Chapter three.

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Harry 

Il fuoco si faceva sempre più vicino ed io non avevo modo di evitarlo. La gente, sotto al palco, fremeva per l’eccitazione aspettando impazientemente di vedermi completamente sciolto da quella fiamma viola che, minacciosa, si avvicinava verso di me. O meglio, ero io ad avvicinarmi alle fiamme perché uomini incappucciati mi ci stavano spingendo contro. 

“E’ la fine!” “Ora sconterai la tua pena” mi urlavano le persone, con lo sguardo puntato sul mio corpo mezzo nudo esposto in tutto e per tutto e proteso verso quel calore sovraumano. 

Mi chiedevo, spaventato, che cosa avessi potuto combinare per trovarmi lì, in balia della mia pena. 

Le mani degli uomini incappucciati mi premevano sulle spalle, avvicinandomi maggiormente alla mia fine. 

Pensai di essere spacciato, ma poi li vidi: due occhi di ghiaccio tra la folla, in grado di spegnere il calore che stavo accusando e lasciarmi al gelo. 

Lasciarmi morire al freddo. Poi mi buttarono nelle fiamme. 

Mi svegliai respirando a fatica, a causa del trillo del mio cellulare. Le coperte erano accucciate a terra ed il cuscino abbandonato sotto le mie gambe. 

Splendeva un sole tiepido fuori dalla finestra, e nell’aria c’era uno strano odore di fumo. 

Fumo. Come delle fiamme ormai esaurite dove avrei avuto il tempo di bruciare. 

“Pronto?” risposi, cercando di mascherare l’evidente respiro accelerato. 

“Harry!”

Dall’altro capo del telefono c’era Niall, un amico conosciuto all’università. Era un ragazzo biondo e strambo. Il primo giorno di lezione si era seduto vicino a me, senza rivolgermi parola. Andando avanti, ci presentammo e ci scambiammo il numero. Sembrava uno di quei ragazzini che studiano medicina per accontentare mamma e papà. 

“Hey, Niall. Come stai?” chiesi, provando ad essere gentile nonostante il brusco risveglio. 

“Bene, amico. Ti ho chiamato per chiederti se vuoi venire a pranzo con me” 

Guardai l’orologio sul comodino, erano già le dodici e un quarto. 

Ero in procinto di annuire quando un tonfo sordo mi bloccò. 

Riconoscevo quel rumore, era il suono della chiusura della porta di casa, la stessa da cui ero entrato il primo giorno, la stessa da cui uscivo per frequentare la mia facoltà, la stessa da cui entravano ed uscivano quegli strani uomini ogni sera. 

Mi precipitai fuori dal letto, saltando prontamente le lenzuola ancora raggomitolate per terra. 

La mia destinazione, come prevedibile, fu la finestra. Scostai le tende e mi accorsi che ero arrivato giusto in tempo per godermi Louis Tomlinson, con indosso degli skinny stretti ed un maglioncino blu, uscire fuori dalla casa.

Continuai ad osservarlo mentre camminava piano e si fermava a guardare questo o quell’altro punto del giardino vicino ai viali. Si girò verso la fontana, ed allora ebbi l’immenso piacere di scorgere il suo viso. I suoi capelli erano, come di consuetudine, tenuti su da un leggero strato di gel. Osservava la fontana ed i giochi d’acqua, mentre con un dito ne ripercorreva il bordo. 

L’altra mano stringeva un paio di chiavi e capii che, per la prima volta dal mio ingresso in casa, Louis stava per uscire. 

Con quella convinzione continuai a fissarlo, fin quando lui non alzò lo sguardo ed incrociò il mio, esibendo un mezzo sorriso malizioso. 

Crystal Cage.Where stories live. Discover now