IGNI

By Valeroot

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[In riscrittura] Qual è il vostro posto nel mondo? Cassie non ne ha uno. Viene costantemente sballottata da u... More

Prima di iniziare
AVVISO
Prologo
1 - La festa (I)
2 - La festa (II)
3 - Comitato di accoglienza
4- La Churchill Accademy (I)
5 - La Churchill Accademy (II)
6 - Incontri (I)
7 - Incontri (II)
8 - Il medaglione
9 - Wenham Lake
10 - Sette shots in paradiso (I)
11 - Sette shots in paradiso (II)
12 - Leggende
13 - Questione di prospettiva
14 - L'invito
15 - I Parker
16 - In maschera (I)
17 - In maschera (II)
18 - Il Sole
19 - Il preside Evans
20 - Sogni
21 - Blackout
22 - Virgilio
23 - Stevow
24 - Ricerche
25 - I Case
26 - Pessime similitudini
27 - Trick or Treat (I)
28- Trick or Treat (II)
29 - Inferno e Paradiso
30 - I mille volti
31 - Collaborazione
32 - I medaglioni
33 - La calma prima della tempesta
34 - La partita
35 - Rivelazioni (I)
36 - Rivelazioni (II)
37 - Cassie (I)
38 - Cassie (II)
39 - Il piano
40 - L'effrazione (I)
41 - L'effrazione (II)
42 - L'effrazione (III)
43 - Fratellanza (I)
45 - Robin Hill Road
46 - Wenham Lake (I)
47 - Wenham Lake (II)
Ringraziamenti e avvisi
Alex
Sequel
Extra - Alex
Avviso 🖤

44 - Fratellanza (II)

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By Valeroot



«Perché avete disegnato il vecchio percorso di Wild Bear?»

Sbarrai gli occhi. Era questo Cassiopea? Il riferimento di un percorso chiamato Wild Bear? E soprattutto, perché Christian lo conosceva?

Alex sembrò razionalizzare quelle informazioni molto più velocemente rispetto a me, ma doveva essere giunto alla mia stessa conclusione, perché, mentre io stavo ancora mettendo insieme tutti i pezzi nella mia testa, lui aveva già fatto un passo in direzione del fratello.

Strappò il foglio dalle mani di Christian con un gesto secco, accartocciando lievemente i bordi tra le dita. Poi le parole traboccarono dalle sue labbra una alla volta, con una lentezza angosciante, che non sarebbe stata altrettanto sinistra se avesse semplicemente alzato la voce.

«Come fai a conoscere questo posto?» sussurrò.

Christian lo guardò confuso. Se stesse solamente recitando una parte, si sarebbe aggiudicato l'oscar alla miglior interpretazione, perché sembrava totalmente spiazzato da quella reazione. Abbassò il braccio con il quale aveva sventolato il foglio di fronte ai nostri occhi e fece un passo indietro. «Davvero non te lo ricordi?» Aveva gli occhi lievemente sgranati e la sua solita aria strafottente era stata rimpiazzata da uno sguardo sbalordito.

Vidi la mano di Alex tremare per un istante, anche se il suo volto non lasciava trasparire alcuna emozione. Come sempre del resto. Ma io lo sapevo, che non gli piaceva, quando non aveva il controllo della situazione.

«Esattamente cosa dovrei ricordare?» Ricambiava lo sguardo sconcertato di Christian con schegge di manifesta diffidenza. Il foglio era ormai diventato una pallina antistress tra le sue dita.

Christian fece un altro passo indietro, senza staccare gli occhi dal fratello, poi si voltò verso la libreria e recuperò una fotografia seminascosta dietro alcuni libri. Passò il polsino della felpa sul vetro, lucidandolo con una delicatezza che non mi sarei mai aspettata da lui.

«Andavamo sempre insieme a lei» rispose, allungando la cornice argento ad Alex.

Non capivo cosa stesse succedendo, non capivo di cosa stessero parlando...chi era lei?

Inconsapevolmente mi avvicinai un poco, per mettere a fuoco l'immagine. Un bambino seduto su grosso sasso era ritratto mentre sorrideva alla fotocamera. Una massa informe di riccioli scuri evidenziava due occhi chiarissimi che avrei riconosciuto ovunque. Accanto a lui, una ragazza dai lunghi capelli biondi che si libravano al vento era accucciata su due larghi stivali in gomma e salutava l'obiettivo, ridendo. Sorrisi involontariamente anche io, perché era una foto troppo dolce per non intenerirsi un po'.

Tornai a concentrarmi sui loro volti. Non potevo dire che fossero simili perché, anche da piccolo, Alex era la copia esatta di suo padre, ma avevano qualcosa nel modo in cui entrambi sorridevano, che mi fece capire all'istante che la donna fosse sua madre.

«Ve l'ho scattata io con la macchinetta usa e getta di papà.» Christian si avvicinò di nuovo ad Alex. Forse anche lui aveva pensato che così concentrato sulla fotografia, sembrasse un po' meno ostile, rispetto a prima. «Tu avevi circa quattro anni ed eravamo appena tornati in città dopo i mesi a New York» aggiunse.

«Credevo che fossimo ad Aspen dai nonni» lo interruppe Alex, senza alzare lo sguardo.

Christian scosse la testa. «Non siamo andati quell'anno.»

Il silenzio calò sulla stanza e io mi sentii in una di quelle situazioni solenni, dove il decoro ti impone di rimanere serio, ma a te viene solamente una gran voglia di ridere.

Volevo ridere perché mi trovavo nella stanza di un ragazzo che conoscevo da poco più di due mesi, mentre cercavamo di collegare delle informazioni relative alla sua infanzia con dei vecchi miti del periodo dei padri pellegrini. E per giunta, stavamo coinvolgendo anche suo fratello, sempre che in realtà non fosse proprio lui che ci stava nascondendo qualcosa... Cosa mi stava facendo Danvers?

Una testolina dai capelli arruffati comparve alla porta, strappandomi ai miei pensieri deliranti. Stava trascinando il solito peluche a forma di coniglio e ci guardava attento, mentre Christian e Alex continuavano a scambiarsi informazioni a monosillabi e non sembravano essersi resi conto della sua presenza.

Il "nanerottolo", come lo chiamava Christian, non sembrava contento di essere stato lasciato da solo. Ci guardava con il labbro inferiore sporto lievemente in fuori, mentre i grandi occhi scuri continuavano a rimbalzare su tutti i presenti, in cerca di attenzioni. Solo io però, mi ero accorta di lui e avevo la terribile sensazione che stesse per scoppiare a piangere da un momento all'altro.

Mi avvicinai a piccoli passi, temendo di spaventarlo. Dopotutto il nostro primo incontro non era andato troppo bene. «Ehi, ti ricordi di me?» lo salutai, abbozzando un sorriso incoraggiante. O almeno, era quello che speravo, perché, nel frattempo, stavo ragionando velocemente su cosa fare. Non ero sicura che fosse una buona idea lasciarlo nella stanza con noi, vista la tensione che scorreva tra i due Case.

Il bambino mi osservò incerto, senza dar segno di voler rispondere. Fece ciondolare la testa per un po' e poco dopo tornò a concentrarsi sul suo pupazzo, accrescendo il mio disagio. Non ero per nulla brava con i bambini. 

«Io mi chiamo Cassie, e tu?» tentai di nuovo, lanciando un'occhiata alle mie spalle. Christian e Alex erano immobili. Qualsiasi cosa si fossero detti, sembrava che non volessero continuare il discorso. Da una parte ne ero contenta, perché sapevo che Alex aveva la brutta abitudine di tagliarmi fuori un po' troppo facilmente, e non volevo perdermi le spiegazioni di Christian. Dall'altra però, la consapevolezza di non aver del tutto compreso il nocciolo della questione, mi rendeva inquieta, come se ci fosse un elemento essenziale che avevo perso.

Tornai a concentrarmi sul bambino, e osservai le sue labbra tremare un poco, prima che una vocina sommessa pronunciasse una singola parola. «Kevin.»

Allungai una mano, scompigliandogli i capelli già arruffati. «Dai, Kevin, andiamo a prendere qualcosa da mangiare.» Sorrisi ancora, sentendomi un po' impacciata e allo stesso tempo tesa, per la situazione che stavo lasciando in quella stanza.

La manina ghiacciata di Kevin andò a cercare la mia, lasciandomi per un attimo spiazzata. Era talmente piccola che mi sembrava di dover stare attenta per non fargli male.

«Dove si trova questo posto?» Sentii la voce bassa di Alex spezzare il silenzio carico di ansia che si era andato a creare, ma il suo tono sembrava più rassegnato rispetto a prima. Sembrava aver messo da parte il nervosismo per il momento.

Feci un passo in direzione della porta, continuando a sorridere a Kevin, mentre la mia attenzione era parzialmente diretta ai ragazzi alle mie spalle. Stavo facendo la cosa giusta a lasciarli da soli?

«Al Wenham Lake.»

Quella frase rappresentò in pieno la risposta che stavo cercando. Le mie gambe si bloccarono sulla soglia della stanza e il mio corpo intero ruotò, andando a cercare Alex, come se ogni mia cellula venisse attratta da lui, al pari della forza di gravità di un corpo celeste.

Wenham Lake. Sempre quel posto, dal primo istante nel quale avevo messo piede nella misteriosa cittadina di Danvers.

Come una combinazione ripetuta affinché fosse perfetta, Alex alzò a sua volta lo sguardo e i nostri occhi si incontrarono in un tacito appuntamento nell'epicentro del caos che le parole di Christian avevano scatenato.

Non avevo neppure bisogno che parlasse, per sapere a cosa stesse pensando.

Al Wenham Lake avevamo sentito per la prima volta la storia della fondazione di Danvers.

Gli avevo parlato delle mie stupide regole.

Avevamo scherzato con la macchina fotografica che mi aveva regalato James.

Avevamo trovato l'invito dei Parker.

Se quel luogo avesse rappresentato la soluzione a tutti i nostri enigmi, sarebbe stato ironico. Dove tutto era iniziato, i nostri dubbi avrebbero trovato anche la loro conclusione.

Alex tornò a voltarsi verso Christian. «Non ha senso questa cosa.» Il suo tono scettico e annoiato era lo stesso che aveva usato con me, la prima volta che gli avevo raccontato la storia della Fondazione. Gli sguardi torvi che però lanciava alla fotografia tra le sue mani erano eloquenti. Sembrava che non si capacitasse di non avere ricordi di quell'evento, come se non capisse, perché Christian fosse in grado di ricordare, e lui no. 

Percepivo il nervosismo che il suo corpo emetteva, come se una scarica elettrica avesse attraversato la stanza. Ma cosa sarebbe successo, quando quella tensione fosse esplosa definitivamente?

Come se mi avesse letto nel pensiero, Christian sembrò scegliere proprio quel momento per perdere la pazienza. «Senti, non capisco dove sia il problema, ma se non mi credi, forse crederai a questo.» Alzò un braccio, facendo cenno di seguirlo e si fiondò fuori dalla stanza, rischiando di travolgere Kevin.

Avvicinai il bambino a me, con un gesto istintivo, perché in realtà non riuscivo a pensare. O meglio, non riuscivo a smettere di sentire le parole di Christian che rimbombavano nella mia mente.

Ci sono alcuni momenti nei quali l'adrenalina ti permette di fare collegamenti che a mente lucida mai avresti prodotto, tuttavia ci sono situazioni nelle quali ti annulla completamente.

Alex lo seguì come un automa, passandomi accanto senza darmi l'impressione che mi vedesse davvero. E proprio mentre stavo iniziando a chiedermi come mi sarei dovuta comportare, a un passo dalla porta, si voltò nella mia direzione.

«Puoi restare?»

Me lo chiese con un'espressione un po' incerta che mi spiazzò, perché ero sempre abituata a vederlo così sicuro in tutto ciò che faceva. E invece ora era lì, che mi guardava con gli occhi intrisi di diffidenza, come se si aspettasse una risposta negativa.

Ma come potevo dirgli di no, se me lo chiedeva così?

«Resto» confermai. Avevo elaborato un sorriso rassicurante anche per lui e mi sembrava quasi di non riconoscermi. Da quando ero io a tranquillizzare gli altri?

Mi ritrovai a stringere lievemente la mano di Kevin, chinando il viso per tornare a rivolgermi a lui. «Ti va di andare con loro?»

Lui annuì, avvicinando il coniglietto tra le braccia. Era tenero che lo facesse ogni volta che parlavo, ma speravo che non fosse perché aveva ancora paura di me.

Ci incamminammo a piccoli passi verso il corridoio. Alex e Christian erano già ai pedi delle scale, ma non me ne preoccupavo troppo. Mi sentivo un po' un'intrusa in una questione che non mi riguardava, nonostante mi rendessi conto che avevo diritto quanto loro di sapere di più sui medaglioni.

Eppure era chiaro che il loro rapporto fosse costellato da interferenze che non avevano mai risolto. Ma tutti i problemi, tutte le questioni irrisolte non spariscono. Possono essere rimandate, puoi addirittura tentare di dimenticare, ma prima o poi dovranno essere affrontate. Iniziavo a metabolizzarlo, anche se James mi aveva sempre fatto credere il contrario.

Quando arrivammo nel salone, un irreale silenzio si era insinuato in ogni fessura, interrotto solamente dai passi concitati di Kevin e dai miei più misurati. Sembrava impaziente di raggiungere Alex e Christian e forse avevo sottovalutato il legame che li univa. L'unica luce visibile, s'irradiava fioca dal seminterrato, dove Kevin si lanciò senza indugi, sbattendo i piedini sul pavimento in legno scuro. Evidentemente, a differenza mia, era già stato lì.

Tirandomi per un braccio, mi guidò lungo un'altra rampa di scale, mentre sulla mia destra riuscivo a scorgere una serie di macchinari e pesi. Ovviamente i Case avevano anche una palestra privata. Sembrava che avessero costruito quella casa con la chiara consapevolezza che avrebbe ospitato una famiglia numerosa, e non potevo non pensare a quanto fosse triste, che Alex fosse costretto a viverci da solo per la maggior parte del tempo.     

Proseguimmo lungo un breve corridoio, prima di entrare in una stanza piena di giochi. Disegni stilizzati tappezzavano i muri dipinti con toni sgargianti; librerie colorate contenevano volumi, dvd e morbidi pupazzi. Sembrava che nel corso degli anni avessero accatastato una miriade di ricordi, impilati alla buona, in una successione di scaffali e scatole in stoffa.

Alex e Christian non diedero segno di notare il nostro arrivo. Erano entrambi concentrati su un grosso impianto video, posizionato sul fondo della stanza e io non riuscivo a capire perché fossimo qui. Christian aveva detto che voleva mostrarci qualcosa, ma cosa li legava al percorso di Wild Bear?

Come a voler dare un'immediata risposta ai miei pensieri, sul televisore incassato nel muro, iniziarono a proiettarsi una serie di immagini.

La stessa donna dai lunghi capelli biondi sorrideva luminosa all'obiettivo. Lei e un piccolo Alex erano accovacciati vicino a uno specchio d'acqua limpida, intenti a lanciare piccoli sassi chiari che rimbalzavano rapidi sulla sua superficie. Non si sentiva alcun suono, ma i colori erano talmente vividi che sembrava di essere lì con loro, e allo stesso tempo, l'assenza di rumori, dava l'idea che ci fosse un muro di vetro a dividerci.

«È stata l'ultima gita prima della nascita di Allison e dell'inizio della scuola.» Christian fece un passo indietro, raggiungendo una moderna poltrona patchwork, sulla quale si lasciò cadere. Notai solamente in quel momento che aveva un aspetto più trasandato rispetto al solito. Due occhiaie evidenti contornavano gli occhi azzurri, più scuri rispetto a quelli di Alex, e i riccioli biondi erano un po' schiacciati di lato. Piegai il capo. Non sembrava la stessa persona della partita contro i Lupi di Beverly.

Alex non replicò, troppo concentrato a fissare l'immagine di se stesso da piccolo, per dar retta al fratello. La videocamera ruotò per riprendere il paesaggio attorno. Sullo sfondo si stagliava una piccola spiaggia incastonata da una roccia a strapiombo. Non sembrava neanche il Wenham Lake, se lo paragonavo alla zona della casa di Caleb. L'unico elemento in comune era rappresentato da una lunga serie di alberi verdi che si susseguivano. Qualche foglia gialla però, dava credito alla teoria di Christian che il video fosse stato girato a metà settembre.

La manina di Kevin mi trascinò verso il basso e, in un attimo, mi ritrovai a sedermi a terra insieme a lui, senza neppure rendermene conto. Si accoccolò su di me, lasciandomi interdetta per un istante. Essendo figlia unica non ero abituata a dover interagire con un bambino così piccolo, ma Kevin mi piaceva. Era tranquillo, e quello slancio di fiducia nei miei confronti mi sciolse il cuore.

«Come si arriva a questo percorso?» chiese Alex, senza staccare gli occhi dallo schermo.

Christian si grattò il mento, pensieroso. «Credo che parta dal vecchio capanno del nonno a Robin Hill Road.»

A quelle parole, Alex sembrò riacquistare il solito autocontrollo. L'espressione malinconica fu rimpiazzata dalla solita indifferenza che ogni volta mi provocava una fitta di fastidio, perché lo faceva sempre sembrare così lontano dal mondo che lo circondava.

Il capanno di Robin Hill Road era l'unica proprietà ancora associata al cognome dei Cavendish, che avevamo trovato nel sito del catasto di Danvers. Non poteva essere una coincidenza.   

Ci serve un aiuto e collegheremo tutto. Così, aveva detto poco meno di un'ora prima. Alla fine, quelle parole che avevo accolto con il mio solito atteggiamento scettico, si erano rivelate quanto di più simile a una profezia. Ma era davvero così facile?

Accarezzai la testolina di Kevin, che si era incastrata tra la mia spalla e il mio braccio. Lo guardavo e non riuscivo a non rivedere me stessa, quando James chiamava baby sitter improvvisate o mi lasciava dai vicini di casa perché lui doveva lavorare. Non avevo mai compreso quel suo comportamento e, guardando quel bimbo tra le mie braccia, forse ora lo capivo ancora meno.

«Si può sapere cosa sta succedendo?» Christian si sporse dalla sedia, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Voleva sapere, e non ne ero affatto sorpresa. Incastrò il mento sul palmo della mano, mentre con espressione ostinata faceva passare lo sguardo tra me e Alex. Nessuno di noi due però, sembrava voler formulare una risposta e, in ogni caso, sentivo che non fosse compito mio.

Forse anche Alex la pensava così, perché utilizzò la solita risposta che rifilava a tutti: «Niente.»

Dovetti sforzarmi di non alzare gli occhi al cielo. Era incredibilmente bravo a tenere tutti fuori dalla sua vita, peccato che Christian lo conoscesse come le sue tasche.

«Cazzate» rispose con astio. «Sei sempre stato il miglior bugiardo tra noi due, ma si vede lontano un miglio che nascondete qualcosa.» Quel plurale mi fece arrossire.

Alex si passò una mano dietro al collo con fare nervoso, e io lo sapevo, sapevo che la sua prima reazione era quella di rispondere a tono a suo fratello.

«Hai ragione, riformulo: niente che ti riguardi.»

Perché non ero affatto stupita?

Abbassai gli occhi su Kevin che dormiva profondamente su di me. Eravamo andati avanti senza Christian per mesi, ma avrei capito se Alex avesse deciso di condividere le nostre ricerche con lui. Dopotutto si trattava della sua famiglia, e se questo poteva aiutarli a comunicare o a riunirsi in qualche assurdo modo, non lo avrei di certo ostacolato. Però, come al solito, sembrava che lui volesse affrontare questa cosa da solo, e mi chiesi distrattamente se non ci fosse una sorta di autopunizione o di condanna implicita, nel voler portare ogni fardello unicamente sulle proprie spalle. 

«Sei uguale a lei.» Con la coda dell'occhio scorsi Christian scuotere la testa, senza staccare gli occhi dal fratello, come se lo vedesse davvero per la prima volta.

Alex inspirò lentamente, nell'evidente tentativo di rimanere calmo. «Smettila.»

Tuttavia, Christian non sembrava intenzionato a stare zitto. «Eravate sempre voi due, con i vostri segreti e le vostre bugie.»

Fissavo il pavimento chiaro sotto di me, senza avere il coraggio di alzare gli occhi. Mi sentivo terribilmente di troppo, ma uscire dalla stanza sarebbe stato ancora più imbarazzante. Mi strinsi nel maglione, quasi a volermi fare piccola piccola, per rendermi invisibile a quella conversazione, che mi faceva sentire oltremodo invadente.

Non sapevo con precisione di quali bugie stessero parlando, ma era evidente che avessero più di un paio di incomprensioni da risolvere. Si rispondevano entrambi con cattiveria, eppure non dimenticavo ciò che Alex aveva fatto in segreto per Christian.

È questa la rassicurazione che ti dona un legame di sangue? Sapere che, in ogni caso, quella persona non se ne andrà, perché il legame che ci unisce è più forte di tutto il resto? Forse è per quello che ci concediamo di arrabbiarci così tanto solamente con le persone che amiamo, perché sappiamo che, in un modo o nell'altro, ci perdoneranno sempre. 

Christian si alzò di colpo, dandoci le spalle e raggiungendo la porta, evidentemente stufo di proseguire quella conversazione. Litigavano, si insultavano, ma alla fine reagivano allo stesso modo.

«Sai che non sono io, il tuo nemico.» Alex aveva alzato di poco il capo e, sebbene non si fosse mosso, con quella frase ebbi la sensazione che volesse fare un passo nella sua direzione.

A quelle parole, Christian si bloccò. Scorsi una punta di indecisione nel suo rimanere immobile a quel richiamo. Alla fine, liberò un profondo sospiro e sentii la sua voce tremare impercettibilmente, mentre si voltava nella nostra direzione.

«Forse sei tu a non ricordarlo» rispose, battendo il palmo della mano sul suo braccio, nello stesso identico punto in cui Alex aveva il tatuaggio di Milton.

I due si guardarono per alcuni, lunghi secondi. Non capivo se stessero comunicando silenziosamente o se stessero aspettando entrambi che l'altro replicasse ma, alla fine, Christian face dietrofront, scomparendo oltre la porta.

Cosa significava? Chi era il loro nemico comune? "Meglio regnare all'inferno, che servire in paradiso". Perché avevo la sensazione che quella frase c'entrasse con ciò che avevo appena sentito?

Nella mia testa vorticavano mille domande ma, nonostante la mia indole curiosa, mi costrinsi a rimanere zitta. Non volevo, e non potevo, gettare altra benzina sul fuoco.

Un silenzio gelido scese sulla stanza. Non avevo ancora il coraggio di alzare lo sguardo, temendo di incontrare la rabbia di Alex. Non volevo essere coinvolta nell'ennesimo scontro e, in parte, temevo che riversasse su di me il suo nervosismo, come era già successo in passato. Poco dopo però, lo sentii sedersi per terra accanto a me.

«Tutto bene?» chiesi senza guardarlo. Era più forte di me, non riuscivo a non preoccuparmi per lui. Ammetterlo mi infastidiva e mi sollevava allo stesso tempo.

Alex non rispose e interpretai quel silenzio come la chiara indicazione che non volesse parlare e non insistetti oltre. Sapevo che se avesse cambiato idea, lo avrebbe fatto seguendo i suoi tempi, come quando mi aveva raccontato del Blackout e del football. Se c'era una cosa che potevo fare, era rispettare i suoi tempi. Perché stavo imparando che esserci, a volte, significa anche saper fare un passo indietro.

«Come ti sentiresti nello scoprire che non ricordi una parte della tua vita?» disse piano.

Lo osservai con la coda dell'occhio. Aveva il capo chino, e ciocche di capelli scuri si tuffavano nel vuoto, coprendo il suo viso. L'unico evidente segno del suo nervosismo erano le spalle rigide e i muscoli delle braccia tesi nella felpa che indossava.

Ero consapevole che niente di ciò che avrei detto, lo avrebbe fatto sentire meglio, quindi, alla fine, appoggiai semplicemente la testa sulla sua spalla.

Iniziavo a trovare rassicuranti quei contatti, e speravo che a lui non dessero fastidio. Fin da quando ero piccola, James aveva sempre rispettato i miei spazi e, pur essendo la persona con la quale mi sentivo più libera di essere me stessa, il fatto che non mi abbracciasse mai o che parlassimo solo del suo lavoro, mi aveva resa insensibile a quelle dimostrazioni d'affetto.

Eppure, ogni giorno che passava, quella lontananza fisica con Alex mi dava sempre più fastidio. Come se ci fosse qualcosa di sbagliato nel suo voler mantenere le distanze da me. 

Inaspettatamente, sentii il suo capo posarsi sui miei capelli, mentre l'accenno di barba punzecchiava la mia pelle, e mi resi conto solamente in quel momento che avevo trattenuto il respiro per tutto il tempo.

Rimanemmo così per un numero imprecisato di minuti e, molto lentamente, sentii i muscoli delle sue spalle rilassarsi sotto la mia guancia. Se qualcuno ci avesse visto dall'esterno, il nostro quadretto sarebbe risultato particolarmente buffo: una ragazza dai capelli rossicci appoggiata a un ragazzo con l'aria perennemente arrabbiata, mentre teneva in braccio un bambino del quale non sapeva assolutamente nulla.

«Non so come mi sentirei» ammisi infine, spezzando il silenzio. «Ma so come mi sento da quando è iniziata questa storia: senza un punto di riferimento.»

Alex emise un sospiro frustrato. «Già.» E sapevo, che era il massimo commento che avrei ottenuto da lui.

Stropicciai i polsini del maglione, tirando il tessuto fin sopra le mie dita. Lo facevo spesso, quando ero agitata. «Sei sicuro di non voler coinvolgere Christian?» domandai.

Rise piano al mio orecchio, ma era una risata amara. «Per dire cosa?» Non aveva bisogno di aggiungere altro, perché in fondo lo capivo. Non avrei saputo neppure io, come spiegare la situazione a suo fratello. «Non capirebbe» concluse infine.

Mi schiarii la voce, per sembrare più convincente. «Allora continuiamo noi. Non cambia nulla.» Era una bugia. Qualcosa era cambiato. Ora avevamo un indizio reale, e questa cosa mi tranquillizzava e terrorizzava, allo stesso tempo.

Lui però sembrava ancora perso nei suoi pensieri. «Mi chiedo solo cosa intendesse, quando ha detto che io e lei avevamo dei segreti.» La sua affermazione mi sorprese. Credevo davvero che le accuse di Christian avessero un fine ben specifico.

Alex stava ancora fissando i fotogrammi del video di fronte a sé, come se si aspettasse di leggere la risposta ai suoi interrogativi da un momento all'altro.

«É mia madre» aggiunse poi, confermando le mie ipotesi. Avrei voluto voltarmi verso di lui, ma in quella posizione mi era impossibile muovermi, ed egoisticamente non volevo che quel momento finisse.

«Sembra molto dolce» commentai, dopo qualche istante.

Lui però sembrò non sentire le mie parole. «Ci sono delle volte, dove mi sveglio in piena notte e ricordo delle frasi che non so decifrare o degli eventi che non so se ho vissuto davvero, o solo immaginato» continuò, staccandosi da me e passando le mani tra i capelli con un moto di frustrazione. «Magari sto solo diventando pazzo.»

Mi allontanai anche io, ruotando il busto un po' più nella sua direzione, per quanto il corpicino di Kevin abbandonato su di me, mi permettesse.

«Non lo sei, dobbiamo solo capire» provai a tranquillizzarlo. Di solito era più paziente, ma non appena Christian aveva coinvolto sua madre le cose erano cambiate.

Mi fece un sorriso di circostanza, come a volermi rassicurare. Eravamo tornati ai quei mezzi sorrisi che non coinvolgevano gli occhi e che mi rendevano irrequieta. Non volevo che a causa di quel nuovo tassello, fossimo costretti a fare passi indietro.

«Credo che dovremmo andare a Robin Hill Road» articolai frettolosamente. Cassiopea, il capanno, il Wenham Lake... tutto era collegato, ed era arrivato il momento di capire come.

Il filmato di quella gita girava a ripetizione da un po', e più guardavo quelle immagini più capivo le parole di Christian. La complicità tra Alex e sua madre era innegabile. Forse proprio perché non avevamo l'audio, i loro gesti, il modo in cui si cercavano, sembrava mostrava una connessione invidiabile. Erano in una bolla nella quale nessuno di noi poteva entrare. Neanche lo stesso Alex del presente.

«Quando?» chiese infine lui, staccando con forza gli occhi dallo schermo per tornare a puntarli su di me.

«Questo weekend.»

_______________________________

Buonaseeera,

Ormai credo che avrete capito che il titolo "fratellanza" qua ha un doppio significato. Non si parla solo della Fratellanza del Fuoco, ma anche del rapporto tra Alex e Christian, che pian piano si sta delineando. Avete qualche idea su chi sia il loro nemico in comune? 🤔

Comunque spero che tutta la scena con Kevin non sia stata troppo confusionaria, ma volevo che Cassie ragionasse un po' sul suo rapporto con James, perché per la tipologia di storia che scrivo, la famiglia ha sempre un ruolo fondamentale.

Nel prossimo capitolo andremo tutti a fare una bella scampagnata al Wenham Lake, sperando che ci regali qualche info in più 🤣

As usual: buon weekend belle❣️

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