IGNI

Door Valeroot

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[In riscrittura] Qual è il vostro posto nel mondo? Cassie non ne ha uno. Viene costantemente sballottata da u... Meer

Prima di iniziare
AVVISO
Prologo
1 - La festa (I)
2 - La festa (II)
3 - Comitato di accoglienza
4- La Churchill Accademy (I)
5 - La Churchill Accademy (II)
6 - Incontri (I)
7 - Incontri (II)
8 - Il medaglione
9 - Wenham Lake
10 - Sette shots in paradiso (I)
11 - Sette shots in paradiso (II)
12 - Leggende
13 - Questione di prospettiva
14 - L'invito
15 - I Parker
16 - In maschera (I)
17 - In maschera (II)
18 - Il Sole
19 - Il preside Evans
20 - Sogni
21 - Blackout
22 - Virgilio
23 - Stevow
24 - Ricerche
25 - I Case
26 - Pessime similitudini
27 - Trick or Treat (I)
28- Trick or Treat (II)
29 - Inferno e Paradiso
30 - I mille volti
31 - Collaborazione
32 - I medaglioni
33 - La calma prima della tempesta
34 - La partita
35 - Rivelazioni (I)
36 - Rivelazioni (II)
37 - Cassie (I)
38 - Cassie (II)
39 - Il piano
40 - L'effrazione (I)
41 - L'effrazione (II)
42 - L'effrazione (III)
43 - Fratellanza (I)
44 - Fratellanza (II)
45 - Robin Hill Road
46 - Wenham Lake (I)
Ringraziamenti e avvisi
Alex
Sequel
Extra - Alex
Avviso 🖤

47 - Wenham Lake (II)

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Door Valeroot

Ad oggi non saprei spiegare le emozioni che attraversarono il mio corpo quando Caleb spalancò la porta traballante di quel capanno.

Stupore, sollievo, incredulità furono solo una parte infinitesimale del ventaglio di sensazioni che provai in quel momento. C'era però una verità nascosta che il mio cervello non era stato in grado di cogliere.

Caleb sorrideva.

Non era sorpreso o scioccato come noi. Un semplice e puro sorriso aveva trovato spazio sul suo volto, come se avesse saputo fin dal primo momento chi avrebbe trovato in quella stanza.

Se fossi stata più attenta, se fossi stata più lucida, lo avrei capito in quel momento. E invece quel dettaglio si disperse nel flusso d'adrenalina, come fumo in cielo.

Cosa ci fa lui qui? Questo sembrava l'unico pensiero che il mio cervello era stato in grado di formulare. Perché nessuno di noi poteva aver frainteso le parole di Jenna. Gli Harrison erano il nemico. Caleb era il nemico.

E allora perché conosceva proprio quel posto?

Fu come se tutti avessimo trattenuto il respiro per un lasso di tempo infinito, nel tentativo di congelare quel momento per sempre. Come se non volessimo affrontare le conseguenze di quell'ulteriore fulmine che aveva sconvolto una volta ancora tutto il nostro mondo.

Quella apparente tregua però durò poco. Vidi Alex lanciarsi verso Caleb, ergendosi in tutta la sua altezza e afferrando con forza il bavero della sua giacca.

«Che cazzo ci fai qua, Evans?» Una scintilla sembrava essersi accesa in lui. Non era più la maschera impassibile che aveva pazientemente ascoltato i discorsi di Jenna. Ora sembrava bruciare. Bruciava di tutte le bugie e di tutte le questioni irrisolte che aveva con lui.

Fu proprio Jenna a reagire per prima. Scattò verso di loro e si mise in mezzo. «Smettetela» ordinò, poggiando i palmi delle mani sul tessuto delle loro magliette, per dividerli.

Rivolse un'occhiata inflessibile prima a uno e poi all'altro, ma nessuno dei due sembrava voler opporre resistenza. Caleb aveva uno sguardo deciso e per nulla preoccupato, come se avesse messo in conto quella reazione. Alex invece fece un passo indietro, con un'espressione dura e nauseata allo stesso tempo, prima di scuotere la testa e voltarsi nella mia direzione.

Fu quello il momento nel quale mi resi conto di far parte anche io di quella situazione, che stavo vivendo come se fossi una semplice spettatrice. Troppo esausta per reagire, troppo scioccata per metabolizzarla, sentii i suoi occhi cercarmi, ma io rispondevo con uno sguardo diffidente.

Era solamente un brutto scherzo, vero? Uno di quei miei sogni dove correvo nella foresta e non trovavo la fine. Alex non era reale. Jenna e Caleb neppure. La mia mente doveva aver cambiato il solito schema per accrescere il mio panico, ma era solo un sogno, giusto? Doveva esserlo. Perché la realtà era troppo devastante per accettarla.

Quante persone mi avevano presa in giro?

I tratti del mio viso dovevano essere stravolti, a giudicare dallo sguardo che mi rivolse Alex. Vidi la sua maschera dura incrinarsi, mentre si avvicinava a me. Non capivo bene il perché, ma me ne resi conto quando parlò.

«Respira, Cassie.» Posò la sua mano bollente sul mio viso ghiacciato e la sua espressione arrabbiata si tramutò in una versione più preoccupata. Senza dire una parola, fece scorrere la cerniera della felpa, togliendola velocemente e appoggiandola sulle mie spalle.

Avrei voluto ringraziarlo, o dirgli che non ne avevo bisogno, insomma articolare anche solamente una singola parola... ma non ci riuscivo. L'ingresso di Caleb mi aveva paralizzata. Vivevo quella scena senza essere davvero lì. Come se la ragazza su quello sgabello non fossi io, ma solamente un ologramma senza anima.

Perché ero così sconvolta? Mentre il mio corpo si riappropriava di un po' di calore, la mia mente sembrava aver ripreso a ragionare. Conoscevo Caleb da così poco tempo che la mia reazione era assurda. Cosa aveva messo in allerta ogni fibra del mio corpo? 

Poi, i miei occhi, che continuavano a scorrere tra Jenna e Caleb, capirono. Percepirono l'elemento che risultava così stonato, così sbagliato, in tutta quella situazione, ancora prima che il mio cervello riuscisse a individuarlo razionalmente. 

Strappai una boccata di ossigeno all'onda di emozioni che sembrava volermi far affogare e quell'iniezione d'aria fu tremendamente esplicativa. Rivolsi la mia attenzione a Jenna e Caleb, concretizzando quel timore nascosto che aveva congelato i miei muscoli e i miei pensieri. Erano troppo a loro agio.

«Lui sapeva» mormorai, forse a me stessa, forse ad Alex per avvisarlo del pericolo, dell'ennesima bugia. Caleb sapeva già tutto. La mia non era una domanda espressa ad alta voce. Era una constatazione.

Di nuovo, un silenzio irreale calò sulla stanza. Nessuno dei due rispose alla mia affermazione, ma non ce n'era bisogno. Vedevo il turbamento che si era mescolato finemente con i tratti del loro volto, e nessuno dei due riusciva a sostenere il mio sguardo. Tuttavia, erano uno accanto all'altra, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Bugie. Un mucchio di bugie. Ecco cos'era la mia vita. Non importava quanto mi sforzassi di ricominciare, di fidarmi, di sognare una vita normale. Non l'avrei mai avuta.

Il peso sul mio petto divenne insostenibile. «Ho bisogno di aria» farfugliai, alzandomi ed avvicinandomi alla porta. Vedere il mio respiro infrangersi contro il vetro sporco di fronte a me mi tranquillizzò un poco. Ero ancora in grado di respirare. Potevo vincere l'attacco di panico che si stava impossessando del mio corpo.

Ne ero davvero convinta, almeno finché Caleb non mi afferrò il braccio per fermarmi.

«Possiamo spiegarti, Cassie» balbettò incerto. Quel plurale mi faceva venire la nausea.

Strappai il mio braccio dalla sua presa con una velocità e con una decisione che non credevo di avere ma, in fondo, sapevo perché i miei riflessi fossero stati così pronti. Avevo sentito Alex scattare nell'esatto istante nel quale Caleb si era mosso verso di me. Ancora una volta, l'idea di dovermi preoccupare per gli altri, aveva invaso la mia testa, azzerando il resto dei pensieri negativi.

Era assurdo che controllassi quegli attacchi di panico, solamente quando il mio cervello riusciva a concentrarsi su un'altra persona. Il dolore fisico non funzionava. Imprimermi le dita nella pelle, graffiarmi per provare sollievo non aveva mai prodotto alcun risultato. Il mio cervello sembrava anestetizzarsi solamente quando la preoccupazione per un'altra persona produceva più rumore dei pensieri nella mia testa.

C'era qualcosa di incredibilmente sbagliato, nel fatto che la mia forza di volontà non fosse sufficiente, se dovevo salvare solamente me stessa, ma bastava quando dovevo pensare a proteggere gli altri.

«Ho bisogno di un attimo» mormorai, strisciando contro il muro polveroso e superando la soglia. Non ero sicura di come avrei potuto reagire, se avesse provato a toccarmi nuovamente.

Una volta fuori, la gelida brezza di novembre si cristallizzò sulla mia pelle e sulle mie ciglia, portandomi a tremare in maniera incontrollata. Non ero sicura però che fosse solo a causa del freddo. Mi strinsi nella felpa di Alex, infilando le braccia nelle maniche e inspirando il suo profumo famigliare, insieme a quell'aria pura che mi faceva sentire come se fossi tornata tra le Alpi francesi.

Ecco, forse potevo fare così, chiudere gli occhi e fingere di essere ancora a Chamonix, con James. Quando aveva tentato disperatamente di insegnarmi a sciare, ma io eseguivo tutti i movimenti come se fossi mancina e avevo rischiato di ruzzolare nella neve. Sospirai, sentendo l'accenno di un sorriso che ammorbidiva i miei muscoli tesi. Stava già funzionando.

Fu una pace illusoria però, perché il soffio di un movimento alle mie spalle, fece disperdere quella nube di dolci ricordi.

Alex mi circondò le spalle in un abbraccio, spingendo la mia schiena contro il suo petto, e sentii la sua guancia calda posarsi con forza sulla mia nuca. Fui sorpresa di non avvertire il più piccolo senso di disagio o di agitazione in quel momento. La mia era una reazione diametralmente opposta, rispetto a quella che avevo avuto con Caleb. Sembrava semplicemente giusto.

Appoggiai una mano al suo braccio che avvolgeva il mio busto, chiudendo gli occhi. Non disse una parola, perché, in fondo, non ce n'era bisogno. In quel preciso istante ero consapevole di sapere esattamente come si sentisse, e lui sapeva allo stesso modo di cosa avessi bisogno. Non volevo neanche chiedermi perché ne fossi così sicura. Avevo smesso di domandare il perché di tante cose, quel giorno.

Restammo per un po' in quella posizione, mentre sentivo che la tensione a poco a poco scivolava fuori dal mio corpo. Era sempre così, quando ero con Alex. Mi era servita un'infinità di tempo per capire che ciò accadeva perché con lui mi sentivo al sicuro.

«Sono a tanto così dal prendere una macchina e costringerti a lasciare questa fottuta città.» Il suo respiro caldo mi solleticò l'orecchio, quando ruppe il silenzio.

Mi staccai controvoglia, per voltarmi a guardarlo. L'inflessione della sua voce, rassegnata e arrabbiata allo stesso tempo, mi aveva allarmata. Lo trovai a osservarmi con uno sguardo torvo. Le sopracciglia lievemente corrucciate che evidenziavano ancora di più le pagliuzze dorate dei suoi occhi chiari.

Scossi la testa per liberarmi, una volta per tutte, dei pensieri dannosi che attanagliavano la mia mente. «Sto bene, dovevo solo allontanarmi dai quei due» provai a razionalizzare.

Era stata la sensazione di vivere in una gigantesca bolla di menzogne che mi aveva fatto avere quella reazione. Avevo affrontato il tradimento di Jenna in maniera lucida, forse troppo. Caleb era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Ed ero stanca, mentalmente e fisicamente a causa di tutti quei chilometri nel bosco, mentre rivivevo tutti i miei incubi. Sentivo il mio corpo come se fosse sull'orlo di un baratro. Avrei solo voluto chiudere gli occhi e sprofondare in un lungo sonno. Ma non potevo.

Incastrò nuovamente il mio viso tra le sue dita e per un attimo mi chiesi se anche lui sentiva quell'adrenalina che scorreva tra di noi quando eravamo così vicini, e che ci spingeva sempre di più a cercare il contatto fisico. Perché per me era così. Era come se le mie mani bruciassero ogni volta che eravamo vicini ma non potevamo toccarci, e quel bruciore scompariva quando la mia pelle gelida si scontrava con la sua bollente. Non aveva senso, ne ero consapevole, e per questo faticavo a trovare una spiegazione a quelle sensazioni che non avevo mai sperimentato in diciassette anni.

«Smettila di minimizzare» mi rimproverò dolcemente, inchiodandomi con uno sguardo talmente limpido che sembrava in grado di leggere con estrema esattezza quali fossero le mie paure, le mie bugie e le mie speranze. Ma ormai ero abituata e, per una volta, l'idea che qualcuno potesse capirmi, capire la vera me intendo, non mi faceva venir voglia di scappare.

Le mie labbra articolarono quello che voleva essere un sorriso, ma evidentemente risultò più come una smorfia, perché Alex tornò a insistere. Passò il pollice lungo il profilo della mia guancia, avvicinandosi. «Devi solo dirlo, e mandiamo tutti al diavolo, e ce ne andiamo da qui.»

Era una bugia enorme, quella che stava raccontando, e Alex non aveva alcun diritto di propormi una cosa simile. 

Mi staccai dalla sua presa, ritraendomi. «Smettila» lo ammonii. «Smettila di preoccuparti per me e, soprattutto, smettila di fare promesse che non hai intenzione di mantenere.» Ricambiai il suo sguardo senza le solite barriere di circostanza a schermarmi dal resto del mondo. "Sai quante promesse infrante ho già sentito?" Avrei voluto dirglielo, ma non lo feci. 

"Tornerà, Cassie, vedrai che la mamma tornerà."

"È l'ultima volta, tesoro. Un'ultima spedizione soltanto."

"Verrò alla recita, pulcino, non me la perderei per nulla al mondo."

Non avevo le forze per riporre le mie speranze nell'ennesima bugia. Anche se i suoi occhi sembravano sinceri. Anche se ogni fibra del mio corpo mi urlava di tornare da lui.

Per qualche istante, Alex rimase impassibile, fermo, mentre io mi allontanavo. Poi, liberò un profondo sospiro, alzando il viso verso il cielo. «Tu non hai ancora capito» mormorò con una punta di nervosismo, incredulità forse, non lo sapevo neppure io, mi sembrò quasi tenerezza a un certo punto.

Cosa non avevo capito? Ma non glielo chiesi, perché non ero sicura di voler sapere davvero di cosa stesse parlando, e non mi piaceva quando usava quel tono accondiscendente.

Lui però annullò nuovamente la distanza tra di noi. Mi cinse la vita con un braccio e io glielo lasciai fare perché, di nuovo, io neanche capivo me stessa o il mio corpo, quando lui era vicino a me.

Appoggiò la sua fronte alla mia, ma non incrociò mai il mio sguardo. Chiuse gli occhi e inspirò piano. Era talmente alto che dovetti inclinare un po' il capo per continuare a osservarlo. Perché sembrava sempre così maledettamente facile e difficile allo stesso tempo, con lui?

Alla fine, rispose comunque alla mia domanda implicita. «Non hai ancora capito, che mi preoccupo sempre, se si tratta di te.»

Il mio cuore saltò un battito. Mi faceva paura. Mi faceva paura il modo nel quale il mio cervello stava interpretando le sue parole e... i suoi gesti. E mi faceva paura che, invece di "gesti", la prima parola che aveva attraversato la mia mente era stata "segnali", come se desiderassi inconsciamente che ci fosse di più dietro a ogni sua azione. Sospirai piano. Ma certo che lo speravo. Lo speravo da un pezzo. E allora perché mi ostinavo a prendermi in giro da sola, fingendo che non mi interessasse?

«Dovremmo tornare dentro» mormorai, ma non mi staccai di un millimetro. Ancora una volta le mie parole dicevano una cosa, ma il mio corpo un'altra. Non sapevo neanche perché avessi aperto bocca. Come al solito, era difficile ignorare l'istinto che mi suggeriva di scappare.

Lui scelse proprio quel momento per aprire gli occhi. E forse lo sapeva... Sapeva, che se mi guardava così, rendeva tutto più difficile.

«È questo, quello che vuoi?» mi chiese senza alcuna punta di giudizio nella sua voce. Non c'era un secondo fine, non voleva decidere lui per me. Voleva solamente sapere ciò che desideravo.

Sentivo le sue pupille fisse sulle mie labbra, attente a cogliere ogni parola che ne fosse uscita.

«Dovremmo.» Deglutii agitata. «Ma non voglio» ammisi. Avevo sempre invidiato la sua capacità di dire esattamente come stavano le cose, senza nascondersi dietro a stupide scuse. E ora che ammettevo con me stessa ciò che volevo, lo trovavo liberatorio. L'ipotesi di venire giudicata improvvisamente non mi interessava più, non mi faceva paura.    

Inspirò lentamente, come se stesse facendo uno sforzo immane per restare calmo. «E cosa vorresti?» mi chiese ancora.

E in quel momento capii... Capii che era tutto nelle mie mani, che lui non avrebbe fatto altri passi verso di me perché voleva che fossi io a prendere una decisione. Mi sarei potuta allontanare, ripetere le solite scuse che refilavo a tutti e che raccontavo persino a me stessa. Non mi avrebbe fermata. Avrei potuto sciogliere l'abbraccio e riportare il mio corpo dentro quel capanno, pronta ad affrontare Jenna e Caleb e la miriade di scuse che avrebbero vomitato su di noi.

Avrei potuto. Ma non feci nulla di tutto ciò.

Invece, feci leva sulle punte dei miei piedi, andando ad annullare i pochi centimetri che dividevano le mie labbra dalle sue. Questo era ciò che volevo. Non c'era tequila o situazione di panico che giustificasse le mie azioni in quel momento. Non c'erano scuse e non c'erano scappatoie. E questa cosa mi terrorizzava e mi esaltava. E mi terrorizzava di nuovo.

Non ero riuscita a coglierlo di sorpresa. Forse perché lui aveva già capito cosa volessi, ancora prima di me. Come se avesse semplicemente voluto farmi affrontare le mie paure. La sua mano percorse il tragitto che portava alla mia nuca e si infilò prepotente tra i miei capelli, spingendomi verso di lui, come a volermi avvicinare ancora di più. Non fu un bacio cauto come alla festa di halloween e neanche carico di tensione, come la sera che avevo scoperto del matrimonio di mia madre. Era più bisognoso, in qualche modo necessario.  

E io per un attimo mi perdetti. Sotto al suo tocco deciso, che percorreva il mio corpo tracciando i confini delle mie paure, la mia mente non conosceva più nulla. Niente famiglie incasinate, nessun Consiglio, nessuna leggenda a sporcare il nostro passato e, forse, il nostro futuro.

***

Quando rientrammo nel capanno, Jenna e Caleb erano ancora zitti. Immobili come li avevamo lasciati, continuavano a evitare di guardarci, in una silenziosa ammissione di colpevolezza.

Presi posto sulla sedia che avevo lasciato solo una manciata di minuti prima. Mi sentivo più calma ora. Qualsiasi cosa avessi dovuto affrontare, non sarei stata da sola. Era una sensazione strana, poterlo ammettere con me stessa. Strana ma bella. Forse troppo, per una come me.

«Che ruolo ha Caleb in tutto questo?» chiesi guardando Jenna. Non mi fidavo di lei, e non mi fidavo neppure di lui, ma qualcuno avrebbe dovuto iniziare a darci qualche risposta.

Fu Caleb a rispondere però. Sembrava intenzionato a rientrare nelle mie grazie, perché mi guardava con occhi speranzosi, come se fossi un cucciolo selvaggio da addomesticare e, per un attimo, i brividi e quella sensazione di disagio tornarono a costellare la mia pelle.

«Ti ricordi quando ci siamo incontrati la prima volta, Cassie?»

Avevo un vago ricordo di quando avevo incontrato lui e Alice alla Churchill Accademy e mi avevano fatto fare un tour della scuola, ma non capivo dove volesse arrivare. 

Come se avesse intuito i miei pensieri, Caleb si affrettò a scuotere la testa. «No, non quella volta.»

Aggrottai la fronte, tornando a concentrarmi sulle sue parole. Non capivo cosa intendesse. Quella era stata la prima volta che avevamo parlato.

«Il giorno in cui sei arrivata in città, tuo padre ti ha mandata a parlare con i vicini e c'eravamo anche io e Michael, mio cugino.»

Gli feci un cenno di andare avanti. Avevo subito immaginato che fossero parenti, erano troppo simili con quegli occhi verde chiaro, ma non avevo più ripensato a quella scena nelle settimane successive. Anzi, a dirla tutta, l'avevo completamente rimossa.

«Michael è letteralmente impazzito dopo che ve ne siete andati. Continuava a dire che doveva conoscerti e che dovevamo tenerti d'occhio. Non ho mai visto mio cugino così, sembrava un pazzo. Gli ho detto di smetterla di bere prima delle cinque di pomeriggio e credevo che la cosa fosse chiusa lì. La sera però non riuscivo a dormire perché continuavo a pensare a quanto fosse malata la reazione che aveva avuto. Non poteva essere un caso, così il giorno dopo mi sono presentato da te. Mi sei sembrata un po' scontrosa ma non sono riuscito a capire nulla. Rispondevi a tono o lasciavi cadere l'argomento, è stato...frustrante.» Mi rivolse un sorrisino indulgente. La cosa assurda era che ricordavo quell'incontro esattamente allo stesso modo. Avevo fatto di tutto per farlo andare via il prima possibile.

«Sapevo che mi sarebbe servito più tempo per capire, così ho raccontato ad Alice che ti avevo conosciuta per caso, e che mi sembravi parecchio scombussolata dal nuovo trasferimento. Le ho chiesto di darti una mano ad ambientarti, poi anche Dean ti ha trovata subito simpatica e il resto è venuto da sé.»

Sentivo il cuore in tumulto e la bocca secca. Quindi era così? Caleb, Alice e Dean erano tutti invischiati in quella faccenda. Il peso di quelle rivelazioni calò sulla mia testa annientando la flebile speranza che ero riuscita ad accendere.

Lo guardai ferita. Per tre delle quattro persone che mi avevano accolta a Danvers, io non ero altro che un caso da studiare, un mistero da decifrare. Amaramente ora tutto aveva un senso. Avevo messo subito a tacere quella vocina nella mia testa che mi metteva in guardia da tutta quella gentilezza, i primi giorni a scuola. E ora, se ripensavo a quanto ero stata stupida e ingenua, mi veniva nuovamente da vomitare.

Credo che Caleb avesse intuito la direzione dei miei pensieri dal modo diffidente con il quale lo stavo guardando, perché scosse la testa, mentre il suo volto articolava un'espressione sinceramente dispiaciuta. O almeno, così mi sembrava.

«No, Cassie, non è come credi. Loro non sanno nulla, non sono stati tuoi amici per finta» provò a rassicurarmi. Non so perché fossi convinta di essere brava a nascondere le mie emozioni, visto che tutti a quanto pare sembravano sempre sapere come stessi. Alex, Caleb e persino Alice indovinavano sempre i miei pensieri. E questa cosa mi infastidiva a livelli assurdi.

Lo sguardo sconsolato con il quale Caleb mi fissava poi, mi faceva arrabbiare ancora di più. Non aveva alcun diritto di comportarsi come se fosse lui la vittima qui. Ripensai a tutte le strane coincidenze: l'aiuto con il tagliaerba, il passaggio in macchina, tutte le lezioni che avevamo in comune... più la lista si allungava più il tepore sulle mie guance aumentava. Si era preso gioco di me e io glielo avevo lasciato fare.

La mia difficoltà nel mantenere la calma doveva essere evidente, perché Caleb spostò lo sguardo a terra, come se volesse ignorare quella mia reazione. «Il giorno dopo ho scritto a Michael e gli ho chiesto perché fosse così ossessionato da te. Continuava a ripetermi che non potevo capire, che bisognava tenerti sott'occhio, sembrava un pazzo, Cassie. L'ho pregato di raccontarmi tutto ma non ha voluto. Credo che avesse intenzione di trovare un pretesto per conoscerti e quindi ho fatto in modo che tu stessi con noi. Capisci? Volevo solamente evitare che potesse avvicinarti e prenderti in giro.» Provò nuovamente ad accennare un sorriso, ma ero troppo arrabbiata per rispondere. Non voleva che Michael mi prendesse in giro, ma era esattamente quello che aveva fatto lui.

«Quando ha capito di non avere margine di manovra è tornato da me. Si è scusato e mi ha detto che le nostre famiglie avevano dei trascorsi e di non perderti di vista. Ho finto di assecondarlo e allo stesso tempo ho fatto in modo che avessi sempre qualcuno di noi attorno. Almeno finché non è arrivato lui» disse indicando Alex. Il suo tono era cambiato. Se con me si era sforzato di apparire gentile, con Alex non sembrava aver la minima intenzione di fingere. Si guardarono in cagnesco per una manciata di secondi, ma fortunatamente nessuno dei due aveva più provato ad avvicinarsi all'altro.

Caleb spostò lo sguardo poco dopo, tornando a concentrarsi su di me. Non riuscivo proprio a capire perché gli importasse così tanto di riconquistare la mia fiducia. Avrebbe potuto raccontarmi qualsiasi cosa che tanto nulla sarebbe cambiato. Almeno per me.

«Tu e Alex passavate un mucchio di tempo insieme. Alice era convinta che aveste semplicemente una relazione, ma io temevo che Michael trovasse uno spiraglio per avvicinarti in qualche modo. In ogni caso, non potevo mettermi in mezzo. Ho convinto Alice che avessi bisogno di passare più tempo con noi, ti ho fatta iscrivere alle cheerleader e ho cercato di far tornare Alex nella squadra di football senza successo, quindi alla fine ho richiamato Christian, sperando di tenerlo occupato. All'inizio di tutta questa vicenda, però, non avevo considerato Jenna.»

Se fossi stata più lucida, forse mi sarei resa conto del cambio di tono dell'ultima frase. Sembrava quasi riconoscente. So solo che il mio stomaco si torse ancora una volta, sentendo l'inflessione della sua voce.

Fu lei a quel punto a continuare il racconto. Fece un passo in avanti, rivolgendo un veloce sorriso a Caleb. «Ho iniziato a tenervi d'occhio non appena avete messo piede a Danvers. James mi aveva avvisata del vostro trasferimento ma non sapevo come interpretarlo. Immagina la mia sorpresa quando la prima persona che si è presentata sulla vostra soglia era proprio un Evans.»

Scosse la testa incredula e per un attimo il movimento fluido dei suoi capelli rossi mi riportò all'infanzia, quando giocavo ad intrecciare i capelli di mia madre. Sentivo troppe forze che combattevano dentro di me. Dovevo credere che Elizabeth se ne fosse andata per il mio bene? Dovevo credere a Caleb e a Jenna, che sembravano volerci proteggere a loro volta? E di nuovo, dovevo davvero combattere quella sensazione di voler scappare da tutto? Guardai Alex con la coda dell'occhio. Il suo profilo dritto era accentuato da tratti di nervosismo, mentre le braccia erano incrociate al petto. Sì, forse quella era l'unica decisione facile, perché sapevo che non me ne sarei potuta andare a cuor leggero, a quel punto.

Ancora una volta, Caleb interruppe i miei pensieri. «Ero un Evans che però non sapeva nulla di tutta la storia della Fondazione o del Consiglio. Conoscevo le leggende di mio nonno, così come le conosce Alice, ma per noi erano sempre state solamente le favolette della buonanotte.» Articolò un sorrisino triste. Improvvisamente l'idea che anche lui avesse perso qualcosa in tutta quella storia, divenne più reale. Il mio cervello però continuava a mettermi in guardia.

«Quando ho convinto Jenna che ero all'oscuro di tutto, mi ha raccontato ogni cosa. La nostra discendenza, il ruolo dei Giocatori... tutto insomma. A quel punto ho letteralmente perso la testa e per qualche giorno sono andato alla baita al Wehnam Lake perché non riuscivo a pensare. Alice e Dean mi hanno fatto compagnia per un po', anche se non potevo dir loro perché stessi così. Alla fine ho affrontato i miei genitori, dicendo che Michael mi aveva raccontato un mucchio di storie sui nuovi inquilini di casa Parker e la cosa assurda sai qual è?» Si rivolse direttamente a me, ma non una sola reazione del mio corpo gli fece capire che lo stavo ascoltando. Volevo che mi stesse lontano. Ecco quale era l'unico sentimento che provavo in quel momento. 

Caleb scosse la testa, incredulo, senza dar segno di aver davvero aspettato una mia replica. «La cosa assurda è che hanno negato e io gli ho creduto. O almeno all'inizio pensavo che mi avessero detto la verità. Ma li sentivo sussurrare e si zittivano sempre, ogni volta che entravo in una stanza. Un giorno, quindi, ho aspettato che uscissero di casa e ho aperto la cassaforte di famiglia, alla ricerca di documenti o prove, non sapendo neanche io cosa avrei potuto trovare. Immagina la mia sorpresa quando ho visto un disegno del medaglione che portavi tu a scuola, le prime settimane.»

Estrasse dalla tasca un foglietto spiegazzato e me lo porse. La carta era ruvida e ingiallita, mentre sottili crepe suggerivano che fosse passata tra una quantità infinita di mani.

Cercai di lisciare il foglio con le dita, che però tremavano troppo per riuscire nel loro intento. Alcuni schizzi con la china avevano tracciato i contorni di un medaglione assurdamente simile al mio. Al suo interno però, non era Igni, ma un'altra parola a essere stata scritta: Nocte.

«Chi ha l'ultimo medaglione?» Fu Alex a porre la domanda che frullava nella mia testa da quando questa conversazione era iniziata. Non avevo lasciato che interrompesse Jenna durante il suo discorso, ma ora era arrivato il momento di saperlo.

Lei però mi sorprese scuotendo la testa. «Non lo sappiamo» rispose con un sospiro. Il modo in cui le sue labbra si erano tese nel pronunciare quella frase, mi faceva pensare che stesse dicendo la verità. Sembrava troppo infastidita. «Potrebbe essere uno dei Gantham o degli Harrison, sappiamo infatti che alcuni membri delle due famiglie non erano d'accordo con le scelte imposte dal Consiglio. E questo ci porta alla fine del discorso, ragazzi» fece scorrere lo sguardo tra me e Alex e dovetti reprimere una punta di fastidio nel constatare che non avesse incluso Caleb in quell'affermazione.

Schiuse la mano che stava lentamente torturando l'orlo del suo maglione. Ora sapevo da chi avessi ereditato quel gesto che ripetevo sempre anche io. In ogni caso, non capivo perché adesso sembrasse così agitata. Voglio dire, aveva appena finito di raccontarci un mucchio di storie sulle nostre origini e su un gruppo di pazzi che volevano controllare il mondo e, solamente ora che aveva finito, si agitava? Aggrottai la fronte. Non capivo.

«Questa è una partita per pochi giocatori e, soprattutto, il codice della Fratellanza impone che finché una generazione è attiva, l'altra non deve neppure incontrarsi, per evitare di mettere a rischio la discendenza.» Il mio corpo sembrò percepire ancora prima del mio cervello, il vero significato delle sue parole. «E noi non possiamo ignorare questa cosa» concluse in tono pratico.

Strinsi le braccia al petto, perché avevo la sensazione che una voragine mi stesse consumando. «Cosa significa che la nostra generazione non doveva incontrarsi?» chiesi con voce piatta.

Non poteva essere vero, giusto? Stavo mal interpretando sicuramente, come mio solito. Poi però sentii Alex irrigidirsi accanto a me, e i miei sospetti cristallizzarsi in nitide paure.

Jenna si schiarì la voce. Sembrava... in difficoltà. «Significa che dobbiamo proteggervi» Parlava al plurale, ma rivolse solamente a me quel sorriso dolce e inquietante che sentii appiccicarsi alla mia pelle in maniera così opprimente. Non avevo idea di cosa significasse. Tutto quello che sapevo era che quel sorriso non aveva proprio nulla di protettivo.

Perché sentivo che stava per pronunciare le parole che avrebbero ridotto in polvere il mio mondo per la seconda volta nel giro di poche ore?

Si mosse un po' a disagio sulla sedia, come se avesse voluto allungarsi verso di me, ma alla fine ci avesse ripensato.

«Dobbiamo proteggervi» ripeté, «e per farlo, dovrete continuare le vostre vite, come se non si fossero mai intrecciate» continuò piano, probabilmente consapevole dell'effetto che avrebbero avuto su di me. «Capisci, Cassie? Non era destino che tu e Alex vi incontraste

Tutto attorno a me si fermò. Non sentivo più il rumore del vento fuori dal capanno. Niente cinguettio degli uccellini, niente fruscio delle foglie, nessun canto delle cicale o di qualsiasi altro maledetto animale ci fosse in quel bosco. Il ticchettio del mio orologio sembrava essersi bloccato. Non sentivo neppure più il mio respiro che si era incagliato dolorosamente in un punto imprecisato del mio corpo. C'era solo il nulla. Come al solito.

Quando passi la vita a cercare di proteggerti da qualsiasi situazione, credi sempre di essere un po' più forte degli altri. È una convinzione  stupida, ma è un qualcosa di involontario che non puoi controllare razionalmente. Così come, quando fronteggi una serie di eventi difficili, credi di aver accumulato abbastanza esperienza per affrontare qualsiasi cosa.

Per un po', avevo solamente visto labbra rosse di Jenna muoversi, ma il mio cervello aveva rifiutato di ascoltare quelle parole. Ad un certo punto però, il loro vero significato era piombato su di me con la stessa forza distruttrice di un uragano. Avevano lasciato solamente un'immensa sensazione di desolazione, che alla fine era stata rimpiazzata da un sentimento ancora peggiore. Il senso di colpa.

Colpa, perché quel qualcosa che sentivo essersi incrinato dentro di me, era dovuto solamente alla mia disattenzione. Ero stata la peggiore delle illuse. Mi ero concessa di abbassare la guardia una volta ancora, ed era così, che erano sempre accadute le cose brutte della mia vita: con una mancanza di attenzione, proprio quando avevo abbassato le difese.

Mia madre se n'era andata quando mi sentivo più sicura, perché nella mia vita non avevo mai conosciuto la malvagità del mondo.

A Londra, non appena avevo creduto di poter riavere una parvenza di normalità, James mi aveva strappata dalla mia casa.

E ora, proprio quando avevo ammesso a me stessa ciò che volevo, Alex in questo caso, tutto mi veniva portato via una volta ancora.

Non era destino che vi incontraste.

Il limbo nel quale ero caduta fu così profondo, che mi spaventai, quando sentii le gambe di una sedia stridere accanto a me. Alex si era alzato in piedi, e io non avevo bisogno di sentire le sue parole, per sapere che aveva ormai superato qualsiasi limite di collera.

Lo vedevo nella sua postura rigida, nel modo in cui aveva aperto e chiuso più volte la mano destra, nei respiri lenti, troppo lenti, per non essere frutto di un estremo tentativo di calmarsi. 

Inchiodò Jenna con uno sguardo di fuoco, prima di parlare. «Me ne fotto del destino. Non so se fossi tu o se fosse sua madre» continuò indicandomi, «ma adesso me lo ricordo.» Fece una pausa, mentre la sua voce diventava più roca. «Mi ricordo, che ci siamo già incontrati prima.»

Sgranai gli occhi. Cosa stava dicendo? Io e lui ci eravamo già incontrati? O lui e Jenna? Non stavo capendo di nuovo. Mi fu però impossibile ribattere, perché Caleb si intromise una volta ancora.

«Le darò io una mano» disse in tono conciliante. «Non serve che finiamo tutti coinvolti in questa cosa.»

Quelle parole mi facevano arrabbiare ancora di più. Noi eravamo già coinvolti, perché nessuno lo capiva? Perché non realizzavano che non potevano dirci di punto in bianco che dovevamo fingere di non conoscerci?

«Stai facendo da infiltrato.»

Fu Alex a esprimere quello che a me era sfuggito. Ecco perché Caleb era lì, ecco perché Jenna gli credeva, quando sosteneva di volermi solo proteggere da Michael e quindi dagli altri Harrison. Le stava passando informazioni.

Lui fece una smorfia a quella parola, ma alla fine annuì impercettibilmente.

Alex tornò a rivolgersi a Jenna. Si passò una mano sulla fronte, mentre le sue palpebre si abbassavano con un tremito. «Fammi capire» iniziò con un'inflessione talmente dolce da essere minacciosa. «State affidando la vostra e, per inciso, la nostra vita a un diciottenne che potrebbe farsi beccare o fare il doppio gioco, senza pensarci due volte?» Scosse la testa, incredulo, mentre sentivo il suo corpo tremare per il nervosismo. Alzai lo sguardo. Non mi ero neanche accorta di aver posato la mia mano sul suo braccio.

«Allora tu e mio padre siete più pazzi di quanto pensassi» concluse frustrato, sospirando pesantemente.

Vidi Jenna chiudersi a riccio a ogni parola scagliata con disprezzo da Alex. Più lui parlava, più lo sguardo di lei si faceva assente.

Così non poteva funzionare. Per quanto fossi preoccupata, sotto shock e chissà cos'altro il mio cervello stesse provando, la necessità di salvaguardarmi mi portò a ragionare lucidamente. Avevamo bisogno di più informazioni. Avevamo bisogno che Jenna rimanesse dalla nostra parte, perché nessun altro avrebbe potuto aiutarci. Essere tagliati fuori, significava ritornare alle ricerche inconcludenti di qualche settimana prima e, arrivati a questo punto, non potevamo continuare così.

«Alex» lo richiamai. Non sapevo neanche come pronunciare quelle parole. «C-credo che dovremmo ascoltarli.»

Mi sentii impallidire, sotto lo sguardo che mi rivolse e vidi qualcosa rompersi, tra di noi. Qualcosa del quale non conoscevo neppure l'esistenza, finché non lo avevo visto sgretolarsi nei suoi occhi, mischiato a quell'incredulità e a quella tristezza che mi faceva venir voglia di abbandonare tutto e abbracciarlo.

Ma non potevo. Non potevo perché in quel momento io avevo un piano ben preciso. Strinsi un po' più forte la mano nella sua, ma alla fine però, quando ricambiai il suo sguardo, mi resi conto che non era rimasto più nulla.

Non fece gesti eclatanti per farmi capire che era arrabbiato per il mio tradimento. Non si scostò, non parlò neppure. Semplicemente, mi lasciò andare. Quando i suoi occhi si staccarono da me, non sembrò neppure che gli importasse. Ero diventata un elemento superfluo, inutile. O almeno, era così che mi fece sentire, perché quando tornò a guardare Jenna, la mia mano era rimasta l'unica a tenerci legati.

Fu facile ricacciare indietro le lacrime che lambivano i miei occhi. Fu facile perché vennero di fatto assorbite dalla rabbia. Dalla rabbia e dal nervosismo che montavano in me, mentre vedevo Jenna annuire convinta. E per un istante mi chiesi come potesse credere di avermi persuasa così facilmente. Ero lagnosa e tenace quando volevo qualcosa, possibile che non lo ricordasse? Forse però, quando vuoi credere ardentemente in qualcosa, vai contro persino alla tua stessa razionalità. Non trovavo altre spiegazioni, per il suo comportamento.

«Quindi cosa dovremmo fare?» chiesi con un filo di voce.

Lei scrollò le spalle. «Tornate a frequentare normalmente le lezioni e mischiatevi con gli altri e, soprattutto, smettetela di farvi vedere insieme e smettetela di sparire sempre.»

Mi dovetti impegnare per non ribattere. Odiavo sentirmi dire ciò che dovevo fare, ma ormai avevo deciso di giocare la carta dell'inganno e avrei dovuto impegnarmi per essere convincente. Annuii, senza costringermi troppo a nascondere la mia pena. Sarebbe stato poco credibile se mi avesse vista serena, dopotutto mi stava chiedendo di abbandonare l'unica persona della quale mi importava in tutta questa storia.

Alex nel frattempo non aveva detto una singola parola. Continuavo a guardarlo, di tanto in tanto, ma lui sembrava assente. Era di nuovo chiuso nella sua torre d'avorio dove niente sembrava poterlo toccare, ma io mi ero già ripromessa che avrei lasciato passare il minor tempo possibile, prima di sistemare le cose con lui. Sbattei gli occhi più volte, cercando di ricacciare indietro le lacrime che si erano formate nuovamente. Speravo solamente che mi aspettasse. Che si dimostrasse paziente e razionale ancora una volta. Lo speravo davvero con tutto il cuore.

«Sta diventando davvero buio.» Caleb ci dava le spalle, mentre scrutava le ultime tracce di tramonto dalla piccola finestra del capanno. «Dovremmo andare.»

Vidi Alex scattare verso l'esterno del capanno a quelle parole e mi imposi di seguirlo con calma, senza far vedere a Jenna il mio desiderio di sistemare le cose con lui.

Ora stava piovendo, e sentivo le gocce d'acqua che si infilavano nei miei capelli e tracciavano il profilo del mio naso. Lunghe ciocche si stavano appiccicando al mio volto ogni secondo di più, ma sembrava che la nuova Cassie non si curasse di cose così superficiali.

Nella mia mente infatti, si stava delineando, tassello dopo tassello, un piano ben preciso.

Ora che avevo scoperto la verità sulle nostre origini, ora che avevo scoperto che forse era proprio la mia famiglia quella ad avere più segreti, e ora che avevo scoperto di far parte, mio malgrado, di una partita della quale conoscevo ancora troppo poco, avrei dovuto cambiare le carte in tavola.

Non sarei più stata solamente una pedina. Avrei dovuto fare quello per il quale mi ero addestrata per tutta la vita: avrei dovuto fingere di adattarmi. Questa volta però, sarebbe stato diverso. Questa volta avrei avuto uno scopo ben preciso. Un piano che iniziava con la prima persona che mi aveva accolta a Danvers. Caleb Evans.

Fine

________________________

Buongiorno ❣️

Sono una brutta persona se mentre quei due tubavano all'esterno della baracca il mio cervello pensava solo "rientrate stolti, che avete lasciato Jenna e Caleb da soli"? 🤣 Sono la persona meno romantica sulla faccia della terra, ma come al solito quei due se ne fregano di quello che voglio io e lasciano che siano i loro ormoni impazziti a decidere.

Comunque una spiegazione sul comportamento di Alex. Spero che si sia capito che lui non si è mai sbilanciato con Cassie per due ragioni: da una parte per evitare che lei scappasse visto che lui è stato l'unico a capire che non è così a suo agio con la gente, e dall'altra, perché voleva spingerla ad affrontare le sue emozioni e le sue paure. Sarebbe stato troppo facile se si fosse esposto lui e basta, o se avesse accettato il suo tentativo da ubriaca.

Spoiler sul capitolo bonus: scopriremo esattamente cosa ha ricordato Alex... e si chiuderà un altro cerchio!

Sono un po' triste visto che questo sarà il mio ultimo "spazio autrice" su Igni ☹️ però, visto che non mi è stato dato il dono della sintesi, trovate un piccolo pensiero a voi nel prossimo capitolo ❣️

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