Chapter two.

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Harry

Tra libri e prime lezioni all'università, non mi ero accorto che fossero passate due settimane dal mio ingresso alla villa di Louis. Abituarmi in principio era stato molto difficile date le enormi proporzioni della casa. Ma dal momento che la mia roba era contenuta tutta nella mia stanza - rigorosamente viola - ed era necessario che mi spostassi solo per andare in bagno o per andare a pranzo, era stata solo questione d'abitudine.

Louis non si era fatto vivo, non lo avevo visto nemmeno una volta dopo il nostro primo incontro. Ogni giorno ero costretto a pranzare e a cenare in completa solitudine, fatta eccezione per la cameriera che, regolarmente ad ogni pasto, mi serviva le numerose pietanze che preparava.

Lei era l'unico essere umano che vedessi nel mio piano e con cui fossi stato a contatto.

Mangiucchiai la gommina della matita, mentre un'unica abatjour illuminava il mio libro di Genetica e di conseguenza mi permetteva di studiare. Stavo quasi per sottolineare qualcosa di pertinente segnalato nel testo, quando sentii l'inconfondibile rombo che udivo ogni sera da quando mi ero trasferito nella reggia di Louis.

Mi alzai di scatto e corsi velocemente verso la finestra. Scostai le tende, attento a non farmi scorgere, e mi godetti lo spettacolo: quella sera, era una macchina rossa ad essere parcheggiata vicino a quella mia e di Louis. Ne uscì un uomo biondo, ed anche da parecchia distanza, riuscii ad intercettare la miriade di tatuaggi che gli costellava il braccio. L'uomo si avvicinò al campanello, ed io sentii il ding-dong risuonare per tutta la casa.

Quando finalmente entrò, ed io mi ritrassi dalla finestra, riuscii a sentire solo i suoi passi pesanti salire le scale. Stava andando al piano di Louis, cosa che a me non era concessa.

Lanciai un veloce sguardo alla mia sveglia, posizionata sulla scrivania vicino all'abat-jour: erano le dieci di sera.

"Non venirmi mai a cercare, eccetto che in caso d'emergenza, ma non dopo le dieci di sera"

Sorrisi stanco e mi stravaccai sul mio morbido materasso rivestito di coperte viola. Davanti a me, la porta a vetri lasciava trasparire una luce fioca proveniente dal salone, dove la cameriera, evidentemente, era impegnata in qualche faccenda.

Tentavo di studiare e ci riuscivo fin quando non scoccavano le dieci e allora una macchina, ogni sera di un diverso colore, posteggiava accanto alla mia e a quella di Louis. La cantilena si ripeteva ogni santa sera, con la leggera differenza che ad uscire dalla macchina fosse sempre un uomo diverso.

In sostanza, ogni sera entrava un uomo diverso nella villa, con una macchina diversa.

Ed io li ricordavo quasi tutti quei volti: c'era un biondino che era venuto due volte e quel moro che invece avevo avuto il piacere di intravedere solo una volta. Quel ragazzo giovanissimo dai capelli rossi, e quell'altro dallo sguardo perso nel vuoto.

C'erano uomini e macchine per tutti i gusti e colori. Ed io non potei fare a meno di chiedermi che razza di problema avesse Louis.

Uscii di scatto dalla camera, stanco di essere soffocato da tutto quel giallore che emanava la lampada.

Mi diressi verso la cucina, passando dal salone dove, come avevo previsto, Esmeralda rattoppava un cuscino, viola, per le sedie della sala da pranzo.

Estrassi un bicchiere dalla lavastoviglie e, recuperata l'acqua dal frigorifero, lo riempii fino all'orlo. Ingoiai il liquido velocemente, e fu allora che la cameriera entrò, interrompendo l'ennesimo momento di solitudine.

"Signorino Harold, ha bisogno di qualcosa?"

Poggiai il bicchiere nel lavabo. "Per quanto apprezzi la tua disponibilità, Esmeralda, il mio nome non è Harold, mi chiamo Harry"

Crystal Cage.Where stories live. Discover now