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Leeroy
- Esattamente - dissi prendendo una manciata di patatine dalla busta della ragazza che mi sedeva accanto, e mettendomele tutte in bocca - Perché siamo qui? -
Sunny si scostò una ciocca di capelli arancioni dalla fronte e mi guardò con i suoi occhi nocciola più esasperati
- Perché è la cerimonia di inizio anno -
Alzai le spalle
- Non ci siamo mai venuti -
Rise
- È l'ultimo anno -
- E allora? -
- Sta zitto e partecipa -
Ghignai tra me e me e non protestai. Ero abituato a fare quello che mi diceva lei. Sunny era la mia unica amica in quel posto chiamato liceo, era l'unica che potesse prendersi certe confidenze con me. Era anche l'unica a non essere terrorizzata al pensiero di parlarmi, perciò era normale che ci tenessi ad averla accanto.
Presi il pacchetto di sigarette e ne tirai fuori una, la gomitata di Sun mi fece capire che non era d'accordo con la mia scelta. Alzai gli occhi al cielo e questa volta feci di testa mia e l'accesi.
- Non rompere -
Lei mise il broncio, ma non provò a buttarmela come l'ultima volta, doveva essersi arresa al fatto che non avessi alcuna intenzione di togliermi quel vizio.
Espirai il fumo e vidi un paio di ragazzini più piccoli girarsi infastiditi, alzai un sopracciglio e chiesi semplicemente
- Problemi? -
Loro non appena videro che ero io, si alzarono e scapparono. Sorrisi e continuai a fumarmi beatamente la mia sigaretta, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e gli occhi che vagavano pigri per le file di studenti che rumorosi occupavano gli spalti.
Mentre cercavo, ripensavo a quando era iniziata tutta quella storia del terrore.
All'inizio quando mi ero trasferito a Fort Hale, quel paese inglese non troppo lontano da Londra, ero semplicemente lo sfigato da sfottere. Qui i ragazzi erano nati e cresciuti insieme, e io ero solo il figlio di un operai alcolizzato, troppo bravo in matematica per non essere preso di mira.
Avevo sempre cercato di non farmi sottomettere da quegli stupidi figli di papà con la puzza sotto il naso, ma avevo sempre subito. Le medie erano state un inferno. Poi le cose erano cambiate alle superiori.
Lo sviluppo mi aveva reso più alto e avevo iniziato a frequentare ragazzi più grandi, che mi avevano portato sulla "cattiva" strada.
Poi mio padre era stato arrestato ed ero dovuto crescere all'improvviso per proteggere me e mia madre dalle voci, dalle malelingue, dalle dita puntate alle nostre spalle.
Avevo iniziato a lavorare, a fumare, a riempire il mio corpo di tatuaggi, a ritrovarmi in sempre più risse, a darne sempre di più piuttosto che riceverle, a far tardi la sera, a scopare, ad andare a scuola sbronzo e pieno di lividi, ma vivo è sempre più grosso e minaccioso, grazie alla fatica, alla palestra, alla vita sempre più pesante e fastidiosa.
Avevano smesso di provocarmi (almeno alcuni) e avevano iniziato a girarmi al largo, guardandomi di sottecchi come se fossi un animale strano e selvaggio, e a me andava bene così. Dopotutto era quello il modo in cui mi sentivo.
Il colpo di grazia per la mia vita sociale c'era stato l'anno precedente, quando non mi ero preoccupato di nascondere la mia bisessualità. In un piccolo paese del genere era stato un vero e proprio scandalo.
Sunny in tutto ciò era stata l'unica a rimanermi accanto.
L'avevo conosciuta non appena ero arrivato a Fort Hale. Lei era un'altra emarginata, un'altra anima solitaria, ci eravamo semplicemente trovati.
Io il nuovo con un padre violento e disoccupato.
Lei la bambina con una ragazza madre.
Per noi cercare calore umano l'uno nell'altro era stato quasi scontato e quando l'avevamo trovato non avevamo più potuto farne a meno. Non avevo mai neanche pensato di far sesso con lei, la rispettavo troppo per violarla in un simile modo. Ero protettivo, geloso, volevo che avesse il meglio. Era preziosa, troppo importante per banalizzare tutto con una notte di sesso.
Non ero mai stato innamorato. Avevo avuto tanti partner, ma nessuno mi aveva mai lasciato addosso il bisogno di rivederlo per più di una notte. Avevo conosciuto solo l'odio e iniziavo a credere che fosse l'unica cosa ad essere destinata a me. Mi poteva andar bene, bastava non aver altre rotture di scatole.
Quei pensieri si collegarono perfettamente alla testa gialla che trovai nella folla.
Diedi un tiro di sigaretta con gli occhi fissi su lui.
Non lo vedevo da tre mesi.
Frequentavamo ambienti molto diversi e non ci era mai capitato di incontrarci. Peccato, ci eravamo salutati così bene l'anno prima. Ghignai e riportai la sigaretta fra le labbra. Sunny vide la mia strana espressione e seguì il mio sguardo fino ad esclamare:
- Oddio no. Ti prego. Anche quest'anno, no. -
Non le risposi, concentrato com'ero su di lui, lo stavo fissando così intensamente che alla fine, come se lo avessi chiamato, lui si voltò.
Andrew Harrison.
Un nome e un cognome che negli ultimi 10 anni avevano occupato gran parte dei miei pensieri, e che mio malgrado potevo associare solo a quel paio di occhi azzurri che mi stavano fissando come se volessero fulminarmi. Il mio ghigno si fece involontariamente più ampio, mentre lui mi fissava intenzionato a non cedere per primo e dandomi così la possibilità di osservarlo per bene, come 10 anni prima, quel primo giorno di scuola, in cui avevo deciso che al mondo non ci fosse nulla di più insopportabile di quel bambino biondo dall'aspetto troppo curato e viziato.
Come spiegare cos'era successo quel giorno?
Ecco: era accaduto l'esatto contrario di Sunny.
Mentre in lei avevo riconosciuto una mia simile, in Andrew avevo visto la mia nemesi. Odiarlo era stato ovvio, e continuare a farlo per il successivo decennio un dovere.
Alto. Biondo. Occhi azzurri. Bel fisico. Ricco. Figlio del sindaco. Popolare. Capitano della squadra di calcio.
Il sunto di tutto ciò che faceva schifo in quel mondo per il mio modesto parere.
Anche in quel momento mentre semplicemente lo guardavo, non potevo fare a meno di sentire un certo fastidio sotto la pelle, un qualcosa che ormai era diventato una sensazione famigliare.
Era un fastidio profondo e irrazionale, che mi dava scariche d'adrenalina in tutto il corpo e mi faceva perdere la testa, tutto in lui mi irritava. I tratti del viso classici e delicati, la pelle chiara, i capelli tagliati corti, lisci di un biondo dorato (purtroppo) naturale, che lo facevano sembrare un gigantesco sole parlante. Gli occhi grandi e azzurro ghiaccio che avevo il potere di far diventare freddissimi. Il suono della sua voce, il rumore dei suoi passi, il suo modo di ridere spontaneo e fragoroso... Tutto in lui mi faceva arrabbiare. Mi faceva provare l'impulso di rovinarlo. Troppo perfetto. Troppo luminoso. Troppo tutto. Sentivo che sporcarlo era una missione per me.
Per questo dopo una serata di eccessi avevo fatto quel che avevo fatto l'anno prima. Non me n'ero comunque pentito. Era stata una bella vendetta per tutti gli anni in cui lui e i suoi amichetti si erano presi gioco di me. E ne era valsa la pena anche solo per il modo in cui capitano testa gialla mi stava guardando in quel momento. Era evidente che non aveva superato l'accaduto. Meno male. Sorrisi pensando che se c'era una cosa che apprezzavo in quel ragazzo, era il suo non deludermi mai. Aveva sempre le reazioni che mi aspettavo.
Mi odiava tanto quanto io odiavo lui, e non c'era nulla di più esaltante per me di quella consapevolezza.
Non resistetti e gli mandai un occhiolino da lontano. Andrew indurì lo sguardo e mi mostrò il suo dito medio.
Scoppiai a ridere e il suo azzurro si scurì.
Quando il preside iniziò il tradizionale discorso di inizio anno, fu costretto a voltarsi, ma io continuai ad osservarlo per tutto il tempo.
L'avevo quasi dimenticato: anche lui non aveva paura di me.

Broken HeartsWhere stories live. Discover now