Avevo smesso di pensare a George nel momento stesso in cui mi ero addormentata, la notte di capodanno, dopo aver addotto un orribile mal di stomaco ed essermi dileguata dalla festa dopo appena mezz'ora dal conto alla rovescia. Non avevo nemmeno dovuto salutarlo, era scomparso chissà dove.

Il cuscino aveva accolto la mia testa – e la bava che era colata dalla bocca – come un vecchio confidente e mi ero addormentata di sasso, un sonno profondo e poco riposante.

 Mi ero risvegliata il giorno dopo con un mal di testa che avrebbe fatto invidia ad un pirata beone ed avevo ciondolato stancamente per la casa. Io e i miei coinquilini sembravamo un gruppo di zombie, quel primo di gennaio, ciascuno reduce da una festa diversa. Però devo dirlo, io li battevo tutti, nonostante fossi rientrata ore prima di loro. Ero così pallida da suscitare domande scomode, come ad esempio: "Ti sei fatta, Léo?".

 A guardarmi, sembravo un veterano tornato dalla guerra.

 Eppure George era stato completamente dimenticato. Non ci pensai per l'intera mattinata, né quando consumai un pranzo a base di cereali asciutti e the verde – il mio coinquilino Jacques mi garantì che era un toccasana, per i postumi: immensa cazzata, non fatelo mai – e nemmeno nel pomeriggio, quando crollai pesantemente sul divano, pronta a guardarmi un classico del periodo natalizio: La casa nella prateria.

 Fu solo quando Marie mi telefonò per chiedermi se mi fossi divertita che mi ricordai dell'esistenza di George "Sono troppo carino" Addison.

 «Merda», commentai con spontaneo sgomento quando mi venne in mente il suo bel visino.

«Che hai?», fece Marie all'altro capo del telefono.

 «Niente», mentii.

 Lo sguardo fiducioso e carico di aspettativa di George mi si librò davanti come una specie di visione estatica. Mi accorsi di avere l'espressione di un pesce lesso. Immaginatevelo come un kuokka, uno di quegli animaletti australiani che sorridono anche mentre dormono. Giuro che me lo sarei mangiato, tanto era carino.

 Quando fu impossibile evitare l'argomento e fui costretta ad ascoltarla mentre parlava della gente che avevamo conosciuto, Marie disse con noncuranza: «Sembra simpatico».

«Chi?», chiesi ostentando tranquillità.

«Come "chi"?», domandò dopo un attimo di pausa. «George. Quello con cui hai parlato per tipo tutta la sera. Sei sveglia, Léo?».

Certo, Marie, come no. «Sveglissima», affermai in tutta sicurezza. «Sì, è simpatico. Niente di eccezionale, per la verità».

Era un'elefantiaca bugia, ma era necessaria: per la mia sopravvivenza, oltre che per le innocenti e bendisposte orecchie di Marie. Fu anche sufficiente: lei si distrasse abbastanza da iniziare a raccontarmi – di nuovo – di quanto fosse stato fico vedere Louise cadere a terra in una pozza di umida e appiccicosa aranciata.

 C'era una sola semplice soluzione: sparire per sempre.

Mi chiusi in casa, principalmente per evitare di incrociare anche solo per errore il bel culetto di George e per iniziare a organizzare la mia tesi di laurea.

 Laurearsi alla Sorbona non equivaleva di certo a trovare un lavoro nel giro di poco tempo, anzi, sarei stata solo una dei tanti ed io avevo un bisogno disperato di un impiego remunerativo. Se c'era una cosa che mi piaceva più della nicotina erano i soldi. "I soldi fanno la felicità": me lo ripetevo costantemente, ogni giorno. Era come un mantra: non avevo idea di come sarebbe stato il mio futuro, ma ero sicura che sarebbe stato ricco e pieno di bei soldoni.

O almeno, questo era ciò che mi auguravo. Amavo troppo certi beni di lusso per volervi rinunciare con facilità. Il primo passo per partire alla grande era la tesi, chissà che il mio relatore non potesse decidere di propormi per un master di alto livello o chissà quale altra cosa fantastica.

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