebbene sì: abbiamo un genio tra noi!» affermò divertito.

Lo guardai perplessa e sbigottita allo stesso tempo. Eravamo rimasti fermi senza dir nulla ed era tutto ciò che sapeva dire, ora? Non sopportavo quel suo fare presuntuoso. Esasperata mi risedetti sul sedile in pelle dell'auto, una di quelle che basta una sola occhiata per capire che ci sarebbero voluti un sacco di soldi per averne una. Un'auto dalle simmetrie sportive e arrotondate, color rubino, con gli interni neri e rossi. E' inverosimile pensare quanto quell'auto si addicesse tanto ad una personalità dinamica come quella di Colt Devon.

«Un genio? Ti riferisci a te?» chiesi con disappunto.

«Poetessa non contraddirmi. Mi riferivo al tuo Sebastian. Ha ucciso il tuo vicino di casa e ha contraffatto le prove» confermò indicando un corpo disteso su una barella e coperto da un telo bianco mezzo sporco, che giaceva da pochi minuti davanti al cortile del nostro vicino. Due operatori lo trasportarono via verso l'ambulanza e chiusero le porte.

«Santo cielo!» portai una mano alla testa, sentivo le tempie pulsare. Mi sentii inevitabilmente in colpa. «Io direi più un mostro che un genio».

«No, no. Un genio! Ha ucciso il tuo vicino di casa e a fatto sì che la colpa ricadesse su di te. O meglio sulla tua famiglia. Per la polizia tu e la tua famiglia siete spariti dopo l'omicidio» chiarì mentre con una mano si spettinava i piccoli ciuffi che gli ricadevano sulla fronte. I suoi capelli al sole avevano tutta un'altra tonalità. Erano più biondi, mentre alla sera si facevano più scuri. Così come i suoi occhi diventavano più blu, invece che il solito azzurro acceso.

«Ti sta mettendo alla prova. Conosce le tue abitudini e non ti ritiene in grado di grandi gesta. Pensa che andrai dalla polizia a testimoniare. E questo gli permetterà di trovarti prima del tempo. E' il suo piano». Con gesto rapido della mano si rimise gli occhiali da sole, sedendosi infine al volante della sua auto. Accese il motore e spinse il piede sull'acceleratore fin quando non ci trovammo lontani dal quartiere residenziale.

«Non andrò dalla polizia. Voglio solamente trovare mia madre e mia sor...» mi bloccai. Un pensiero. Uno stramaledettissimo pensiero percorse la mia testa. Come avevo potuto dimenticarmelo?

Colt Devon mi volse un'occhiata fugace. «Che c'è?» domandò.

«Com'è potuto venirmi in mente solo ora?! Mia sorella!» esclamai tutto d'un fiato. «Non può essere tornata a casa! No. Aveva detto che andava dalla sua amica e poi sarebbero andate al Metropolitan insieme. Lei era solita dormire da Daniela quando andava in discoteca, perché il giorno dopo aveva scuola» tirai un sospiro di sollievo. «Dev'essere da lei o a quest'ora si starà preparando per andare a scuola. Ti prego, andiamo a vedere!» lo scongiurai.

«Adoro quando mi preghi in questo modo, poetessa» sogghignò e un attimo dopo partimmo in direzione della casa di Daniela.

Daniela non era in casa. La madre ci disse che era andata a scuola, ma che Ginevra non era con lei. Mi prese un tuffo al cuore. Ci avevo sperato veramente che fosse lì. Per una volta avevo sperato che non fosse tornata a casa.

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