Binomio - 1

By Odiblue

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[Teen fiction / Slice of life] Quando Nina varca la soglia del suo liceo, non sa ancora che finirà in banco... More

Doverose premesse
Preludio
Dalla A alla Z (I)
Dalla A alla Z (II)
Vespe truccate (I)
Vespe truccate (II)
Vespe truccate (III)
L'uomo delle nevi (I)
L'uomo delle nevi (II)
L'uomo delle nevi (III)
Divisi cadiamo (I)
Divisi cadiamo (II)
Divisi cadiamo (III)
Double Decker (I)
Double Decker (II)
Double Decker (III)
Nella vecchia fattoria (I)
Nella vecchia fattoria (II)
Bandiera rossa (I)
Bandiera rossa (II)
Bandiera rossa (III)
Mastice, pezza, gesso (I)
Mastice, pezza, gesso (II)
Mastice, pezza, gesso (III)
Il ballo degli scarafaggi (I)
Il ballo degli scarafaggi (II)
Il ballo degli scarafaggi (III)
Jolie - Pitt (I)
Jolie - Pitt (II)
Jolie - Pitt (III)
Un buon non compleanno (I)
Un buon non compleanno (II)
Un buon non compleanno (III)
Più Yuriti più amore (I)
Più Yuriti più amore (II)
Più Yuriti più amore (III)
Profondo bianco (I)
Profondo bianco (II)
Dodici renne per Kant (I)
Dodici renne per Kant (II)
Dodici renne per Kant (III)
Stanza 24 (I)
Stanza 24 (II)
Sono più per il rum (I)
Sono più per il rum (II)
Sono più per il rum (III)
Cucciolo alla riscossa! (I)
Il tanga del peccato (I)
Il tanga del peccato (II)
Il tanga del peccato (III)
Ferite alla Nutella (I)
Ferite alla Nutella (II)
Ferite alla Nutella (III)
Bacio di Giuda (I)
Bacio di Giuda (II)
No drama, no party (I)
No drama, no party (II)
Escargot (I)
Escargot (II)
Ogni ape cerca un fiore (I)
Ogni ape cerca un fiore (II)
Ogni ape cerca un fiore (III)
Cime tempestose (I)
Cime tempestose (II)
Cime tempestose (III)
Ringraziamenti
Sequel: Binomio - 2

Cucciolo alla riscossa (II)

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By Odiblue


C'era un unico aspetto che odiavo della ginnastica artistica: l'attesa, i cinque minuti prima di vedere il punteggio sul cartellone. La ginnasta è in panchina. È finito il momento di gloria, ma dagli spalti la folla continua a squadrarla. Lei, invece, vorrebbe mangiucchiarsi le unghie, lanciare un urlo liberatorio, coprirsi gli occhi per non vedere il punteggio. Ma il codice le richiede di essere elegante, di piegarsi in un inchino per ringraziare, anche se il numero sul cartellone è ingiusto, troppo basso per un esercizio alla trave talmente complicato.

Mentre guido verso la clinica, torno a essere quella ginnasta in panchina, ma diversa è l'attesa che mi logora.

E se la reazione di Biagio non fosse buona? Se nemmeno si accorgesse del cane?

Quando arriviamo a destinazione, troviamo Biagio con i genitori, in giardino. Lo vedo da lontano, sulla sedia a rotelle, dritto con la schiena, ma solo perché legato da una cintura. Anche Biagio vive un'attesa, peggiore della mia. Aspetta che il cervello si svegli e riprenda a dare ordini, dica alla schiena di stare ritta, alle braccia di muoversi.

«Buongiorno.» Saluto i signori Iachemet e loro rispondono con un cenno del capo.

«Ve lo lasciamo un attimo, va bene?» mi chiede sua madre.

Poi si allontana con l'ex marito verso una panchina, abbastanza vicina per controllarci, abbastanza lontana per darci il nostro spazio.

«Ciao» saluto Biagio, ma lui non mi guarda, né risponde. Mi inginocchio al suo fianco, prendendogli una mano. «Hai visto che siamo tornati? Tra l'altro abbiamo una sorpresa per te.»

La capisce, la parola sorpresa. I suoi occhi sono ancora due biglie dilatate, eppure deve avere capito il senso del discorso, perché distinguo uno sprazzo di consapevolezza nelle pupille nere.

«Io l'ho detto a Nanà che la palla di pulci è orribile» sospira Marco. «Ma sai com'è fatta. È una testa dura!»

Mi fingo offesa. Se ha deciso di recitare una commedia, non mi resta che calarmi nel ruolo, sbucare dalla tenda rossa e dare inizio al primo atto. Biagio sarà il nostro spettatore d'onore.

«Ma senti un po'!» esclamo. «Parla lo zuccone!»

«Dimmi, boccoli rosso sbiadito!»

«Talpa!» lo punto con il dito. «Io ho i capelli lisci!»

«Secchiona!» ride Marco.

«Capra!» Una nuova ditata contro di lui.

«Capra sarai tu!» Marco incrocia le braccia al petto. Il regolamento dovrebbe vietare di replicare con la stessa battuta.

«Allora tu sei l'erba mangiata dalla capra!»

«Ehi! Io me la fumo, l'erba mangiata dalla capra!» Lo conosco troppo bene. Scontato e prevedibile.

«Ti auto-fumi?»

Marco rimane bloccato e io ne approfitto per riprendere fiato. Abbiamo sputato una battuta dietro l'altra, finito il primo atto a una tale rapidità che le nostre voci si sono sovrapposte. L'attenzione di Biagio è su di noi. Non parla, ma nei suoi occhi c'è una miriade di pagliuzze luminose, pensieri che vorrebbe esprimere, ma che ancora non sa ordinare.

«Va beh, dai, rifiliamogli lo sgorbio» acconsente Marco.

Anna stacca il cucciolo dalla tuta verde e lo appoggia sulle gambe del fratello. Trattengo il respiro, ancora accucciata accanto alla sedia a rotelle, studio le reazioni dell'uomo e dell'animale. Il cucciolo trema. Appena incontra un dito di Biagio, si tranquillizza. Biagio guarda in giù. Per la prima volta, mi sembra che stia vedendo qualcosa. Prima la sua espressione era vuota, una tela bianca in cerca di un pittore che le donasse un ritratto. Ora quel cucciolo ha preso il pennello, disegnato una linea obliqua sulle labbra di Biagio, la linea di quello che chiamo "sorriso".

«Dovresti dargli un nome» propongo.

Il petto di Biagio si gonfia all'istante e immagazzina una dose di aria, le forze necessarie per poter parlare.

«Ma..in»

È una sequenza di rantoli e lettere gracchiate. Marco e Anna si fanno più vicini per sentire meglio.

«...nin»

Ci scambiamo occhiate interrogative, discrete per non metterlo a disagio, perché mai come oggi sono sicura che stia capendo i nostri discorsi. Ora siamo noi tre, gli incapaci, quelli che non riescono a dare un senso alle sue parole.

«Ma...nin»

«Forse, Manin?» Butto lì tutte le lettere che ha pronunciato. Biagio irrigidisce i muscoli del viso, mi fa capire che non ho indovinato.

«Mar...in.»

«Adesso basta» decide Anna. «Si chiamerà Marlyn. Smettila di sforzarti, e poi è quello che hai detto, no?»

Non era quello che ha detto. Le pagliuzze di luce, negli occhi di Biagio, sono diventate un'unica emozione: rifiuto. Ma Marlyn abbaia, con una leccata di lingua fa capire al padrone che il nome gli piace.

Quando un'ora dopo torno alla macchina, mi sento incredibilmente stanca. Fingermi felice davanti a Biagio ha prosciugato le energie. È stata una mattinata difficile, quella di oggi, ma indispensabile per tenere la mente occupata.

«Nanà?» Marco è in macchina con me, mentre Anna è rimasta con Marlyn e Biagio.

«Che c'è?»

Mi guarda e tiene la bocca serrata, come se stesse custodendo un enorme segreto nella prigione dei denti. Rimugina tra sé e sé per cinque minuti e alla fine sospira, si libera della sua indecisione:

«Non pensarci. A quell'idiota di Stefano».

E fu così che Marco Zuccato ruppe la condizione imposta da Marco Zuccato stesso.

«A quello che avete fatto» aggiunge. «Avrai volte più belle e poi...» Stacca gli occhi da me e li punta sul tappetino di plastica. «Quando avremo superato anche questa, un giorno, tra tanti anni, molti, molti anni, ci rideremo su, vedrai.»

Finge una risatina per dimostrarmi che devo prenderlo in parola.

«Quindi mi perdoni?» gli chiedo. Ha inghiottito l'orgoglio, fatto il primo passo per riavvicinarci. Si sistema la garza sulla mano ferita, attaccata dal piccolo Marlyn.

«Le facciamo tutti le cazzate, no?» Sorride. «Solo che io e te le facciamo un po' più grandi degli altri.»

Non sono mai state pronunciate parole più vere. Non c'è nulla di semplice in quello che siamo, nulla di comprensibile nel nostro rapporto. Che non è amore. Che non è amicizia. Che non è affetto. Che non ha un nome preciso, se non binomio.

Nonostante quel confronto in macchina, io e Marco restiamo lontani, esitiamo a tornare quelli di sempre. Continuiamo a camminare su un sottilissimo strato di ghiaccio, con il timore che una parola sbagliata lo scheggi e ci faccia precipitare nell'abisso.

Lo possiamo superare, mi dico tutti i giorni. Lo vogliamo superare.

So che la stessa consapevolezza si riflette nel viso di Marco. Sulla sua pelle respiro l'esigenza di riavermi come altra metà del binomio, la necessità di rendere la lastra di ghiaccio uno specchio infrangibile di titanio.

Se si spegnesse il mondo, Nanà, se ci fosse un blackout di mesi e mesi, quando le luci si riaccenderanno, vorrei avere la certezza di trovarti ancora qui, accanto a me.

Marco lo scrive in un sms, qualche giorno dopo, quando a tutti gli effetti un cortocircuito fa saltare l'elettricità dell'intera Viacampo. E io resto sul mio letto, abbracciata al grande orso di peluche, con il display del Nokia che mi illumina il naso. So cosa stiamo cercando di fare: ci serve un segnale, qualcosa di forte per superare il baratro della crisi e tornare in pista, ma cosa?

Ci sarò, gli rispondo. Ci sarò sempre.

Appena invio il messaggio, mi riempie una scarica di adrenalina pura. Ora lo so, cosa devo fare! Il piano prende forma, ma perché abbia successo mi serve Yuri Conte. Subito. A notte fonda, ma comunque subito.

«Non è mica possibile che per ogni cazzata tu abbia bisogno di me» sbotta lui, con una piega del libro di fisica stampata in faccia. «Non dovresti essere autonoma alla tua veneranda età, invece che violare le mie sedute di studio notturno?»

Il solito megalomane che vuole essere corteggiato, pur di concedere il più piccolo piacere. E pensare che si tratta di una cosuccia da poco, se solo si armasse di buona volontà!

«Ma tu sei il grande Yuri Conte!» lo elogio, piazzata sotto casa sua e determinata a non mollare. «Come potrebbe l'intero universo sopravvivere senza la tua esistenza divina? Perfino E.T. si sentirebbe smarrito nell'universo, se tu non gli facessi da guida!»

«Scema!»

Scema ma efficiente! Elogiare la figura del grande Yuri Conte è sempre l'asso nella manica per convincerlo. E così l'anarchico rockettaro per eccellenza si dimentica della maturità e alle undici di sera in punto mi ospita nella sua Golf nera.

Per nulla convinto del piano, ovviamente.

«Marco ti prenderà per una demente. Sarai lo zimbello del paese. Ti deriderò finché non ti scaverai una fossa pur di sparire. E lì, mia cara, ci penserai persino tu a deriderti da sola.»

Grazie per il sostegno, Yuri. Come se non mi sentissi sufficientemente stupida per conto mio, tutta tremolante sul sedile e con il cuore che batte a mille. Ma ormai ho aperto le danze: siamo sotto casa Zuccato, davanti al cancello.

Prima di aprire la portiera e dare inizio allo show, Yuri tira fuori dal cruscotto una bottiglia di tequila.

«No, grazie» gli dico, quando me la porge. «Credo di avere bevuto abbastanza in passato.»

Lui inarca un sopracciglio che parla da sé: "Ma ne hai bisogno, Nina! Ne hai un fottuto bisogno visto quello che stai per fare!"

In più...

«Il grande Yuri Conte non accetta un no per risposta!»

Inumidisco le labbra con un goccio di alcol, ma lui è veloce ad afferrare la bottiglia per il fondo e a sollevarla di scatto. Quasi mi strangolo, mentre il liquido si riversa in gola.

«Yuri! Mi vuoi uccidere?»

«Sappiamo entrambi che non hai le palle per farlo, rossa, non senza un goccetto di alcol.»

Mi appiattisco al sedile. Domani sarò sulla bocca di tutti a Viacampo, sulla prima pagina dei giornali, sui bigliettini che si scambiano gli studenti annoiati durante le ore di lezione.

Yuri smanetta con lo stereo, si lamenta: il suo stratosferico lettore Alpine non è mai stato violato da simili "canzonette"! Intanto esegue, sistema i cavi jackpot e li collega all'amplificatore, la traccia giusta in pausa, il microfono in pugno.

Il cervello fatica a comprendere cosa accadrà tra dieci secondi. Sto davvero per farlo? Posso ancora tirarmi indietro, no?

Sono sul marciapiede adesso, e la base è partita. Dio, che figura! Tremo, le parole escono di bocca singhiozzate e timide, canto nel microfono. "Una donna per amico", nella variante "Uno scemo per amico".

«Ma che disastro io mi maledico! Ho scelto te uno scemo per amico. Ma il mio mestiere è vivere la vita che sia di tutti i giorni o sconosciuta. Ti amo forte e debole compagno, che qualche volta impara e a volte insegna!»

Le parole rimbombano a palla per tutto il quartiere, amplificate dal microfono, la potenza di un megafono. Le persone che passeggiano ancora a quest'ora di notte si fermano a guardarmi, sono un affresco di risate: "Oh, quanto è bella l'adolescenza!", "Che figura!", "Che caruccia!"

Già, così caruccia che potrei davvero seppellirmi per la vergogna!

Ma poi le tapparelle di casa Zuccato si alzano, la testa di mamma Rita fa capolino dall'imposta. Tre secondi dopo, a quella finestra, c'è Marco. Sorride, uno spicchio di luce così grande che brucia la notte, incenerisce l'indecisione. Guidata dai suoi occhi, dall'affanno con cui si butta in strada per raggiungermi, divento sicura di me. Canto senza vergogna o timore, quando la sua mano cerca la mia, mi tira sul cofano della Golf.

Yuri grida, mentre ci arrampichiamo sul tettuccio:

«Giù da lì, razza di idioti. Me la volete sfondare?»

Cerca di disarcionarci dal nostro palco, ma nulla ci può fermare. Io e Marco balliamo, cantiamo, ci stringiamo in un abbraccio ritrovato, sembriamo quasi volerci cimentare in un valzer scomposto.

All'ultima nota di "Una donna per amico", scivoliamo giù dal tettuccio della Golf, ridiamo come pazzi, di un entusiasmo che non riusciamo a trattenere.

«Tu sei matta, Nanà! Cazzo, sei matta da legare!»

Mi stringe come se avesse bisogno di fondersi a me, di rinsaldare con una fiamma ossidrica i nostri corpi, di cancellare quei vuoti, piccoli e grandi, che per mesi ci hanno allontanati.

Yuri mi ruba il microfono, sgomma via sulla sua Golf. Ma anche se non c'è più un amplificatore, non più una base musicale, io e Marco cantiamo. Sbagliamo le parole dei testi in inglese, selezioniamo i brani che costellano la storia del binomio, arriviamo a Wish you were here...

«Adesso basta! O vi faccio arrestare, coglioni!» sbotta un vecchietto in pigiama. La minaccia precede un getto d'acqua che finisce a cascata sulle nostre teste.

Io e Marco ci guardiamo con una strana smorfia e le guance gonfie per una risata trattenuta. Alla fine scappiamo. Ridiamo fino a rischiare di svenire per la mancanza di ossigeno.

Bagnati fradici, ma felici.



Note d'autrice:

Oggi mi sono svegliata con una brutta consapevolezza. Ero certa di avere revisionato tutto il primo volume di Binomio, due anni fa, invece mi sono resa conto che gli ultimi capitoli (17 - 24) li avevo solo divisi a grandi linee. Purtroppo la vita, in questo momento, mi impedisce di lavorarci. D'altra parte non voglio nemmeno rallentare gli aggiornamenti o stopparli fino a questa estate, quando avrò - si spera - più tempo.

Vi chiedo già scusa se vi sembreranno scritti male. In futuro magari li rivedrò. Per il momento spero si lascino leggere e possano essere comunque piacevoli.

Grazie a tutti

Odiblue

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