Non dissi nulla a Paul. Come potevo? Mentii a tutti dicendo che ero malata, non volevo nessuno intorno. Lo dissi anche a George, anche se credo sapesse perfettamente il motivo per cui volevo starmene da sola.

 Come potessi scrivere la tesi in quelle condizioni non lo sapevo, comunque era il caso che mi dessi una mossa se volevo discuterla in estate. Delacroix aspettava e, per la verità, in quei primi giorni di marzo continuò ad aspettare.

 Non mangiai molto, non avevo appetito, lo stomaco mi si chiudeva ogni volta che pensavo di dover ingerire qualcosa per non morire. In compenso fumai tutte le sigarette che avevo e anche quelle che comprai in seguito, finché non mi imposi di darmi una regolata o avrei finito i soldi.

Una settimana dopo il disastro, Jacques mi trovò in quelle condizioni: sdraiata sul pavimento della mia camera come un Cristo in croce, una sigaretta tra le labbra e un pacco di appunti su Delacroix tra le mani.

 «Beh», commentò fermandosi sulla porta, «almeno non ti fai di ecstasy come Rob».

Non avevo idea di chi fosse Rob, ma non me ne fregava niente. «Non mi farei mai di ecstasy, quella roba non mi merita», replicai asciutta. «Jacques, devo dirti una cosa».

 Ridacchiando entrò nella stanza, si sdraiò sul mio letto e si passò una mano sul viso. «Mi metto comodo, sospetto ci vorrà del tempo».

 Mi misi seduta, le mani dietro la schiena a puntellarmi contro il pavimento. Ero incredibilmente calma quando risposi: «No, in realtà è molto semplice. George ed io abbiamo fottuto».

 Jacques sgranò gli occhi e balzò in avanti, stravaccandosi sul materasso e allungandosi verso di me. «Starai scherzando! Dio santo, perché io non sono mai a casa quando succedono queste cose?».

 «Non dirmi che non te l'aspettavi».

«Certo che me l'aspettavo, Léo, ma da un'altra persona! Tu certe cose non le fai».

«Mi sento sporca come una battona».

 Fece un sorriso ironico, mettendo in mostra due file di denti dritti. «Le battone non sono poi così sporche come si pensa».

 «E tu lo sai bene, eh?».

 «Cercavo di tirarti su di morale».

 Appoggiai la fronte al bordo del letto, gli occhi chiusi, e quando li riaprii lo fissai come se potesse magicamente regalarmi la soluzione a tutti i miei problemi. «Passerà, vero?».

 «Che cosa deve passare?», domandò. «Il senso di colpa?».

 No, certo che no, se fosse stato solo senso di colpa avrei potuto anche conviverci. La cosa che più mi spaventava era che avrei potuto rifarlo in qualsiasi momento, avrei voluto rifarlo, perché la sensazione di benessere che mi aveva dato il corpo di George che si muoveva contro il mio era la stessa che avrebbe provato un drogato pieno di eroina.

 «L'ossessione», risposi. «Dimmi che passerà».

 Per la prima volta da che lo conoscevo, Jacques si liberò del sorrisetto di scherno e mi rivolse uno sguardo dolce, comprensivo; mi accarezzò la frangia scura con la mano piena di cerotti per l'eccessivo Call of Duty e non so dire quanto mi fece bene quel contatto quasi fraterno. «Léo, io e te non eravamo molto in confidenza all'inizio, ma ultimamente ci siamo avvicinati e vorrei dirti una cosa che penso da un po'».

 Una lacrima colò fuori dal mio occhio destro e la goccia di mascara cadde sulla trapunta, macchiandola. «Ti prego, dillo».

 «Paul non ti piace, o almeno non più come prima. Perché ti ostini a voler rimanere con lui? Non sono cazzi miei, ma mi viene spontaneo chiedermelo».

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