IGNI

By Valeroot

628K 28.8K 44.6K

[In riscrittura] Qual è il vostro posto nel mondo? Cassie non ne ha uno. Viene costantemente sballottata da u... More

Prima di iniziare
AVVISO
Prologo
1 - La festa (I)
2 - La festa (II)
3 - Comitato di accoglienza
4- La Churchill Accademy (I)
5 - La Churchill Accademy (II)
6 - Incontri (I)
7 - Incontri (II)
8 - Il medaglione
9 - Wenham Lake
10 - Sette shots in paradiso (I)
11 - Sette shots in paradiso (II)
12 - Leggende
13 - Questione di prospettiva
14 - L'invito
15 - I Parker
16 - In maschera (I)
17 - In maschera (II)
18 - Il Sole
19 - Il preside Evans
20 - Sogni
21 - Blackout
22 - Virgilio
23 - Stevow
24 - Ricerche
25 - I Case
26 - Pessime similitudini
27 - Trick or Treat (I)
28- Trick or Treat (II)
29 - Inferno e Paradiso
30 - I mille volti
31 - Collaborazione
32 - I medaglioni
33 - La calma prima della tempesta
34 - La partita
35 - Rivelazioni (I)
36 - Rivelazioni (II)
37 - Cassie (I)
38 - Cassie (II)
39 - Il piano
40 - L'effrazione (I)
41 - L'effrazione (II)
42 - L'effrazione (III)
43 - Fratellanza (I)
44 - Fratellanza (II)
45 - Robin Hill Road
47 - Wenham Lake (II)
Ringraziamenti e avvisi
Alex
Sequel
Extra - Alex
Avviso 🖤

46 - Wenham Lake (I)

8.7K 447 1K
By Valeroot

Alex fu il primo ad avvicinarsi alla struttura incastonata nella roccia. I suoi passi risuonarono decisi sulla pietra calcarea, mentre io continuavo a essere troppo stordita per seguirlo.

Non riuscivo a capire come avessimo fatto. Una sola occhiata era bastata, ed entrambi avevamo scalato quella roccia perfettamente consapevoli della strada da percorrere. Ci eravamo mossi in una assoluta sincronia di gesti, come se fosse già successo. Ma non poteva essere, perché io non ero mai stata a Danvers, e io e Alex non ci eravamo mai incontrati prima.

Eppure, era davvero così? Iniziavo a dubitare di ogni cosa.

Guardai ancora la costruzione davanti ai miei occhi quasi in trance, come se quella scena non mi appartenesse.

«Come abbiamo fatto?» sussurrai in un respiro spezzato dall'agitazione e dallo sforzo fisico. Non sapevo neppure io con chi stessi parlando. Forse con Alex, forse semplicemente con me stessa.

Lo scricchiolio dei rami secchi mi riscosse dal mio sogno ad occhi aperti. Alex era ormai arrivato all'ingresso della baracca, dove foglie ingiallite erano sparse in una cornice di colori autunnali. La leggera brezza che arrivava dal lago, le muoveva in uno spettacolo talmente bello e delicato da essere a tratti inquietante. O forse era solo la mia ansia che parlava.

«Sembra vuota» mormorò dopo qualche secondo, osservando attentamente l'unica piccola finestra a noi visibile. Non vi era alcuna punta d'esitazione nella sua voce. Probabilmente la volontà di cercare risposte, superava il timore per ciò che stavamo affrontando. Ma poi, chi sapeva davvero cosa stava succedendo? Perché il mio cervello sembrava completamente impossibilitato a processare quelle informazioni o a formulare ipotesi concrete. 

Feci un profondo respiro, iniziando già a pentirmi delle mie stesse parole, ancora prima di averle pronunciate. «Credo che dovremmo dare un'occhiata all'interno, allora.» Più che ad Alex, stavo rivolgendo quell'invito a me stessa, per infondermi coraggio. Volevi delle risposte, Cassie? E ora forse puoi averle.

James dice sempre che c'è una linea sottile tra coraggio ed egoismo, e in quel momento, mi chiesi se ci fosse davvero una punta di egoismo, nel modo in cui entrambi ci spingevamo ad andare avanti, pur di trovare le risposte che stavamo cercando.

Lui annuì e rigirò tra le mani un lucchetto argentato che bloccava la porta principale. Sembrava più leggero rispetto a quello del capanno di Robin Hill Road, e Alex dovette pensarla allo stesso modo perché, con estrema naturalezza, estrasse dalla tasca posteriore un piccolo coltellino rosso e lo fece saltare senza il minimo sforzo.

I nostri occhi si incrociarono per un attimo, ma ormai avevo smesso di chiedermi come facesse a conoscere tutte quelle cose. Dovevo prendere quella situazione per quello che era: assurda, a tratti irreale e vagamente inquietante. Mi rilassai un poco, confortata dalla mia pessima ironia che non mi abbandonava mai.

«Christian bloccava sempre le ruote della mia bici» spiegò, come a volersi discolpare. Mi stava informando che non era una capacità derivante dai suoi vuoti di memoria e per un attimo mi fece tenerezza quel suo volersi giustificare a tutti i costi.

In ogni caso, non replicai. Avevo lo stomaco troppo attorcigliato per formulare qualsiasi tipo di suono. Sentivo che, non appena avessi aperto bocca, non sarei stata in grado di articolare alcuna risposta. Ed era meglio non fargli vedere la confusione che c'era nella mia testa, altrimenti avrebbe iniziato con i suoi soliti comportamenti iperprotettivi. Gli rivolsi quindi un piccolo sorriso, lasciando che mi precedesse nell'aprire la porta del capanno. 

La sua espressione era neutra, e i suoi movimenti dettati solamente dalla praticità e dalla concentrazione. Si mosse con circospezione, controllando potenziali minacce nascoste all'interno dell'esile struttura e io mi chiesi se stesse fingendo una calma apparente, o se fosse proprio così. Se avesse subito una sorta di lavaggio del cervello, per non essere vittima delle paure che invece stavano attanagliando me.

«È vuoto» confermò infine, facendomi cenno di raggiungerlo.

Una volta entrata nella stanza, il quantitativo di materiale stipato in quelle quattro mura mi sorprese. La maggior parte dello spazio era occupato da un massiccio tavolo di legno. Era semplice e lineare, niente di troppo sfarzoso insomma, ma su di esso giacevano libri e fogli sparsi alla rinfusa. Una serie di fotografie impolverate era attaccata alla buona sulla parete irregolare, mentre alcune di esse erano in frantumi vicino a un grosso baule. Mi avvicinai, continuando a osservarle. Sembravano ingiallite dal tempo e alcune ritraevano un gruppo di persone intente a brindare, mentre altre erano troppo rovinate per distringere i soggetti. Sorrisi istintivamente. Sembravano felici, e l'euforia dei loro gesti aveva di poco limato la mia agitazione.

Fu un piccolo elemento però che riuscì a bloccare il mio respiro all'istante, facendomi ripiombare nell'ansia.

Un sottile computer portatile era posizionato all'estremità del tavolo, segnalando chiaramente che quel capanno, a differenza di quello di Robin Hill Road, non fosse affatto abbandonato.

«Tutto bene?»

Non mi ero resa conto di essere rimasta bloccata vicino alla soglia, finché non sentii la voce preoccupata di Alex.

«Tutto bene» mentii, sentendo quella bugia che raschiava la mia gola. Cosa diavolo era quel posto? E perché entrambi sapevamo esattamente come raggiungerlo? Forse in realtà era stato Alex a condurmi lì e io lo avevo solamente seguito. Qualsiasi ipotesi sembrava più ragionevole dell'idea che entrambi avessimo dimenticato di conoscere quel luogo. Eppure, nei miei sogni avevo visto esattamente quel paesaggio...

Mentre il mio cervello formulava tutte quelle ipotesi, Alex si spostò nella mia direzione. «Ho bisogno di sapere se sei con me.»

Mi faceva sentire fragile quando usava quel tono, e volevo che la smettesse di guardarmi così. Come se fossi fatta di cristallo e rischiassi di rompermi a ogni soffio di vento. Non avevo bisogno della sua compassione.

«Ho detto che va tutto bene» risposi con tono piatto.

Lui spostò la testa di lato, evidentemente dubbioso, ma io mi affrettai a voltargli le spalle. Il mio viso era sempre troppo trasparente ai suoi occhi.

Mi liberai del peso dello zaino, sperando allo stesso tempo di alleggerirmi di quel carico d'ansia che non mi abbandonava, e mi concentrai sui fascicoli sparsi sul tavolo. C'erano mappe della zona, in apparenza molto antiche, mentre altri documenti erano evidentemente più recenti. Vidi una serie di transazioni finanziarie e una sequenza di dati informatici simili a quelli del Sole e, in un lampo di lucidità, estrassi il cellulare dallo zaino, iniziando a fotografare tutto quello che mi passava tra le mani.

Il mio cervello era troppo frastornato per formare teorie o per capire cosa avesse un'effettiva rilevanza, ma stavo facendo l'unica cosa che in quel momento mi sembrava sensata. Fotografavo e basta. Fotografavo ogni cosa, senza pormi ulteriori domande, senza darmi il tempo di pensare, perché sapevo che altrimenti sarei andata in panico.

«Cosa credete di fare, voi qui?»

La sorpresa di sentire una voce che non fosse quella di Alex, mi congelò all'istante, mentre l'adrenalina mi scorreva nelle vene incontrollata, diluendo il mio sangue e premendo una miriade di piccoli aghi sulla mia pelle.

Sentivo la testa che vorticava senza sosta. E no, non perché c'era una terza persona che era entrata in quella stanza con noi, ma perché c'era qualcosa di tremendamente sbagliato in quella voce. E io non lo avevo capito subito, perché per la mia mente si rifiutava di associarla a quella situazione.

Era una voce dolce, armoniosa, che non poteva trovarsi lì, insieme a noi. No, non aveva minimamente senso. Doveva essere l'ennesimo scherzo dei miei sensi.

Tuttavia, era una voce che io conoscevo fin troppo bene per ignorarla.

Alzai lo sguardo. «Jenna?» balbettai.

Mi sembrava di aver perso contatto con il mio corpo. E difatti pochi istanti dopo sentii i fogli che tenevo tra le mani cadere sulle mie scarpe. Ma non m'importava. Non riuscivo a staccare gli occhi dal suo viso, stravolto da emozioni che non riuscivo a riconoscere. Gli occhi chiari erano sgranati, la linea della mascella contratta in una smorfia innaturale. Sembrava arrabbiata o impaurita. Non ero sufficientemente lucida per riconoscere la sottile differenza tra quelle due emozioni. O forse, in questo caso, neanche c'era.

«Cosa credete di fare, voi qui?» ripeté nuovamente lei.

Il suo tono giunse alle mie orecchie con un'inflessione strana. Come quando senti un vecchio ritornello, ma non riesci a riconoscere la canzone. Udivo la voce di Jenna, ma la sua presenza lì mi sembrava incomprensibile, sbagliata. Non poteva essere lei, e non volevo concretizzare ciò che il mio istinto mi stava suggerendo, ma alla fine un monito rimbombò comunque nella mia testa.

Lei sapeva.

Sentii Alex avvicinarsi e il suo bracciò sfiorò la mia spalla. «Potremmo farti la stessa domanda.» Evidentemente, aveva reagito molto meglio rispetto a me, perché la sua voce non lasciava trasparire alcun segno di agitazione.

Appoggiò la sua mano alla mia, stretta attorno al bordo del tavolo. Non mi ero neppure resa conto di essere arretrata ma, ora che ci facevo caso, sentivo il legno che premeva contro le mie gambe.

Feci un respiro profondo, mentre lui aveva ripreso a parlare. «Cos'è questo posto?»

Jenna si mordicchiò il labbro, nell'evidente indecisione della sua risposta.

«Jenna.» Il mio fu un sussurro stranamente calmo e deciso, che richiamò i suoi occhi a me. Non avevo neppure deciso razionalmente di parlare, eppure le parole erano uscite da sole dalla mia bocca.

Lei si mosse a disagio. Sembrava... indecisa, forse pentita, perché aveva rivolto un paio di occhiate alla porta. Ma erano solamente le congetture di un cervello delirante, ne ero consapevole. Dovevo però continuare a parlare. In qualche modo, dovevo convincerla.

«Ormai siamo qui. Cos'è questo posto?» ripetei. Se la tensione non si stava riversando sulla mia voce, doveva pur scaricarsi in qualche altro modo, e infatti le mie gambe tremavano come se fossero di gelatina. Serrai ancora di più le nocche attorno alle assi di legno, cercando di non perdere il controllo.

Lei però scosse la testa. «Nulla che vi interessi. Andiamocene.» Ancora un'occhiata alla porta. Perché era così agitata? In ogni caso, non poteva permettersi di fare così. Non poteva trattarci come due bambini e pretendere di darci ordini.

Alex sembrò pensarla esattamente come me. «Siamo arrivati fino a qui. Forse sappiamo più di quanto immagini.»

Quella risposta la spiazzò, perché la vidi vacillare insieme alla sua sicurezza. Era quello, il momento per insistere ancora di più. Scambiai uno sguardo complice con Alex. Eravamo due contro uno. Non era leale, ma la vita in fondo non lo è mai.

«Forse preferiresti darci la tua versione, prima che racconti tutto a James» bluffai.

Quella finta poteva farci capitolare definitivamente, nel caso in cui a Jenna non importasse nulla del coinvolgimento di mio padre, ma stranamente, quel riferimento sembrò turbarla ancora di più.

«James non ne sa nulla» mormorò scuotendo la testa. «Ma credo che dovremmo parlare di lui in un altro momento.»

Di cosa dovevamo parlare? Aggrottai la fronte, consapevole che non potevo lasciami distrarre dalle sue frasi sibilline. «Va bene, niente James. Allora dicci cosa sai» ribattei. Ero tenace. Ero tenace e non avrei mollato, perché sapevo che era l'unica possibilità di venire a capo di quella questione una volta per tutte.

Dopo un istante che parve durare un'eternità, lei inspirò profondamente, esausta, anzi, sconfitta. «È il rifugio della Fratellanza del Fuoco» bisbigliò, mantenendo i suoi occhi incatenati ai miei. «O meglio, quello che ne rimane.»

Sentii il fiato mozzarsi in gola. Tutte le nostre teorie, le settimane di ricerche, i racconti sulla Fondazione, i diari rubati... Tutto si materializzò nella mia mente, affollandola e incasinandola, allo stesso tempo.

Qualcosa era reale.

Ecco l'unica frase che continuava a risuonare nella mia testa. Cercai dentro di me la solita paura o il panico che ormai si materializzava a suo piacimento, ma non ne trovai. E fui sorpresa di non riconoscere né l'uno, né l'altro. Cosa c'era di sbagliato in me?

"È il rifugio della Fratellanza del Fuoco".

Forse ero sotto shock. Sì, era decisamente un'opzione valida. Avevo letto che spesso in situazioni estreme il nostro corpo reagisce tagliando fuori il mondo reale per preservarsi. Mi aveva sempre affascinato il nostro istinto di autoconservazione ma, in quel momento, mi resi conto che non era neanche quello. Realizzai all'improvviso che tutti i sentimenti negativi erano stati azzerati da un unico elemento: la necessità di conoscere.

Cosa rappresentava davvero la Fratellanza del Fuoco? E soprattutto, perché Jenna era coinvolta?

Quello era l'elemento che più di tutti stonava. Sbattei gli occhi, tornando a mettere a fuoco il suo volto. La donna di fronte a me era la stessa che mi asciugava i capelli quando ero piccola. Quella che mi portava a passeggiare a Primrose Hill. Quella che cenava ogni sera guardando una puntata di "Murder she wrote".

Ma quanto poco la conoscevo, davvero?

Sentii la mano di Alex appoggiarsi alla mia spalla, premendo lievemente per guidarmi su uno sgabello. Neppure mi ero accorta di tremare visibilmente. O forse sì. Avevo già pensato che le mie gambe assomigliassero alla gelatina, giusto? Non capivo più nulla.

Jenna fece un passo nella mia direzione, ma Alex si voltò di scatto con sguardo tagliente, e sentii i suoi polpastrelli premere un po' più forte sulla mia clavicola.

L' espressione confusa di Jenna rese chiaro che non si aspettasse affatto quella reazione. «Credete che voglia farvi del male?» Sembrava turbata, e il tono offeso con il quale aveva parlato mi faceva venir voglia di ridere. Di ridere e di piangere insieme, probabilmente.

Cosa ne sapeva lei di sentirsi ferita? O tradita? Perché ormai era evidente che ci fosse una verità gigantesca che aveva nascosto. E non sapevo ancora come la Fratellanza del Fuoco c'entrasse con lei, o con me, ma una connessione c'era. E lei era davvero l'ultima persona al mondo, che mi sarei aspettata di trovare lì.

Lui non rispose. Teneva gli occhi puntati su di lei con un'espressione inflessibile. Lo capivo. Lo capivo davvero. Per lui rappresentava l'unica minaccia che si stava frapponendo tra sé e la possibilità di conoscere, e forse anche di ricordare. Ma era pur sempre Jenna. E non avremmo ottenuto nulla con quell'atteggiamento ostile.

«Alex» lo ammonii io, prendendolo per un braccio e facendogli fare un passo indietro, verso di me. Dovevamo essere più furbi di così. Dovevamo riprenderci e trovare un modo per convincerla a parlare. Perché era evidente che fosse entrata in quel capanno con la mera intenzione di farci andare via il prima possibile. Feci scivolare la mano lungo il suo braccio e incastrai le mie dita tra le sue, beandomi di quel calore che sembrava aver abbandonato il mio corpo nell'esatto momento in cui eravamo entrati nelle aree paludose. 

Lui restituì la stretta, come se avesse sentito ogni mio singolo pensiero. Ancora non capivo come riuscissimo a essere così connessi a volte, ma era una cosa sulla quale non potevo indagare in quel momento, perché la tensione stava diventando insostenibile e il silenzio era tagliato dai soli nostri respiri.

«Jenna ho bisogno che tu ci dica cosa sta succedendo» insistetti. «Cos'è la fratellanza del Fuoco? Perché entrambi abbiamo un medaglione che porta qui?» Serrai le palpebre per un istante. Nonostante i bei discorsi che mi ripetevo, non potevo fingere di non essere rimasta toccata da tutta quella situazione e quello era l'unico modo che avevo per mantenere il controllo. Era patetico, ma non riuscivo a guardarla.

«N-non posso... davvero» piagnucolò lei. Il suo tono mi costrinse a riaprire gli occhi. Alex accanto a me era un fascio di nervi e io stinsi un po' di più la sua mano.

«Me lo devi.» Mi schiarii la voce, cercando di mantenere un briciolo di razionalità. «Ho diritto di sapere.» La guardai fissa negli occhi, mostrando una sicurezza che in realtà non provavo, e dentro di me speravo solo di riuscire a risolvere quella situazione, prima che scoppiasse come una bomba a orologeria.

Jenna emise un lungo sospiro, spostando la sua attenzione sulle travi in legno di quel piccolo rifugio, evidentemente combattuta. Perché non poteva parlarcene? Quante cose ci stava nascondendo? Continuavo a non capire, e quella situazione mi stava facendo impazzire.

Quando tornò a posare i suoi occhi su di me, sembrava aver preso la sua decisione. «Mi dovete promettere che ascolterete tutto fino alla fine.» Si rivolse ad Alex. Evidentemente lo riteneva il più imprevedibile tra di noi e mi venne quasi da ridere per quanto fosse sbagliata quella sua interpretazione. Ero io, a essermi quasi lanciata nel lago solamente un paio di ore prima. «Ascolterete quello che ho da dire, e poi seguirete le mie indicazioni» ripeté.

Era un'offerta "prendere o lasciare". Se non avessimo accettato, sapevo che non ci avrebbe fornito alcuna spiegazione e fu per quello, che anticipai le proteste di Alex. «Va bene» concessi velocemente.

Evidentemente, troppo velocemente per lui, che si voltò nella mia direzione con lampi di tempesta negli occhi. Non approvava. Non approvava minimamente, ma non avevo tempo per dilungarmi in spiegazioni.

«Accettiamo» ripetei con enfasi, mentre con lo sguardo lo scongiuravo di assecondarmi. Conoscevo Jenna, anche se forse non era del tutto vero, visto il suo coinvolgimento in questa storia. Ma sapevo di non sbagliare in merito ai suoi difetti. Aveva costantemente bisogno di essere al centro dell'attenzione ed era anche fastidiosamente dispettosa. Se non l'avessimo assecondata, avremmo perso la nostra chance. Dovevamo farle credere che fosse lei a dettare le regole.

Alex scostò la sua mano dalla mia, incrociando le braccia al petto. Era il suo modo di farmi capire che non era d'accordo, ma non potevamo iniziare a litigare anche tra di noi. Sospirai. Per il momento, dovevo farmi bastare che non si fosse intromesso.

Tornai a guardare con sollecitudine Jenna. Avevamo fatto la nostra parte, ora però era il suo turno.

Rigirò nervosamente gli anelli che portava, spostando l'attenzione sulle sue mani. «Cosa sapete della fondazione di Danvers?» chiese con voce piatta.

Sentii Alex sbuffare a quella domanda. «Sappiamo che è nata per portare le provviste a Salem Town, sappiamo che esisteva un Consiglio delle famiglie fondatrici e sappiamo che a un certo punto tutto è esploso» rispose impaziente. Avevamo parlato fin troppo di questi eventi.

Jenna però aveva dei piani diversi. Se inizialmente aveva annuito quando Alex aveva citato le Famiglie Fondatrici, verso la fine del discorso aveva poi alzato le mani, facendogli segno di rallentare.

«Bene, conoscete però solo l'inizio della storia, o solamente una parte di essa, in ogni caso» incominciò lei, appoggiandosi nervosamente a una sedia. «Avrei tanto voluto evitarvelo, ma sicuramente meritate di sapere» continuò con un sospiro, quasi parlando tra sé. Sembrava che volesse convincersi di fare la cosa giusta.

Alex, nel frattempo, stava muovendo nervosamente la gamba su e giù e sembrava fortemente intenzionato a creare un buco nel pavimento. Con delicatezza, lo costrinsi a sedersi accanto a me. Mi guardava ancora come se volesse incenerirmi, ma ormai lo conoscevo e sapevo che, arrabbiato o meno, non avrebbe fatto o detto nulla contro di me. Mi accorsi di aver articolato un sorrisino rilassato, solamente quando vidi i suoi tratti ammorbidirsi un po' sotto al mio sguardo.

Cercavo di calmare lui, cercavo di convincere Jenna a parlare e, allo stesso tempo, cercavo di rimanere razionale. Eppure perché sentivo solamente quella famigliare sensazione di voler abbandonare tutto, che si faceva strada in me? Volevo sapere ma, in parte, sentivo di voler scappare da quella situazione. Perché doveva essere così difficile combattere contro le abitudini di tutta una vita?

Ancorai i piedi al pavimento, respirando profondamente. Jenna nel frattempo aveva riacquistato una parvenza di tranquillità. Si portò una lunga ciocca di capelli dietro l'orecchio e incominciò a raccontare.

«La prima volta che io ed Elizabeth, la madre di Cassie, mettemmo piede negli Stati Uniti, fu per incontrare i nostri zii. Io avevo circa otto anni, mentre lei ne aveva dieci. Eravamo agitate perché era la prima volta che uscivamo dall'Inghilterra, ma eravamo anche spaventate perché nostra madre aveva pianto per dei giorni interi, prima della nostra partenza. Ben presto però ci accorgemmo che non c'era motivo per essere preoccupate: i nostri zii erano gentili e ci portavano ogni giorno in spiaggia a fare il bagno. La mattina aiutavamo la zia con le faccende di casa e con le spese in città, e il pomeriggio accompagnavamo lo zio a portare il gregge al pascolo. Passò quasi un mese prima che ci portasse al Wenham Lake per la prima volta.» La sua voce si increspò, come se ripensare a quell'evento le procurasse ancora emozioni contrastanti.

Non appena aveva pronunciato il nome di mia madre, avevo sentito gli occhi di Alex aggrapparsi a ogni centimetro della mia pelle, richiamando la mia attenzione. Io però ero rimasta impassibile, fissando il vuoto di fronte a me. Era più facile così. Potevo semplicemente fingere di non aver sentito il suo nome, ignorando qualsiasi implicazione portasse con sé Elizabeth. Mi dispiaceva apparire così insensibile, ma lo stavo facendo per me stessa.

«Il primo giorno fu una bella passeggiata, ci raccontò la storia della fondazione di Danvers, ci raccontò del periodo più buio della caccia delle streghe e poi tornammo a casa. Io ero rimasta un po' scossa da quei racconti ma Elizabeth no. Era sempre la più curiosa tra noi due e voleva saperne di più. Lo zio ci promise che ci avrebbe raccontato qualcosa anche il giorno seguente. Così si sviluppò uno schema. Ogni giorno ci portava al Wenham Lake, ci faceva studiare i percorsi e raccontava qualcosa della storia della città. Ci narrò che un tempo i Blackwin, la nostra famiglia, rappresentava un punto di riferimento per l'intera comunità e che aveva contribuito alla prosperità di Danvers, difendendo i suoi interessi da forti poteri che non erano interessati al suo benessere. Ogni giorno aggiungeva un tassello a quel racconto e ogni sera ci addormentavamo aspettando solamente di sapere come andasse avanti, senza accorgerci che stavamo entrando a nostra volta a far parte di quella storia. Ma eravamo solo due bambine dopotutto» disse in un sussurro, continuando a fissare un punto indefinito alle nostre spalle.

La purezza dei suoi occhi azzurri era velata da un'ombra di paura che sembrava oltremodo attuale, come se i ricordi fossero così intensi da essere in grado di materializzarsi nella sua mente con una concretezza tale da farla vacillare.

«E poi cosa successe?» mormorai a bassa voce. Mi sentivo quasi in colpa a parlare, come se interrompendo il suo monologo lei potesse cambiare idea e decidere di terminare lì le sue spiegazioni. 

Fece un profondo respiro, schiarendo lo sguardo mentre metteva a fuoco i nostri volti. «Un giorno alla fine dell'estate ci portò qui, ci spiegò che un gruppo di persone, gli Harrison, assetati di potere avevano minato la stabilità di Danvers per sottometterla al loro controllo. Le prime tre famiglie che avevano giurato di proteggere la città ovvero, i Blackwin, i Cavendish e i Gantham si stavano spaccando sotto il peso di quelle pressioni. I primi due non erano d'accordo con le scelte riguardanti la gestione della città, ma i Gantham erano considerati i protettori di Danvers, e poi nel corso degli anni, la loro carica assunse sempre più prestigio e da semplici patrocinatori divennero i sindaci della città.»

La verità mi colpì come un treno in corsa. «Gli Smith... Il sindaco Smith è uno dei Gantham» sussurrai, spalancando gli occhi. Ecco perché anche loro erano coinvolti con quella società chiamata Il Sole. Un elemento però continuava a non tornare. «Caleb ci aveva detto che gli Harrison erano una delle tre famiglie fondatrici, non i Gantham» farfugliai.

Scosse la testa tranquillamente. Sembrava che quella bugia non le fosse nuova. «Gli Harrison erano solamente gli addetti ai trasporti verso Salem Town, ma come dei parassiti si sono attaccati ai Gantham, rivoltandoli contro le altre due famiglie che avevano giurato di rispettare.»

Quindi c'era qualcosa di vero nei racconti di Caleb. Le Famiglie Fondatrici esistevano sul serio, così come un consiglio che proteggeva la città. Aveva semplicemente raccontato quella storia dal punto di vista degli Harrison. Chissà se era consapevole di averci raccontato una bugia o se anche lui conosceva solamente quella versione della storia.

In ogni caso, quello che mi colpiva maggiormente era come fossimo tutti incatenati a quella cittadina. Alex con i Cavendish, io e Jenna con i Blackwin... eppure continuavo a non capire cosa c'entrasse la Fratellanza del Fuoco. Chi erano? E perché ci trovavamo in un loro rifugio se facevamo parte del Consiglio?

Con la coda dell'occhio vidi Alex stringere le labbra. Non era abituato a non ribattere, e sapevo che stava facendo uno sforzo enorme per rimanere in silenzio.  

Jenna sembrò non notare le nostre reazioni. A dire la verità, sembrava non notare più nulla in generale. Continuava a parlare, come se avesse tenuto quelle parole per sé per troppo tempo. Improvvisamente provai pena per lei, ma fu un sentimento che accantonai in un angolino del mio cervello. Non avevo ancora deciso se potevo fidarmi e se potevo credere a tutto ciò che ci stava raccontando.

«Dopo l'arrivo degli Harrison, tutti all'epoca avevano capito che le tre famiglie si sarebbero divise, ma quello che nessuno si aspettava fu l'affiorare di vere e proprie fazioni all'interno delle famiglie stesse. Le tensioni tra i fondatori erano troppo profonde e troppo radicate. Alcuni avevano quindi compreso che il Consiglio della Fondazione sarebbe caduto, altri volevano resistere e continuare la collaborazione per il bene della città. Senza che nessuno l'avesse previsto, stava nascendo per la prima volta un nuovo movimento, che si faceva chiamare la Fratellanza del Fuoco. 

Il Consiglio della Fondazione era fortemente instabile perché nessuno si fidava più degli altri. Harrison e Gantham erano sempre più uniti, eludendo di fatto qualsiasi tipo di controllo dei Cavendish e dei Blackwin. Per combattere questa ostilità, alcuni membri di queste ultime due famiglie, fondarono quella che poi si sarebbe chiamata la Fratellanza del Fuoco. All'inizio erano semplicemente un gruppo di persone che avevano a cuore solamente il dialogo e la collaborazione. Avevano portato valide argomentazioni per proteggere la città e per giustificare la loro rivolta contro gli ordini dei Gantham. Gli Harrison però erano furbi, e assegnavano ogni sventura della città alla Fratellanza. Un raccolto veniva rubato? La colpa veniva data alle antiche famiglie. Un campo di grano bruciato? Loro imprimevano il simbolo del triangolo, e così via.

Ben presto la Fratellanza del Fuoco si rese conto che non poteva battere le altre famiglie giocando pulito. Il Consiglio della Fondazione venne sciolto, gli Stevow, i Gantham e gli Harrison crearono una nuova unione e i Cavendish e i Blackwin vennero messi al bando. Danvers, il paese che era nato come terra di supporto, finì per controllare la città madre e ben presto iniziò ad assoggettare anche i paesi vicini. Gli Harrison avevano infatti una serie di pedine in ruoli strategici, anche al di fuori della città. In un centinaio di anni nessuno degli altri centri abitati ebbe più possibilità di sopravvivere senza il controllo del Consiglio. Le disparità sociali erano ai loro massimi livelli, mentre le tre famiglie continuavano a gestire i loro interessi.

Ad un certo punto, gli Harrison e Gantham capirono però che le vecchie famiglie conoscevano troppo dei loro segreti. E fu in quel momento che iniziò una vera e propria caccia per sterminare tutti i componenti di quelle famiglie, che sui libri di storia viene mischiata alla caccia alle streghe per celare quello che realmente successe in quegli anni. Li chiamavano i Giocatori. Il loro unico scopo era di assicurarsi che tutti gli eredi dei Blackwin e dei Cavendish fossero sterminati. Si accorsero ben presto però, che era un'impresa destinata a fallire. Erano passati troppi anni e le famiglie erano frammentate e divise in diversi Stati. Anche queste figure mutarono, e oggi il loro scopo principale è quello di intrattenere rapporti e collegamenti al fine di avvantaggiare e far crescere il Consiglio.

Nel frattempo la Fratellanza del Fuoco si era riorganizzata. Avevano capito che più persone fossero a conoscenza dei piani per sovvertire il Consiglio, più sarebbero stati in pericolo. Decisero che avrebbero affidato ad un unico componente della famiglia il compito di continuare il loro operato. Coniarono i medaglioni, con le indicazioni per raggiungere alcuni posti segreti, dei rifugi, attorno al Wenham Lake. Uno per ciascuna famiglia: "Igni", "Imus" e "Nocte".»

Quindi ecco da quale lato della storia stavamo. Non facevamo parte del Consiglio. Eravamo i dissidenti. Eravamo i ribelli. Eravamo la Fratellanza del Fuoco.

Alex fece per interromperla, ma la stretta della mia mano sulla sua si intensificò. Sapevo già quali sarebbero state le sue parole, perché, come lui, anche io volevo sapere chi avesse il terzo medaglione. Jenna però sembrava quasi in trance e volevo che finisse la sua storia.

«Un pomeriggio d'estate lo zio portò me e Elizabeth in questo posto. Ci disse che erano mesi che ci preparava per questo compito e che una di noi avrebbe dovuto portare avanti l'eredità dei Blackwin. Ci lasciò qui e ci disse di ritornare a casa da sole. Non lo scorderò mai» sussurrò con voce strozzata. «Ci vollero due giorni per ritrovare la strada di casa. Chiamammo nostra madre implorandola di riportarci in Inghilterra e una volta uscite dal Paese non parlammo mai più di quello che era successo. Almeno, finché Elizabeth non rimase incinta» disse spostando gli occhi su di me.

Fu la prima reazione da quando aveva iniziato a raccontare la sua storia. Il mio labbro inferiore tremò impercettibilmente, quando restituii il suo sguardo. Ad ogni parola di Jenna temevo che la diga che avevo costruito per frenare i sentimenti legati a mia madre sarebbe inesorabilmente crollata. Era dura per me, immaginarla come una bambina di dieci anni, ed era difficile pensare che si fosse sentita impaurita o spaesata proprio come lo ero stata io. Era più semplice continuare a farle interpretare il ruolo del nemico.

«Nell'istante in cui seppero che la discendenza poteva continuare con Elizabeth, la Fratellanza si mise in contatto con lei e fu per quello che decise di scappare. Non voleva che ti capitasse la stessa cosa» sussurrò, guardandomi con gli occhi pieni di lacrime, «ma a questo punto ero rimasta solo io. Non avevo famiglia e non ero intenzionata ad averla, visto quello che era successo a mia sorella, così accettai. Per cinque anni lavorai solamente per la Fratellanza e poi seppi che James e Cassie erano stati attirati a Danvers. Non sapevo se fosse una trappola del Consiglio o se fosse la Fratellanza che cercava di forzarmi la mano per raccontarti tutto, ma dovevo tornare qui e dovevo starvi vicini, Cassie.»

Mi guardava con occhi supplicanti, ma non riuscivo proprio a entrare in empatia con lei. La parte razionale del mio cervello aveva compreso la sua storia e aveva capito il perché del suo comportamento, ma un'altra parte, molto più rumorosa, mi continuava a dire di mantenere le distanze. Quante delusioni può sopportare una persona prima di spezzarsi?

«E noi come sapevamo dove andare?» Alex la interruppe, alzandosi in piedi. Emanava ostilità da ogni cellula del suo corpo. Forse lui non aveva creduto così in fretta a quella storia, come avevo fatto io. «Sapevamo esattamente cosa fare, per raggiungere questo posto. Come lo spieghi, questo?» La sua voce era scettica e distaccata. Non aveva avuto la mia stessa reazione emotiva e la sua concretezza mi aiutò a tornare alla realtà.

Lei annuì. Sembrava sollevata di ricevere una domanda facile. «Non volevo che Cassie avesse i miei stessi incubi per questo posto, così quando era piccola e viveva ancora a Providence con James la portai qui. Le facevo fare un'escursione ogni volta che potevo, cercando di non insospettire suo padre. Non volevo coinvolgerla ma sapevo che, se ad un certo punto ne avesse avuto bisogno, sarebbe stato meglio che fosse preparata.»

Trasalii a quelle parole. Non avevo il minimo ricordo di tutto ciò. Le uniche reminiscenze di Providence erano legate a qualche fotografia che James conservava nel suo portafoglio. Sapevo di aver vissuto lì per poco meno di un anno, mentre mio padre stava terminando la documentazione per portarmi in Europa, e aspettava l'affidamento esclusivo, ma quel periodo per me era buco nero. Eppure ora, tutti i miei incubi iniziavano ad avere un senso. Quando correvo nella foresta, la sensazione di spaesamento, i ricordi precisi del tronco spezzato sul sentiero. Erano iniziati proprio con il mio trasferimento a Danvers.

Ero talmente scioccata che mi accorsi appena che Jenna fosse tornata a rivolgersi ad Alex. «I tuoi genitori ovviamente hanno fatto lo stesso con te. Non ti sei mai chiesto perché hai sempre vissuto in città diverse ma sempre abbastanza vicine a questo posto? Tua madre aveva già deciso quale dei suoi figli avrebbe portato questo fardello. Il suo approccio però è stato molto più diretto del mio. Si può dire che ti abbia praticamente addestrato per questo.»

Alzai gli occhi su di lui. Prima che Jenna avesse completato la sua spiegazione, ogni tassello degli strani comportamenti di Alex si era incastrato automaticamente nella mia mente. I sogni, il suo comportamento pragmatico, la lucidità anche nei momenti più difficili, ciò che era stato in grado di fare solamente qualche ora prima con il fucile.

Si può dire che ti abbia praticamente addestrato per questo.

Credo che, a volte, la mente si comporti in modi impossibili da comprendere. Perché, non so per quale logica malata, mi ero sentita immediatamente sollevata, quando avevo sentito la spiegazione di Jenna. Forse perché trovare una giustificazione mi restituiva il possesso di quella razionalità a cui tanto aspiravo.

Poco dopo però, il vero significato di quelle parole mi travolse. C'era qualcosa di incredibilmente sbagliato nell'immagine di una donna che addestrava il figlio, ancora piccolo, ad affrontare una guerra silenziosa per lei. E nel realizzare ciò, un brivido di angoscia percorse la mia spina dorsale.

Mi voltai nuovamente a guardarlo. Alex aveva le labbra serrate, la mascella contratta di un nervosismo che delineava ogni muscolo del suo volto, ogni vena del suo collo, che si tuffava oltre il colletto della sua felpa. In quel momento, avrei solamente voluto che tutto il resto sparisse, e che non fosse costretto a scontrarsi con la consapevolezza che l'idea che aveva di sua madre fosse del tutto sbagliata.

Era ironico come alle parole di Jenna, il nostro mondo si fosse capovolto. Elizabeth era diventata la martire della situazione e la madre di Alex, che era sempre stata presente e affettuosa, si era trasformata in una lucida calcolatrice.

Ma Elizabeth aveva comunque deciso di abbandonarmi senza alcuna spiegazione e mi aveva condannata a vivere nella costante certezza di non essere abbastanza. Avrebbe potuto coinvolgere James, avrebbe potuto farsi sentire ogni tanto. No, non potevo accettarlo. O forse, semplicemente, non potevo dimenticarlo.

Deglutii a vuoto, cercando di schiarirmi la gola prima di parlare. «Cosa ha a che fare tutto questo con noi? Abbiamo solo parlato di vecchie storie che non hanno più valore ora. Non siamo più a inizio seicento» dissi per riempire quel silenzio assordante.

Jenna sospirò. Il suo sguardo ormai non era più fisso di fronte a sé, a significare che aveva recuperato il controllo rispetto ai racconti di prima. «Non saremo più nel diciassettesimo secolo ma le cose non sono cambiate di molto. Certo, non abbiamo più a che fare un consiglio di ricchi aristocratici che si siedono in una stanza per decidere delle sorti di una piccola cittadina del Massachusetts, ma ci sono nuovi strumenti per detenere il potere. Non parliamo più di raccolti bruciati o di bestiame rubato. Così come la politica, anche l'economia è cambiata, ma non per questo è meno semplice controllare le persone.»

«Il Sole» formulò automaticamente Alex. Era un altro tassello del puzzle che doveva ancora incastrarsi del tutto. La calma della sua voce invece di confortarmi mi fece agitare ancora di più. Li temevo, quei momenti dove si richiudeva in se stesso e tagliava fuori tutto il resto. Tagliava fuori anche me.

Jenna annuii. «Non saprei neanche da dove iniziare per raccontarvi di tutte le operazioni che stanno intraprendendo sotto il nome di quell'azienda, ma non si limitano più a Danvers.»

L'immagine dei fogli rubati da Alex riaffiorò nella mia mente. Si parlava di un numero rilevante di città in tutta la costa est degli Stati Uniti. I Gantham, cioè gli Smith, detenevano il potere su Danvers dato che uno di loro era il sindaco della città, ma se insieme agli Evans e al Sole controllavano tutte quelle città che avevamo trovato sui documenti rubati, la situazione era ben più grave.

«Per quello siamo fortunati ad avere tuo padre, Alex.» Nonostante il suo sguardo duro, Jenna tornò a rivolgersi a lui. «Dopo la morte di tua madre ho temuto che gettasse la spugna, ma ha continuato ancora più di prima. Ci è quasi venuto un colpo quando dal suo ufficio è sparito l'invito della festa dove vi siete imbucati. Temevamo che aveste capito tutto e ho dovuto fare la mia mossa, trasferendomi con Cassie e con James» concluse giocherellando nervosamente con i braccialetti che portava al polso.

Ecco come aveva trovato l'invito per la festa al municipio. "Ho le mie fonti" mi aveva detto e provai una fitta di fastidio nel ricordare quanto poco si fidasse di me, in quelle prime settimane di scuola.

«State usando le Industrie Case?» Alex continuava a utilizzare quel tono talmente indifferente da farmi rizzare i capelli sulla nuca. Semplicemente, non sembrava lui. Il suo sguardo torbido andò a inchiodare Jenna, mentre le sue mani si serrarono attorno allo sgabello di fronte a sé. Un piccolo segnale di nervosismo. Preferivo vedere quelle reazioni, piuttosto di sapere che stava accumulando di nuovo tutto dentro di sé.

Ancora una volta, lei fece un segno positivo. «L'azienda di telecomunicazioni è la nostra copertura migliore. Ovviamente sospettano che lui sia uno della Fratellanza del Fuoco, ma siamo stati abbastanza attenti da non fornire altri dettagli e senza prove o pretesti non hanno motivo di iniziare una guerra. Ovviamente non sanno neanche del mio coinvolgimento. I miei genitori sono stati abbastanza scaltri da capire che nasconderci in Inghilterra era l'unica possibilità di sopravvivenza e, allo stesso modo, anche il resto delle famiglie ha preso precauzioni.»

Sentii Alex sospirare e forse i suoi pensieri stavano andando all'unisono con i miei. Mi aveva raccontato che suo padre continuava a escluderlo dalla società, e ora anche questa informazione iniziava ad avere un senso. Tuttavia, non era quella la domanda che continuava a frullare nella mia testa.

«Ma quindi chi ha il terzo medaglione?» chiesi con una punta di impazienza. «Hai detto che le famiglie che erano state allontanate erano solamente i Blackwin e i Cavendish. Perché allora c'è un medaglione con la scritta "Nocte"?»

La mia domanda fu però interrotta da un violento colpo sulla porta, e per la seconda volta si presentò di fronte a noi l'unica persona che non mi sarei mai aspettata di vedere in quel momento: Caleb Evans.

__________
Buooongiorno!

Non vi mentirò: sono agitata dopo questo capitolo perché finalmente abbiamo messo quasi tutte le carte in tavola! Come vi sembra? Tutto dovrebbe ricollegarsi con i capitoli che avete letto fino a qui, e sono davvero curiosa di sapere se le spiegazioni presentate fino a ora vi convincono (e in caso contrario, via libera alle critiche! 🙏🏻)

So che ho tagliato di nuovo il capitolo in maniera infelice ma la seconda parte di spiegazioni sarà altrettanto corposa.
Posso darvi qualche piccola anticipazione del prossimo capitolo (che sarà l'ultimo, anche se poi ci sarà un capitolo bonus a cui tengo tantissimo):
- Ci sarà un confronto tra Caleb e Cassie
- Cassie e Alex dovranno affrontare qualcosa di cui hanno evitato di parlare per tanto 🙊
- Alex si ricorderà di qualcosa che ci porterà direttamente al capitolo bonus

Spero di non avervi deluso con questo capitolo e vi ringrazio tanto per essere arrivati fino a qui ❤️

Buon fine settimana e tantissimi auguri ancora a @ClaraCastiglia0 🎈

Mando un super abbraccio a tutti, vista la situazione che stiamo vivendo

Continue Reading

You'll Also Like

3.1M 165K 62
«Respingo tutti quanti, non prenderla sul personale.» highest rank in fanfiction #1
Because Of Her By

Teen Fiction

27.7K 2.2K 40
Elizabeth West ha passato tre anni a cercare di essere invisibile alla Weston High. Mentre le sue amiche si affannavano per conquistarsi un posto d'é...
6.1M 253K 47
CARTACEO! Da quando i suoi genitori hanno divorziato, Harper Wyatt vuole avere tutto sotto controllo: odia essere al centro dell'attenzione e il suo...
4.1K 172 23
ATTENZIONE: PER CHI É CONTRO LA VIOLENZA IN CERTE PARTI DEL ROMANZO CI POTREBBERO ESSERE SCENE CRUDE, QUINDI È CONSIGLIATO A CHI HA VISTO I FILM O È...