Golden 𝟚

By dyrneromance

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quando la morte mi prenderà per mano con l'altra stringerò te e ti prometto di trovarti in ogni vita - Rupi K... More

Disclaimer ⓘ
Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Epilogo
Extra -
Nuova Storia.

Capitolo 10

196 16 14
By dyrneromance

28 agosto;

Non so neanche io cosa aspettarmi da quest'uscita. Solo quando ho spento il motore della macchina e sono arrivata a Reading ho realmente realizzato ciò in cui mi ero messa. Rivederlo è stato così strano, non so neanche se mi è mancato davvero in tutti questi mesi. Che sciocchezze, certo che mi è mancato. Due giorni dopo sono in un treno diretto a Bankside mentre tiro l'ennesimo sospiro cercando di sciogliere questo nodo d'ansia che mi stringe gola e petto dall'altro ieri. Odio sentirmi così, odio avere costantemente l'ansia e odio quello che sto facendo seppur consapevole di averne bisogno. Quando il treno si ferma, arrivato a destinazione, mi toccano altri diciotto minuti per arrivare al Tate Modern. Oggi ci sono diciotto gradi ma io ne percepisco quaranta, cosa assolutamente paradossale visto che anche d'estate mi capita di avere le mani fredde e il corpo alla ricerca di calore.

Non è la prima volta che mi capita di andare ad una mostra,ovviamente, solo che non ho potuto dare a meno di crearmi problemi su cosa indossare. All'inizio avevo persino preparato sul letto un vestito azzurrino con dei sandali, solo che proprio all'ultimo ci ho ripensato e ho deciso di essere semplicemente me stessa. Lui è Elijah, non si aspetta molto da me semplicemente perché mi conosce e sa che la situazione in sé mi mette già abbastanza disagio. Così ho optato per una maglia bianca leggera a maniche corte e dei jeans stretti che mi fasciano bene le gambe, ovviamente non potevano mancare le mie amate sneakers bianche che ho ricomprato lo scorso mese per la seconda volta nel giro di un anno.

Davanti al museo tutto mi aspettavo di trovare tranne che la folla in fila che spunta dall'entrata e si allunga di almeno un chilometro fino a dove mi sono fermata io. Ci sono persone di tutte le età, parlo di adulti e di ragazzi della mia età. Quasi tiro un sospiro di sollievo quando osservo che anche loro sono vestiti il più casual possibile solo che non è questo a importarmi realmente. Come diavolo faccio ad entrare? Qui tutti tengono tra le mani quello che sembrano dei biglietti di entrata ed io non ho la più pallida idea di dove poterne procurare uno. Mi avvicino alla fila, richiamando una ragazza che sembra non essere troppo occupata in qualsiasi altra conversazione. E indovinate cosa mi dice? Che i biglietti andavano ordinati sul sito del museo o prenotati almeno due giorni prima dell'evento.

Mi maledico mentalmente e mi allontano di nuovo dalla folla per capire cosa fare. Dovrei chiamarlo? Forse è meglio di no, potrebbe non rispondere o infastidirsi perché lo disturberei dal lavoro. Decido di inviargli un messaggio, con le mani che tremano per l'imbarazzo e che mi fanno sbagliare a digitare per ben tre volte.

Hey, scusami se ti disturbo ma non pensavo bisognasse prenotare il biglietto in anticipo e ora non ho idea di come entrare. Posso aspettarti qui fuori, se vuoi.

Sbuffo sedendomi di peso sulla panchina di ferro ai lati del museo e inviando quel messaggio velocemente. Forse avrei evitato di fare la figura dell'idiota se me ne fossi andata direttamente, fingendo di non essermi mai presentata. Passano dieci minuti e la fila si sta accorciando man mano che le persone escono dal museo e, mentre aspetto un messaggio da parte di Elijah, è una sua chiamata a distrarmi.

«Elijah?»

«Oralee, dove sei?»

«Qui fuori, su una panchina ai lati del marciapiede.»

«Okay, aspettami.»

Attacca senza neanche darmi il tempo di rispondere e, proprio mentre sto posando il cellulare, lo vedo camminare nella mia direzione. È davvero bello e sembra quasi ignaro del fatto che tutti lo stiano osservando: insomma, come si potrebbe ignorare una bellezza simile? Indossa un completo nero semplice e una camicia bianca non troppo coprente, infatti riesco a scorgere i tatuaggi che ha sul petto. I capelli sono sistemati casualmente, come suo solito, e un sorriso si apre sul suo volto guardandomi andargli in contro.

«Sono un'idiota per non aver controllato la scadenza per la prenotazione del biglietto» mi rimprovero ancora mentre ci incamminiamo verso l'entrata. Lui sorride guardandomi per poi scuotere la testa.

«Di certo non avrei lasciato che tu pagassi per partecipare alla mia mostra, ecco perché non ti ho detto della scadenza.» Spiega, poi sento la sua mano sul fondo della mia schiena mentre mi invita ad entrare sotto lo sguardo dell'intera fila di persone. Sospiro ancora e, una volta dentro, aspetto che sia lui a guidarmi. Mi fa un cenno con il capo come ad invitarmi a seguirlo, così faccio mentre lo seguo lungo le scale che portano al piano superiore.

Quando arriviamo un'insegna ci indica la direzione della mostra e pochi passi dopo, sulla destra, ci ritroviamo nella sala. C'è abbastanza gente, fanno entrare poche persone alla volta così da non rovinare l'atmosfera. Su entrambi i lati ci sono file di fotografie, attaccate a mo'di luci natalizie, che ritraggono scene di vita quotidiana. Ci sono alcuni blocchi, come delle piccole stanze aperte nelle quali ci sono palchi, piccoli e alti di pochi centimetri, su cui sono esposte altre immagini più impostate e meno spontanee. Tutto è circondato da una luce calda accompagnata da una melodia di sottofondo, è a dir poco bellissimo.

«Che ne pensi?» Quasi sussurra riportandomi alla realtà. Volto lo sguardo nella sua direzione e gli sorrido sinceramente.

«Sono fiera di te, nonostante tutto.» Ammetto senza batter ciglio, Elijah mi sorride per poi distogliere lo sguardo.

Camminiamo lungo la sala, il mio sguardo fisso sulle fotografie e il suo su di me. È come se stesse aspettando qualcosa, un tipo di approvazione che proprio da me non dovrebbe pretendere. Poco più in là, sulla parete sinistra, terzo palco un po' più distante dagli altri, mi ritrovo senza parole. Le riconosco, mi riconosco nelle cornici rettangolari appese al muro, poggiate a terra, che ricoprono l'intero blocco fotografico. È tappezzato di immagini che mi riguardano, alcune scattate al parco di Chepstow, altre in cui sono seduta sulla vecchia poltrona del mio vecchio appartamento a St Davids, al Beachwood Cafè, nel nostro letto dell'appartamento a Dalmwin, due in cui sono concentrata nel dipingerlo, così come altre e altre e altre. A parte per quelle del parco o quelle dell'appartamento, non credevo ne avesse scattate poi così tante altre. Sto arrossendo, me ne accorgo perché sento le fiamme innalzarsi dal mio collo in su mentre Elijah, d'altro canto, sembra ancora in attesa. I nostri occhi non si separano, iride contro iride, giada contro miele.

«Ti infastidisce?» Finalmente mi chiede, scuoto velocemente la testa incapace di smettere di guardarlo. «Sei sicura?» Annuisco, non so cos'altro dire, le parole mi muoiono in gola ogni volta che ci ritroviamo faccia a faccia.

Guardo ancora le immagini che mi raffigurano e prestando più attenzione mi accorgo che proprio al centro, tra tante che ritraggono me, ce n'è una che ci raffigura. Me la ricordo proprio come se fosse ieri, nonostante sia passato davvero tanto tempo. Eravamo a St Davids, un paio giorni dopo aver deciso che sarebbe rimasto da me, dopo avermi raggiunto per chiedermi di uscire insieme. Avevamo ordinato panini e patatine fritte, lui voleva semplicemente scattare una foto ricordo però io ho provato a fare di tutto pur di evitarlo perché quasi sembravo una senzatetto. Proprio perché non volevo farmi scattare una foto, nelle condizioni in cui mi trovavo, che ho provato a infilargli una patatina nella narice. Una leggera risata sfugge dalle mie labbra al ricordo di quella sera e di come volesse poi costringermi a mangiare la patatina dopo il dispetto che gli avevo fatto. Mi volto nella sua direzione e, quando lo faccio, non lo trovo più accanto a me. Corrugo la fronte e mi guardo intorno alla ricerca del suo viso, smetto di farlo solo quando lo trovo occupato con dei visitatori.

Decido di lasciarlo lavorare e di continuare il giro della sala. Le semi-stanze sono sei, ciascuna con il proprio titolo e un proprio tema: la prima è intitolata We are not who we used to be e ritrae la natura morta, quella segnata dalla fine dell'autunno e l'inizio dell'inverno, che ti dice che qualcosa è mutato e ti spoglia di tutte le tue sicurezze, lasciandoti nudo e vulnerabile come lo sono i rami degli alberi quando il vento gelido di dicembre trascina via con sé le ultime foglie rimaste.

La seconda semi-stanza, piena di cieli e nuvole di ogni forma e colore, è intitolata We gotta get away from here è l'emblema della rassegnazione che si trasforma auto-conservazione. Quando capisci che quella cosa è sbagliata, che non ti va star bene e ha bisogno di correre via e di trovare riassicurazione in altro. Capisci che è inutile piangersi addosso, sei consapevole che sei arrivato al termine del percorso e ti rassegni a questo fine. Allo stesso tempo capisci che quella fine è solo l'inizio di qualcosa di meravigliosamente pacifico, che tutto è segno del tempo.

La terza è Trying to remember how it feels to have a heartbeat e rappresenta ogni genere di strumento musicale capace di risvegliare in noi qualcosa che pensavamo fosse scomparso, morto. Il piano per calmare e rincuorare l'animo, la chitarra per fremere sotto le vibrazioni delle melodie o il basso che scarica elettricità, energia e scuote il cuore fino a risvegliarlo.

Lately you've been on my mind, foto dell'asfalto, tramonti in lontananza e la Cattedrale di St Davids creano un tragitto fittizio di foto che vanno dal confine di Dalmwin al soffitto di una delle chiese più maestose d'Inghilterra. Quando pensi che sia sbagliato perché l'altra persona te lo fa credere, lo percepisci senza aver bisogno di parole concrete, eppure stai bene, solo la presenza o l'ombra di uno sull'altro ti tranquillizza, allora è in quel momento che ti rendi conto che tutto è tranne che sbagliato.

Loving you's the antidote, la mia. Non c'è scritto nient'altro, a differenza delle altre, e non c'è neanche bisogno di una spiegazione. Amarmi era l'antidoto? Lo è stato? Perché ora sono io ad averne bisogno.

L'ultima semi-stanza è quella più cupa, quella spoglia, un'unica foto al centro della parete, le ortensie blu. I get the feelin' that you'll never need me again, nessuna spiegazione.

Quando mi accorgo che le stanze sono finite mi sposto di poco e, come se stessi guardando dall'alto, osservo ciò che mi circonda. È per me? Ha organizzato la sua mostra per me e per noi? Sono venuta qui per delle risposte ma non immaginavo che mi sarei fatta altre domande. Lo osservo parlare con un ragazzo, indica una foto, gesticola, il viso è concentrato, attento mentre spiega qualcosa che non posso sentire. Lo guardo un'ultima volta prima di uscire da questa sala.

In corridoio riesco a respirare di nuovo, l'agitazione di oggi mi sta sfinendo e ho bisogno di sedermi e riprendermi un attimo. Fortunatamente ci sono delle panche lungo i muri che separano una sala dall'altra. Sto per sedermi quando sento una voce non troppo familiare richiamarmi. William e Leon si avvicinano con un sorriso ampio, tipico loro, ed io non posso fare a meno di ricambiare.

«Oralee! Accidenti sono secoli che non ci vediamo.» Esclama William abbracciandomi, gli dico che è bello rivederli e saluto anche Leon.

«Come sta Jane? È molto che non ci vediamo e immagino tu sia diventato papà.» Mi rivolgo al ragazzo dagli occhi azzurri che non la smette di sorridere.

«Già, Jane sta benissimo e Reign cresce ogni giorno di più.»

«Per fortuna non ha preso da te altrimenti avrebbe smesso di crescere già qualche mese fa.» Leon si prende gioco dell'altezza del suo amico facendomi scoppiare a ridere mentre li guardo discutere giocosamente. «Vi lascio un attimo, mi sta chiamando Nathaniel» aggiunge poi allontanandosi e lasciando me e William da soli.

Guardiamo Leon allontanarsi poi, appena si assicura che non c'è nessuno intorno a noi, riprende a parlare.

«Onestamente non mi aspettavo di trovarti qui.» Commenta facendomi capire che sa cos'è successo tra me ed Elijah. Sospiro annuendo e provo a formulare una risposta.

«Ci siamo rivisti l'altro giorno da Connor, per caso. Non so neanche io cosa stiamo facendo.»

«Oralee io non so cosa sia successo tra voi due, ad essere onesto non voglio neanche saperlo perché mi immischierei in affari che non mi riguardano. Però ascoltami, soprattutto fidati di chi sopporta quell'idiota da quasi dieci anni.» Dice mettendo una mano sulla mia spalla come per attirare meglio la mia attenzione e trasmettermi fiducia. «Lui è completamente perso di te, non ha smesso un secondo di pensarti ed è frustrante cazzo. In questi mesi, ogni volta che lo invitavamo a bere qualcosa insieme, non si lasciava mai andare. Non ha dato corda a nessuno e lo abbiamo quasi dovuto legare per portarlo dal barbiere.»

Le cose che mi dice William non mi stupiscono tanto, un amico cosa mai potrebbe dire? Lascio una piccola risata ogni volta che prova a sdrammatizzare però so che lo sta facendo solo per avere la mia totale fiducia. Gli credo, non metto in dubbio che Elijah sia pentito. Solo che è tutto ancora un'incognita e chiunque provi a convincermi non fa altro che dare semplicemente aria alla bocca.

«Mi ha spezzato il cuore e se sono qui oggi è per sapere perché lo ha fatto.» Lo fermo prima che possa continuare a parlare per dirmi quanto speciale sia come amico e altre cose che non mi va di stare a sentire. «Ti credo, so che è innamorato di me però, ad un certo punto, ha smesso di dimostrarlo.»

«Non sono qui perché voglio convincerti nel tornare con lui. Voglio solo farti sapere che, indipendentemente da tutto quello che vi è successo, lui non è mai stato innamorato di qualcuno come lo è di te.» E prima che possa dire altro, Leon torna da noi e mette fine a quell'argomento.

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