«Allora, si può sapere cosa c'è da urlare tanto?».

Marie mi guardava con i suoi occhioni, più cerbiattosi ancora rispetto al solito, e giuro su Dio che la sua faccia era così impertinente e carina che pensai di doverle fare una foto per i posteri.

«Allora, voglio che tu ti sieda e che prenda un bel respiro».

Mi sedetti con lei al tavolo della cucina – piccola parentesi sulla casa di Marie: internamente era come la casa di Barbie – e solo allora notai che c'erano una bottiglia di vino da stappare e due calici appoggiati vicino al lavandino.

«Beviamo presto, oggi», commentai.

«Voglio festeggiare con te, amica!», trillò Marie. «Allora, ti ricordi che avevo spedito in giro un po' di curricula dopo la laurea?».

La cosa simpatica è che Marie è l'unica persona al mondo a usare la parola "curricula": la gente non lo usa mai il plurale. «Sì, certo».

Mi squadrò con aria ammaliante, come se la sapesse più lunga di tutti.

«Oh, non dirmelo», feci io mentre iniziavo a capire il motivo di tanta agitazione. «Ti hanno assunta da qualche parte?».

«Il British».

Provai una sensazione strana, come se mi avesse appena detto di essere una strega di Salem reincarnata. «Il British? Quel British Museum?».

«Quanti ne conosci?».

Si vedeva lontano un miglio che non riusciva a trattenersi e che voleva a tutti i costi raccontarmi ogni cosa, quindi mi limitai ad appoggiarmi allo schienale delle sedie shabby e sorrisi. «Spara».

«Ah, non ci potevo credere!», urlò gesticolando. «In pratica avevo mandato questo curriculum senza aspettarmi assolutamente una risposta, ok? E infatti sono passati mesi».

«Un annetto».

Mi indicò con aria eloquente. «Esatto! Quindi davo per scontato che la mia richiesta fosse stata cestinata per sempre. E invece», aggiunse agitandomi davanti un foglio fresco di stampante, «ho ricevuto questa e-mail in cui mi viene detto che posso fare un colloquio!».

Il mio entusiasmo, lo ammetto, calò di una tacca. «Un colloquio? Credevo fossi già assunta».

«Ma mi assumeranno senza ombra di dubbio», gracchiò Marie, fuori di sé. «Vogliono una guida che sia di madrelingua francese per i gruppi turistici».

Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce se glielo avessi chiesto, ma Marie una volta aveva detto che "la metà dei turisti che va al British non capisce veramente una mazza di arte". Perciò trovavo un po' ironico il fatto che sarebbe andata a fare proprio quello.

«Deve essere la pena del contrappasso», commentai.

Mi lanciò un'occhiataccia. «Insomma me ne vado in Inghilterra! Ti rendi conto?».

«Pianino», la frenai ridacchiando. «Vai in Inghilterra solo per un colloquio, giusto?».

«Beh», borbottò, «veramente il colloquio lo faccio dopodomani tramite Skype. Sai, non pretendono che io voli fin lì per niente. Ma è certo che mi assumeranno, figuriamoci».

«Qualcuno è sicuro di sé».

«Beh, chiaro! Laurea con lode alla Sorbona, che altro vogliono? Che mi bacino le chiappe!».

Risi forte. «Stappiamo, allora!».

Marie aprì la bottiglia di vino rosso e versò due calici, poi portò tutto in tavola. Diciamo che finire una bottiglia in due dopo il mojito con Paul non era una cosa mai fatta, ma ammetto che la mia abitudine all'alcool era diminuita parecchio nel corso del tempo. Non avevo quasi più toccato niente da quella notte a casa di Max, con tutto il casino che ne era seguito.

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