IGNI

By Valeroot

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[In riscrittura] Qual è il vostro posto nel mondo? Cassie non ne ha uno. Viene costantemente sballottata da u... More

Prima di iniziare
AVVISO
Prologo
1 - La festa (I)
2 - La festa (II)
3 - Comitato di accoglienza
4- La Churchill Accademy (I)
5 - La Churchill Accademy (II)
6 - Incontri (I)
7 - Incontri (II)
8 - Il medaglione
9 - Wenham Lake
10 - Sette shots in paradiso (I)
11 - Sette shots in paradiso (II)
12 - Leggende
13 - Questione di prospettiva
14 - L'invito
15 - I Parker
16 - In maschera (I)
17 - In maschera (II)
18 - Il Sole
19 - Il preside Evans
20 - Sogni
21 - Blackout
22 - Virgilio
23 - Stevow
24 - Ricerche
25 - I Case
26 - Pessime similitudini
27 - Trick or Treat (I)
28- Trick or Treat (II)
29 - Inferno e Paradiso
30 - I mille volti
31 - Collaborazione
32 - I medaglioni
33 - La calma prima della tempesta
34 - La partita
35 - Rivelazioni (I)
36 - Rivelazioni (II)
37 - Cassie (I)
38 - Cassie (II)
39 - Il piano
40 - L'effrazione (I)
41 - L'effrazione (II)
42 - L'effrazione (III)
44 - Fratellanza (II)
45 - Robin Hill Road
46 - Wenham Lake (I)
47 - Wenham Lake (II)
Ringraziamenti e avvisi
Alex
Sequel
Extra - Alex
Avviso 🖤

43 - Fratellanza (I)

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By Valeroot

Affondai il cucchiaio nel gelato al pistacchio.

Era la seconda notte consecutiva che mi svegliavo a causa degli incubi. L'effrazione ai danni dell'ufficio del preside sembrava aver risvegliato i sogni che facevo all'inizio del mio trasferimento a Danvers. La scena era sempre la stessa: mi perdevo nei meandri di un bosco, senza riuscire mai a trovare la fine. Più correvo e prima ritornavo all'inizio.

Fortunatamente però, avrei potuto dormire per l'intera giornata, perché era anche il secondo giorno che non potevamo recarci alla Churchill Accademy a causa degli scherzi della squadra di football.

A quanto pare, il preside Evans teneva particolarmente alla sicurezza dei suoi studenti perché dopo i vari incidenti con le fialette nel laboratorio di chimica, una ditta specializzata stava effettuando una serie di verifiche sulla salubrità dell'ambiente interno, aumentando i nostri giorni di vacanza.

Iniziavo a sentirmi vagamente in colpa, per essere stata una delle cause di quella situazione, anche se Alex mi aveva rassicurata più volte che gli altri senior avevano in programma di fare ben peggio di un paio di scherzi innocenti.

Già, Alex.

Stranamente, non era sparito come suo solito e mi aveva persino scritto un messaggio per sapere se fosse tutto okay. Avevo dovuto rileggere il testo per ben tre volte, per essere sicura che non fosse un'allucinazione dovuta a un calo glicemico.

Non ero abituata che qualcuno si preoccupasse per me. James stesso era un fervente sostenitore dell'autodeterminazione infantile, o comunque si chiamasse la convinzione per la quale, dall'età di dieci anni in poi, non hai più bisogno dell'assillo dei genitori.

Raschiai i lati del contenitore con cura.

Sia James che Jenna però, in quei giorni, erano stati particolarmente pressanti e non mi avevano mai lasciata un attimo da sola. Non riuscivo a capire il loro comportamento, ma era come se si fossero resi conto improvvisamente che una diciassettenne viveva sotto il loro stesso tetto.

Non era quella però, la ragione per la quale non avevo ancora avuto il coraggio di iniziare a leggere i taccuini rubati. Non li avevo neanche estratti dallo zaino, perché in fondo sapevo che, se neppure loro fossero riusciti a darci le risposte che stavamo cercando, saremmo stati ad un punto morto.

Per di più, dovevo ancora parlare ad Alex del fatto che Cassiopea fosse diventato l'indizio principale dei medaglioni, dopo aver associato la frase di Virgilio alle stelle, ma avrei dovuto anche spiegargli che Matt mi aveva beccata a fare ricerche sulle costellazioni, e non ero certa della sua reazione. Certo, avevamo superato la fase delle sparizioni misteriose e degli scatti d'ira improvvisi, come quando mi aveva cacciata dallo spogliatoio, ma ancora non ero ancora in grado di decifrare completamente il suo comportamento, e mi piaceva questo equilibrio che avevamo trovato.

In ogni caso, anche la costellazione continuava a sembrarmi solamente un grande buco nell'acqua e, l'unica cosa che mi aveva lasciato, era la mera sensazione di inquietudine per la somiglianza con il mio nome. Possibile che mia madre non lo avesse scelto solamente in onore della mia bisnonna?

Rigirai tra le dita il medaglione.

A qualsiasi cosa ci avesse portato questa ricerca, non riuscivo però a comprendere che valore avrebbe potuto avere per noi. La mia famiglia e quella di Alex avevano origini importanti? Entrambi eravamo legati a Danvers anche se non ero nata qui?

Potevo accettarlo ma, onestamente, cosa importava? Che senso aveva per Elizabeth ricomparire in maniera così assurda nella mia vita, portando tutti questi dubbi? Doveva esserci altro. Sentivo che c'era di più.

Al momento però, l'unica certezza era rappresentata dal patto della fondazione che Caleb mi aveva mostrato nella sua casa al Wenham Lake. Oltre all'esistenza delle famiglie fondatrici, di una strana società chiama "Il Sole", e del simbolo del triangolo che ci legava a quella storia, non avevamo altri appigli.

O forse non ne avevamo avuti, fino a quel momento.

Da Alex Case:
Potrei aver trovato qualcosa.

***

Suonai il campanello della villa dei Case con una punta di impazienza. Alex mi aveva scritto alle prime luci dell'alba, ma avevamo dovuto aspettare fino al pomeriggio, prima di incontrarci. 

Mi aprì la porta, asciugandosi il viso con la maglia scura. Alcune piccole gocce di pittura gialla costellavano la mascella coperta da un lieve accenno di barba. Quella combinazione lo faceva sembrare più grande e più giovane allo stesso tempo. 

«Entra, sono appena tornato dai "lavori socialmente utili".» Fece una smorfia, indicando la maglietta con le maniche arrotolate, che indossava. Sembrava che fosse finita per sbaglio in una lavatrice con un tubetto di vernice, da quanto era imbrattata.

Repressi un sorrisino a quella vista. «Non ti hanno ancora revocato la sospensione?» chiesi, entrando nel salone.

Se in un primo momento, avevamo creduto che Alex se la sarebbe cavata con un paio di giorni a casa, il preside Evans aveva presto fatto intuire di avere piani ben diversi. Sembrava essere particolarmente determinato a usare il pugno duro e aveva reclutato Alex e gli altri ragazzi sospettati di aver partecipato agli atti vandalici per pulire la scritta contro il professor Webb e per sistemare l'atrio invaso dalla carta velina colorata. Una volta completati quei lavori però, aveva proseguito con un'altra serie di attività, come ridipingere l'interno della palestra.

«Siamo sospesi per l'intera settimana, ma solamente perché sperano che prima o poi qualcuno crolli.» Sorrise rilassato, per mostrarmi che non era un'eventualità che prendeva in considerazione. Apprezzavo che tentasse sempre di rassicurarmi, ma non ne avevo bisogno. O meglio, speravo che non fosse così evidente che mi preoccupassi per lui.

Dondolai sui talloni un po' a disagio per quei miei pensieri. «Hai detto che avevi trovato qualcosa, no?» iniziai nel tentativo di cambiare argomento.

Lui annuì. «Andiamo di sopra, devo togliermi questa roba.» Indicò un'ampia porzione di tessuto, scuotendo la testa incredulo, e io mi rilassai di nuovo.

«Finalmente abbiamo trovato qualcosa in cui non sei affatto bravo?» lo presi in giro, seguendolo sulle eleganti scale di cristallo. La villa dei Case era troppo grande e troppo silenziosa per i miei gusti. Sembrava un moderno museo, con tutte quelle opere d'arte appese ai muri bianchi e quell'arredamento minimal. 

Voltò brevemente il capo nella mia direzione, mentre l'ombra di un sorrisino si formava sul suo volto. «Ah, quindi sarei bravo in molte cose?» ribatté, continuando a camminare. «Vai avanti, Reed, il mio ego ne sarà contento.»

Alzai gli occhi al cielo. Era bravissimo ad ingigantire sempre tutto.

«Preferirei concentrarmi sui muri della palestra, sono davvero in apprensione per loro.» Accentuai il mio tono rammaricato, mettendo una mano sul cuore. Mi era mancato quel punzecchiarci, come i primi giorni di scuola. I medaglioni avevano complicato tutto. Ci avevano costretti a collaborare certo, ma allo stesso tempo ci avevano caricato di fin troppa pressione.

Credevo che lo avrei visto svoltare a sinistra verso la solita biblioteca, ma invece mi condusse nella sua camera. Mi fece cenno di sedermi alla scrivania, mentre lui raggiungeva l'armadio sul fondo della stanza.

«Così mi offendi.» Lo vidi recuperare una felpa dalla cassettiera, mentre mi rispondeva con tono falsamente indignato. «Ho fatto uno splendido lavoro.»

Mi voltai, prendendo posto sulla sedia, per lasciargli un po' di privacy, anche se lui si comportava come se non gli importasse.

«Immagino, la pittura sulla tua faccia è un'evidente prova della tua bravura» ribattei, alzando un po' la voce, affinché mi sentisse bene.

Sentii il tonfo di una maglietta che si accartocciava a terra e cercai di non pensare al fatto che fossi in una stanza con un ragazzo mezzo nudo, mentre avevo detto a James che sarei andata da Alice a studiare.

Un istante dopo, Alex tornò accanto a me, sedendosi sul bordo del letto e i miei nervi ringraziarono che avesse avuto la decenza di infilarsi una felpa. Era davvero imbarazzante che mi facessi tutti questi problemi, quando era evidente, che gli stessi, non avessero neppure sfiorato la sua mente.

Mi osservò, accartocciando la fronte in un grazioso broncio. «Potevi avvisarmi prima» si lamentò, passando le dita sul volto, prima di incastrare il mento nel palmo della mano. Non avrei voluto interrompere quel momento così leggero, ma sapevo di essere lì solamente per i taccuini.

Distolsi lo sguardo e cercai di riacquistare un contegno professionale. «Tornando alle ricerche» iniziai, «cosa hai scoperto?»

Si avvicinò, scostando i capelli che erano decisamente più lunghi rispetto a quando lo avevo conosciuto. Il suo sguardo era leggermente perso nel vuoto e aveva assunto un tono pratico.

«I miei liberi erano per lo più diari e lettere.» Accennò alla scrivania dove una serie di fogli ingialliti erano sparpagliati senza un'apparente logica. «Sai che Danvers inizialmente non era una città autonoma, ma era stata creata solamente per inviare grano e altri generi alimentari a Salem Town, giusto?»

Annuii. Ricordavo abbastanza chiaramente i racconti di Caleb, la sera che eravamo andati al Wenham Lake. Danvers aveva combattuto dopo anni di dipendenza dalla città madre, grazie all'impegno degli Harrison, dei Cavendish e dei Blackwin. Il pensiero di quei racconti, uniti al buio pesto del lago, era ancora in grado di farmi venire i brividi.

Alex sfogliò qualche pagina. «La maggior parte di queste lettere sono precise annotazioni relative allo spostamento di granoturco e altri prodotti agricoli, ma alcune secondo me nascondono altro.»

Si sporse per prendere due pacchettini fermati con un post-it e me li passò. «Qua ci sono una serie di nomi e annotazioni sulle altre famiglie che sembrano interessanti.»  

Mi sembrava di rivedere il signor Case, quando si comportava così. Divideva e catalogava quei fogli con la medesima organizzazione mentale del padre. Mentre io ero disordinata e caotica, loro avevano la capacità di razionalizzare ogni informazione e incastonarla in perfette caselle mentali. 

«Questa invece, è quella su cui dovresti concentrarti.» Alex mi porse l'ennesimo foglio, fermandosi poi a fissarmi. Mi guardò con sollecitudine, così mi ritrovai a leggere le parole scritte in un elegante corsivo, mentre lui fissava il mio volto, probabilmente in attesa di scorgere una reazione ben precisa.

Caro William,
Un altro anno è passato e un altro raccolto ha visto la luce. Mi duole quindi informarti che l'ultimo carro non ha raggiunto la destinazione. La Fratellanza del Fuoco si è frapposta a noi e ha distrutto quello per cui duramente abbiamo lavorato. Il nostro potere politico non basta con quelle belve. La collina, li abbraccerà presto...

La Fratellanza del Fuoco. Fuoco. Igni.

«Cos'è la Fratellanza del Fuoco?» chiesi alzando gli occhi e scontrandomi con lo sguardo attento di Alex. Perché avevo la sensazione che mi stesse valutando?

Scosse la testa, racchiudendo il labbro inferiore con i denti. «Non ne ho idea» disse infine, «ma guarda come sono scritte le due parole. Le iniziali sono addirittura sottolineate, quindi credo che avessero anche per loro un certo significato.»

Mi concessi qualche secondo per rileggere quelle poche righe, ma avevo la sensazione che qualcosa non tornasse.

Dalle lettere degli Harrison, sembrava che questa Fratellanza fosse a loro contrapposta, come se fossero una banda qualsiasi di ladri che aveva distrutto il loro raccolto. Allo stesso tempo però, il medaglione con il simbolo della Fondazione, cioè il triangolo, aveva impresso proprio la parola "Igni", cioè "fuoco".

Erano alleati o nemici? Al momento, non mi era per nulla chiaro.

«Non capisco» ammisi, restituendogli la lettera. «Che rapporto c'era tra le famiglie fondatrici e la Fratellanza del Fuoco, e soprattutto, che ruolo abbiamo noi e questi medaglioni?»

Alex passò una mano sul volto. «Speravo me lo dicessi tu.» Mi sorrise con l'aria un po' stanca. Non aveva la solita espressione impassibile. «È da questa mattina che ci penso, ma non sono ancora arrivato a una conclusione.»

Rimanemmo per qualche minuto in silenzio. Io mentre giocherellavo con il medaglione di mia madre, e Alex con un braccio appoggiato alla scrivania, mentre leggeva per l'ennesima volta la lettera.

Perché ogni volta che scoprivamo un nuovo tassello avevo la sensazione che ci allontanassimo, invece di avvicinarci alla meta?

«Proviamo con i miei libri?» chiesi quando il silenzio era diventato troppo opprimente da poterlo sopportare un secondo di più. Indicai prontamente la borsa accanto a me. Odiavo sentirmi inutile e iniziavo anche a sentirmi una stupida per non avere iniziato a leggerli da sola, come aveva fatto lui.

Eppure, spesso mi sentivo cristallizzata tra ciò che erano le mie speranze, e il terrore di vederle scivolare tra le mie dita. E allora rimanevo lì, assaporando ancora per qualche istante l'incertezza, il dubbio di un risvolto positivo, prima di scontrarmi definitivamente con la realtà.

Alex alzò gli occhi dal foglio, passandosi una mano tra i capelli per tirarli indietro. «Credo che sia l'unica opzione» concordò.

«Prima però devo dirti una cosa» lo interruppi, prendendo una matita e un foglio bianco. Era inutile rimandare ancora. «A lezione, Matt ha visto che stavo facendo alcune ricerche su Cassiopea» continuai, disegnando la costellazione, più per avere una scusa per non guardarlo in faccia, che per altre ragioni.

Lo sentii sospirare e rimasi in attesa di una qualche reazione che però non arrivò. Mi sarei aspettata una delle sue solite ramanzine che mi facevano sentire una bambina colta in fallo, o che quantomeno mi dicesse di continuare. Ma non fece niente di tutto ciò.

«Lo so: sono stata stupida a fare ricerche a scuola» mi affrettai ad aggiungere, continuando a ripassare il disegno, calcando la matita sulla carta bianca. «Ma, mentre parlavamo della mitologia delle costellazioni, ho realizzato che la frase di Virgilio che è impressa sui nostri medaglioni si riferisce proprio alle stelle.»

Alzai lo sguardo, trovandolo immobile a fissarmi.

«Vaghiamo nell'oscurità e siamo consumate dal fuoco» recitò lui dopo qualche istante. «Ha senso.»

Ero sollevata che per una volta non avesse fatto commenti sulla mia ingenuità. Tornai a pasticciare con la matita. 

«Già, quindi sappiamo che è quello, l'indizio che dobbiamo seguire, anche se ancora non ho capito come interpretarlo. E ora si aggiunge anche questa Fratellanza.» Mi sentivo ogni volta sempre più demoralizzata. Più scoprivamo, più mi sembrava di trovare informazioni discordanti o che non sapevamo come interpretare.

Alex interruppe le mie riflessioni. «Manca poco.»

Alzai gli occhi dal foglio, non comprendendo del tutto quell'affermazione.

«Ci serve un aiuto e collegheremo tutto» insistette. Sembrava convinto delle sue parole, ma non potei non chiedermi se quella rassicurazione fosse stata pronunciata solamente a mio beneficio.

Rigirai nervosamente la matita tra le mani. «C'è anche un'altra cosa che vorrei dirti.» Volevo sfruttare quella positività, che tanto ostentava, per fare la mia mossa. Era da un po' che ci riflettevo, ma sapevo che non sarebbe stato contento di ciò che avrei detto.

«Dovresti fare una tregua con Caleb, ti aiuterebbe incredibilmente se lo avessi dalla tua parte» mormorai.

Avere lui e suo nonno con il fiato sul collo ci rallentava e basta. Già Alice era abbastanza sospettosa, anche se speravo di convincerla che io e Alex fossimo sempre insieme per una mia qualche cotta, ma Caleb doveva essere tenuto sotto controllo in qualche modo. Faceva troppe domande e gli girava sempre intorno, come se aspettasse sempre uno scontro.

Trovai il coraggio per indirizzare i miei occhi nella sua direzione e vidi il suo sguardo dapprima confuso caricarsi di rabbia.

«Dubito che qualche mio comportamento ti abbia fatto credere di potermi dire cosa fare, quindi smettila» ordinò perentorio. 

Mi aspettavo una risposta del genere. Potevo dire di non esserne sorpresa, forse un filo delusa sì, ma in fondo non mi sarei dovuta aspettare una reazione diversa.

«Hai ragione.» Sollevai le mani in segno di resa. Non volevo diventare il nemico. «Sono solamente preoccupata che prima o poi qualcuno crolli e dica che sei stato tu ad aver organizzato gli scherzi a scuola.» Non volevo litigare con lui, e potevo accettare che spesso avessimo due visioni completamente differenti. Volevo solo offrirgli il mio aiuto, anche se poi non era intenzionato ad accettarlo.

Alex si passò una mano sul viso. «No, senti, scusa. Ho detto di nuovo la prima stronzata che mi è venuta in mente.» Chiuse gli occhi, scuotendo piano la testa.  

Non sapevo bene come uscire da quella situazione, ma ancora una volta, lo fece lui per me.

«Non devi preoccuparti per la sospensione» continuò in tono un po' più dolce, tornando a guardarmi, «ma non ho intenzione di fingermi amico di quell'idiota di Evans per avere qualcosa in cambio.»

Sospirai. «Lo so, ma almeno pensaci. Sarebbe davvero d'aiuto se la smettesse di mettere il naso in quello che facciamo.» E sarebbe davvero d'aiuto, se potessi smetterla di crogiolarmi costantemente al pensiero di cosa farà il preside Evans, quando si accorgerà dei libri rubati.

Lasciò cadere l'argomento, come ogni volta che non eravamo d'accordo. Ma questa volta glielo lasciai fare. "Scegli con saggezza le tue battaglie" era forse l'unico insegnamento che mi aveva trasmesso mio padre.

«Devi tornare a casa a un orario preciso?» mi chiese poi, improvvisamente. Il modo frettoloso con cui le sue dita tamburellavano sul tavolo mi distraeva.

Scossi la testa, tornando a concentrare l'attenzione su di lui. «Ho detto a James che avrei studiato di nuovo fino a tardi da Alice.»

Non so perché, ma la mia risposta non lo sorprese. «Non sto molto simpatico a tuo padre, vero?» domandò con un sorriso. L'idea che James non approvasse la nostra amicizia non sembrava turbarlo.

«A mio padre piacciono tutti» ribattei subito, ma una vocina dentro di me mi diceva che forse non ero stata del tutto onesta. Nella mia testa infatti, ancora risuonava il suo commento poco carino, quando ci aveva visti insieme.

Alex si alzò dalla sedia, avvicinandosi alla finestra. «Fingerò di crederti» commentò, ruotando la maniglia e spalancando gli infissi. «Comunque, se non devi tornare a casa presto, possiamo andare fuori.»

Sbarrai gli occhi. «In... in che senso "fuori"?» balbettai.

Lanciò un'occhiata allusiva al tetto. Non pensava seriamente che sarei salita lì, vero? Non soffrivo di vertigini, ma avevo sempre avuto paura del vuoto, il che è assurdo per una abituata a prendere numerosi aerei ogni anno. Eppure, ogni volta, costringevo James a tenermi per mano, come se fosse il mio primo volo.

Alex fletté il collo, guardandomi con aria divertita. «Credi che ti permetterei di farti del male?»

Sembrava sbalordito che avessi anche solo contemplato quell'eventualità e, non so perché, ma istintivamente pensai di no. Non mi sentivo mai in pericolo quando ero con lui, forse perché non aveva fatto altro che preoccuparsi per me, nelle ultime settimane.

Mordicchiai il labbro inferiore, nervosa, mentre lui scavalcava senza difficoltà il davanzale, nonostante la sua altezza.

Mi tese una mano. «Dai, te lo prometto, non cadremo.» Si stava sforzando di non ridere di me, e aveva un luccichio negli occhi che avrebbe incantato chiunque.

E forse fu per quello che, un po' riluttante, incastrai la mia mano nella sua. Dovevo avere davvero una pessima considerazione di me stessa, se lasciavo che Alex mi convincesse a fare una quantità innumerevole di azioni incoscienti.

Ma chi volevo prendere in giro? Ero stata io ad aver proposto di imbucarci alla festa del Sole e nell'ufficio del preside, ed ero sempre stata io ad aver dato il via alle nostre indagini, nel momento stesso in cui gli avevo mostrato l'invito dei Parker, dopo la gita al Wenham Lake.

E ora che avevo ammesso di essere io, la testa calda tra noi due, potevo assecondarlo sentendomi un po' meno in colpa. Mi misi a cavalcioni sul davanzale e Alex aspettò pazientemente che ruotassi entrambe le gambe all'esterno.

Un refolo d'aria accarezzò piano i miei capelli e istintivamente rabbrividii nel maglione. Novembre aveva portato con sé frequenti piogge e un'umidità costante che sembrava in grado di avvolgere ogni cosa con una delicata ma persistente foschia.

Alex si liberò dalla mia rigida stretta, per appoggiare entrambe le sue mani sui miei fianchi, aiutandomi a scendere. Riuscivo a sentire distintamente il mio cuore che tamburellava nella cassa toracica, e abbassai lo sguardo a terra, sperando di nasconderlo almeno a lui.

Se lo avesse notato, non lo diede a vedere. «Attaccati lì» mi ordinò serio indicando il gancio che teneva ferme le ante. In realtà, il tetto era praticamente piatto e bastava scendere un piccolo gradino per ritrovarsi su un ampio quadrato di cemento infossato che assomigliava a un comodo terrazzino.

Mi tese nuovamente la mano e mi aiutò a raggiungerlo con un'attenzione immotivata. Neanche la regina delle imbranate sarebbe riuscita a scivolare, e tutta la zona era circondata da un muretto alto diversi centimetri, ma decisi in ogni caso di non sfidare la sorte, e fu solamente con i piedi ben piantati a terra, che mi azzardai ad alzare lo sguardo.

Il sole era calato e i toni arancioni del tramonto si mischiavano con la distesa di alberi dalle foglie rosse e gialle che sembravano macchie dipinte da un pittore impressionista, leggermente velate dal passare del tempo.

«É bellissimo» sussurrai incantata.

Alex si sedette a terra, invitandomi a fare lo stesso. Se un paio di mesi fa mi avessero detto che mi sarei ritrovata su un tetto con Alexander Case sarei scoppiata a ridere.

«Io e mio padre venivamo sempre qui, prima della nascita di Alison» spiegò con calma. Non mi aspettavo quello slancio di sincerità, ma non mi aspettavo quasi mai nulla di ciò che usciva dalla sua bocca.

Presi posto accanto a lui, scontrandomi con il gelido pavimento frastagliato.

«La tua sorellina che abita a New York, giusto?» chiesi cercando di ricordare alcuni frammenti dei racconti della sera del suo compleanno. Sembrava passato un secolo. Come se la me di due mesi fa, non fosse più la stessa persona seduta su quel tetto.

Piegò lievemente le labbra sentendo le mie parole. «Sì lei» confermò infine. Non sembrava ansioso di parlarne e, mentre le divergenze che aveva con Christian erano ben note, non ero ancora riuscita a inquadrare il rapporto con la piccola di casa. Avevo sempre la sensazione che non volesse approfondire l'argomento.

«Mia madre era la curatrice di una grande collezione d'arte privata e spesso doveva volare in Europa ad acquistare nuovi pezzi, così, quando partiva, mio padre portava me e Christian a mangiare hamburger e patatine fritte e poi venivamo qua e fingevamo di essere in campeggio e di dover sopravvivere con quello che avevamo. Almeno finché Christian non scappava a prendere il gelato.» Fissava un punto indefinito di fronte a sé e io mi sentivo un'intrusa dinanzi al vuoto dei suoi occhi, come se stessi rubando ricordi gelosamente costuditi da anni.

Si voltò verso di me, scuotendo la testa divertito. «Poi è nata Alison e siamo diventati tutti suoi schiavi.»

Osservai il suo sguardo carico d'affetto nel parlare della sorella. Forse avevo mal interpretato prima. Forse non era Alison, ma New York, il problema.

«È per questo che casa vostra è piena di quadri?» chiesi.

Alex sembrò riflettere sulle mie parole per qualche istante, come se non si fosse mai reso conto dell'innaturale numero di opere d'arte stipate tra quelle mura. Ma forse è così, quando cresci circondato da tante cose belle: sei talmente abituato e vederle, che non le noti neppure più.

«In realtà, la maggior parte sono stati acquistati da mio padre dopo la sua morte, ma immagino che fosse un modo per sentirla ancora qui» ammise infine. Ne parlava con una serenità che gli invidiavo. Io che dopo diciassette anni non ero ancora riuscita a superare l'abbandono della mia, di madre, e non avevo minimamente idea di cosa volesse dire perderla di punto in bianco e senza possibilità di tornare indietro.

«È una cosa molto dolce» commentai con un sorriso spontaneo. 

Lui non replicò, ma non mi sarei aspettata nulla di diverso, vista la scarsa considerazione che sembrava avere di suo padre.

«Sai, anche James è fissato con l'arte.» Sentivo di voler condividere anche io qualcosa. Non come se fossi in dovere, ma come se fosse un modo per fare anche io un piccolo passo nella sua direzione.

La mia spalla destra sfiorava il suo braccio, ma entrambi guardavamo il bosco di fronte a noi. Era rassicurante poter parlare senza sentire addosso i suoi occhi che costantemente mi valutavano.

«Essendo uno storico però non apprezza l'arte moderna, ma è fissato con i mosaici bizantini, i reperti della Mesopotamia e i vasi greci.» Scossi la testa, quasi a volermi scusare per quelle scelte limitate.

Con la coda dell'occhio intravidi l'ombra di un sorriso trattenuto, smussare il suo profilo marcato.   

«E tu?» mi domandò, continuando a fissare il paesaggio di fronte a sé. «Tu con cosa sei fissata?»

Oh. Voleva sapere cosa piacesse a me?

Lo guardai di sottecchi. «Misteri e complotti, ovviamente» scherzai, strappandogli una risata. 

«Mi sembra giusto» commentò, continuando a sorridere. E sapevo che non avrebbe insistito, se non avessi voluto approfondire. In qualche strano modo, avevamo trovato una sorta di equilibrio.

Fissai la punta delle mie Converse. Non avevo mai pensato a quali fossero le mie passioni, forse perché quelle di James bastavano per tutti e due. Ovviamente, avevo qualche passatempo, ma mi resi conto in quel momento, che non li avevo mai presi in considerazione sul serio. Forse perché non avevo mai avuto nessuno con il quale parlarne.

«Credo la fotografia» dissi infine, dando forma ai miei pensieri. «Ma, sai, con la vita che faccio, non ho mai avuto modo di studiare con costanza.»

Intravidi una punta di curiosità che faceva capolino ogni volta che parlavo dei miei viaggi con James. Custodivo talmente gelosamente i ricordi della mia infanzia, che nessuno conosceva davvero la mia vita prima di Danvers.

«Voglio dire, è meraviglioso visitare cinque o sei posti diversi all'anno, ma ti manca la stabilità per iniziare un progetto vero» mi affrettai a spiegare. Fare progetti significa sperare. Lasciarsi andare e credere di avere tempo, mentre io dovevo vivere sempre con la valigia pronta.  

«Fallo qui.» Si voltò verso di me, azzerando quella rassicurante protezione dei nostri occhi che si ignoravano. «Inizia qua a Danvers, a concentrarti su ciò che ti piace.»

Emisi un flebile sbuffo. «Già, perché abbiamo un mucchio di tempo libero, vero? Faccio già abbastanza fatica tra la scuola, le nostre ricerche e Alice e sue fantastiche cheeleaders.» E poi non volevo dirgli quello che continuava a tormentarmi.

Erano già ottantuno giorni che ci eravamo trasferiti qui. Dodici in più di quelli passati a Phoenix. Quindici in meno rispetto a Los Angeles. Tra poco James avrebbe iniziato con i suoi soliti dubbi e le sue paranoie. Un'immotivata insoddisfazione avrebbe iniziato ad attanagliarlo, rendendolo sempre più insofferente, finché un giorno sarei scesa a fare colazione e lo avrei trovato con uno di quei sorrisi entusiasti, capaci di gelarmi il sangue nelle vene.

E così avrei capito. Avrei capito che eravamo arrivati alla fine un'altra volta.

«Sai cosa credo?» Le parole di Alex mi strapparono da quell'incubo ad occhi aperti.

Si voltò di nuovo a fissarmi con quello sguardo indagatore che mi faceva venir voglia di correre lontano da lui. «Credo che tu abbia paura, e per questo continui a nasconderti dietro scuse.» Fece scontrare la schiena contro il muro dietro di noi, muovendo su e giù la gamba, nervoso. «Ma devi imparare a lottare per ciò che vuoi, perché se non lo fai tu, non lo farà nessun altro.»

Non sapevo cosa rispondere, perché ovviamente il suo consiglio era giusto. Soffrivo nell'ammettere le mie debolezze, ma non potevo mentire a me stessa e, evidentemente, neppure a lui.

C'è qualcosa nelle persone che ti costringono a guardare in faccia la verità, che mi respinge e mi attrae allo stesso tempo. James si definisce schietto, ma poi non ha coraggio lui stesso di affrontare le sue paure e quindi si nasconde costantemente dietro al lavoro. Elizabeth non ha mai neppure provato ad affrontarle, e ha iniziato a scappare ancora prima di noi.

Ma se entrambi i miei genitori sono così, perché io dovrei essere diversa? Ed è sbagliato che voglia esserlo?

Una voce alle nostre spalle, interruppe le mie riflessioni. «Si può sapere, perché siete qua fuori?»

Voltai di scatto il capo, scorgendo Christian affacciato sul davanzale. Ci scoccò un'occhiata truce che mi fece pentire immediatamente di aver seguito lì Alex. Dopotutto era un posto importante per loro, quando erano piccoli, no?

Quando tornò a parlare però, mi resi conto che la sua occhiataccia, nulla aveva a che fare con i ricordi del passato.

«È da due ore che il nanerottolo mi segue in giro per casa. È il vostro turno ora» decretò, picchiettando impaziente i polpastrelli sul marmo candido, per sottolineare la sua insofferenza.

Dovevano davvero smetterla di chiamare quel povero bambino "nanerottolo". Di sicuro aveva un nome migliore.

«Arriviamo» sbottò Alex infastidito, facendo segno al fratello di andarsene. Christian però piegò il collo e rimase a fissarci con la stessa irritante ostinazione che rivedevo sempre in Alex. Potevano essere continuamente in conflitto, ma erano comunque molto più simili di quanto non volessero ammettere. 

Forse avrei dovuto essere riconoscente a Christian, per aver impedito al fratello di continuare con la sua analisi psicologica nei miei confronti, ma stranamente mi dispiaceva che ci avesse interrotto. Forse non mi dava più così fastidio parlare di me, se c'era qualcuno disposto ad ascoltarmi.

Sentii Alex sbuffare, mentre si rialzava e imprecava a bassa voce contro il fratello. Neanche lui sembrava troppo contento di quel cambio di programmi.

Il rientro nella stanza fu molto più veloce rispetto a prima. Principalmente perché Alex aveva appoggiato una mano sulla mia schiena con fare protettivo e io mi ero letteralmente lanciata sul davanzale per sottrarmi a quel contatto. Non volevo diventare rossa davanti a lui e a suo fratello, e sapevo che ero fin troppo trasparente ai suoi occhi.

Una volta tornata tra le rassicuranti pareti azzurre della sua camera, un foglio sventolato di fronte al mio viso mi costrinse a voltarmi verso Christian.

Mi allontanai di qualche centimetro, per mettere a fuoco quegli schizzi di polverosa matita grigia. Aveva trovato il mio disegno di Cassiopea, e ora faceva scorrere il suo sguardo perplesso tra me e Alex.

«Perché avete disegnato il vecchio percorso di Wild Bear?»

________________

Buongiorno ☀️
Lo so, capitolo lungo, anzi lunghissimo, ma da qui inizieremo a tirare le somme di tutto.

I prossimi capitoli sono già tutti pronti tranne uno, ma credo che continuerò a pubblicare settimanalmente in modo da dare la possibilità a tutti di leggerli con calma.

Cosa dite di Christian, nasconde qualcosa o sarà semplicemente utile per avere qualche informazione in più? 🤔

Come sempre, non vedo l'ora di leggere i vostri commenti o le vostre teorie 🥰

Buon weekend ❣️

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