IGNI

Autorstwa Valeroot

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[In riscrittura] Qual è il vostro posto nel mondo? Cassie non ne ha uno. Viene costantemente sballottata da u... Więcej

Prima di iniziare
AVVISO
Prologo
1 - La festa (I)
2 - La festa (II)
3 - Comitato di accoglienza
4- La Churchill Accademy (I)
5 - La Churchill Accademy (II)
6 - Incontri (I)
7 - Incontri (II)
8 - Il medaglione
9 - Wenham Lake
10 - Sette shots in paradiso (I)
11 - Sette shots in paradiso (II)
12 - Leggende
13 - Questione di prospettiva
14 - L'invito
15 - I Parker
16 - In maschera (I)
17 - In maschera (II)
18 - Il Sole
19 - Il preside Evans
20 - Sogni
21 - Blackout
22 - Virgilio
23 - Stevow
24 - Ricerche
25 - I Case
26 - Pessime similitudini
27 - Trick or Treat (I)
28- Trick or Treat (II)
29 - Inferno e Paradiso
30 - I mille volti
31 - Collaborazione
32 - I medaglioni
33 - La calma prima della tempesta
34 - La partita
35 - Rivelazioni (I)
36 - Rivelazioni (II)
37 - Cassie (I)
38 - Cassie (II)
39 - Il piano
41 - L'effrazione (II)
42 - L'effrazione (III)
43 - Fratellanza (I)
44 - Fratellanza (II)
45 - Robin Hill Road
46 - Wenham Lake (I)
47 - Wenham Lake (II)
Ringraziamenti e avvisi
Alex
Sequel
Extra - Alex
Avviso 🖤

40 - L'effrazione (I)

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Autorstwa Valeroot

Una delle cose più dure nella vita è avere parole nel tuo cuore che non puoi pronunciare
- James Earl Jones

Tamburellai le dita sul tavolo in legno della mensa ripetendo mentalmente il discorso che mi ero preparata.

Una volta ho letto che i bambini bilingue sviluppano una migliore capacità di multitasking perché il destreggiarsi tra diversi idiomi crea un mutamento strutturale all'interno del loro cervello.

Non so se fosse l'ennesima trovata per spingere James a iscrivermi alla scuola internazionale, ma se fossi sopravvissuta all'incontro con Alex, mi sarei dovuta ricordare di ringraziarlo meglio.

Quel giorno infatti i miei pensieri sembravano in grado di scorrere su due binari distinti. Da una parte tentavo di collegare tutto ciò che in queste settimane avevamo scoperto sui medaglioni, dall'altra ero impegnata in una lotta interna per giustificare il mio comportamento impulsivo con Alex.

Non avevamo bisogno di complicare le cose, ma fare finta di nulla sarebbe stato l'ennesimo tentativo di fuga da parte mia. E stavo cercando di diventare una persona più responsabile. O quantomeno, volevo provarci.

Versai lo zucchero nel caffè, osservando il cumulo di granelli scivolare con lentezza inesorabile verso il fondo, mentre alcuni di essi iniziavano a sciogliersi in superficie, sperando con tutto il cuore di non ritrovarmi a fare la stessa fine dei primi.

Un'ombra scura si proiettò sul tavolo. «Come sta il tuo stomaco?» Dean fece ciondolare il caschetto dei Falchi con un sorrisino impertinente stampato in volto.

Lo guardai torva. «Bene grazie.» Il mio tono incerto fece suonare quelle parole più come una domanda che come un'affermazione. Ma perché diavolo mi stava chiedendo del mio stomaco? Una terribile sensazione si fece strada nel mio petto. Possibile che avesse visto tutta la scenetta dei numerosi bicchierini di tequila?

Si sedette sul tavolo, appoggiando le scarpe alla sedia accanto alla mia. «Non sembrava che stessi molto bene l'altra sera» rispose confermando la mia ipotesi. Solo in un paesino piccolo come Danvers potevamo ritrovarci tutti nello stesso buco di bar. 

Nascosi il mio sguardo imbarazzato nelle pieghe del mio maglione, ma alla fine lo riportai all'altezza del suo viso. «Eri solo?» articolai con la consapevolezza della sua risposta negativa. Era raro che i membri della squadra di fooball non si muovessero in gruppo.

Bevve un sorso di caffè. «Beh, c'erano tutti i Falchi, a dire la verità» chiarì, alzando le spalle come se fosse scontato.

Ed ecco spiegato perché era stato proprio Caleb a riportare me e Alice a casa, anche se ancora non riuscivo a capire perché Alex si trovasse con loro. Faticavo a immaginarli come due buoni amici che dividevano una birra insieme. Almeno, senza la tentazione di strangolarsi a vicenda.

Prima che potessi chiedergli altre informazioni però, Dean riprese a parlare. «E da quello che ho visto, non eri sola neppure tu» sussurrò alzando lievemente il volto e guardando oltre la mia spalla.

«Cosa...» abbozzai imbarazzata, ma Dean era già saltato giù dal tavolo.

Fece un occhiolino esagerato, prima di allontanarsi di qualche passo. «Sarò muto come un pesce, promesso.» Il suo sguardo continuò a concentrarsi oltre la mia figura mentre raggiungeva la porta laterale.

Voltai il capo e vidi Alex avvicinarsi con la sua solita aria rilassata. C'era qualcosa nell'espressione che assumeva quando camminava tra i corridoi della scuola che mi rendeva irrequieta. Come se la sua abilità nel mentire, nel nascondere a tutti i problemi che portava dentro, lo rendesse ai miei occhi più pericoloso di quanto non fosse.

«Ciao.» Aveva divorato la distanza che ci separava senza che neanche me ne fossi accorta.

Arrossii lievemente, facendo un cenno di saluto prima di deviare lo sguardo altrove. «Sei tornato nella squadra?» chiesi accennando al borsone abbandonato contro la sua schiena. In realtà, stavo solamente cercando di recuperare la tranquillità dopo la chiacchierata con Dean. 

Lui scosse la testa con quell'espressione triste che lo attraversava sempre quando parlavamo del football. «Mi alleno e basta» spiegò con un lieve sospiro. «Non gioco.»

Accennai un timido sorriso. «Sono comunque contenta.» Forse era semplicemente un piccolo passo, ma speravo che smettesse di punirsi per ciò che Christian aveva fatto, perché non era giusto che fosse lui a continuare a pagare.

Alla mia risposta sembrò rilassarsi, ma quella serenità durò solamente una frazione di secondo. «So che ti devo delle spiegazioni» esordì, prendendo posto di fronte a me.

Sbattei piano le palpebre. Lui che doveva delle spiegazioni a me? Improvvisamente la terribile sensazione di aver dimenticato una parte importante della serata precedente mi investì.

«Per i sogni» chiarì vedendo la mia espressione perplessa. «Ma la verità è che non ne ho. Sono solamente dei flash confusi che immagino siano ricordi o elaborazioni di essi.» Stava passando le dita tra i capelli come ogni volta che era nervoso, cercando di tirare indietro le ciocche che ricadevano sulla sua fronte. Sembrava smarrito, e io strinsi più forte le mani attorno alla tazza per impedirmi di avvicinarle alle sue.

«A volte sono semplici sensazioni o immagini slegate» continuò con sguardo assente, «ma quando sono entrato nello studio del sindaco è come se fosse scattato qualcosa. Non so spiegare cosa sia successo, so solo che dopo pochi minuti mi sono ritrovato fuori dalla stanza con quei fogli.» Stropicciò la fronte, come se mettere insieme tutti quei pezzi e doverli spiegare ad alta voce gli provocasse un dolore fisico.

«Ti era mai capitato prima?» chiesi piano.

Scosse la testa. Non sembrava intenzionato a dire di più.

«E ne hai mai parlato con qualcuno?» continuai. Questa volta non sentivo di dovermi muovere in punta di piedi. Il mio comportamento dell'altra sera aveva reso evidente che non necessitavo di ulteriori spiegazioni, o che comunque una parte di me lo aveva perdonato ancora prima di rendermene conto razionalmente, eppure aveva deciso comunque di parlarmene.

Liquidò la questione come solo Alex sapeva fare. «Sono iniziati poco dopo la morte di mia madre e avevamo altro per la testa.»

Posai i gomiti sul tavolo, avvicinandomi. «Mi dispiace, e so che pensiamo sempre che ci sia qualcosa di più importante, ma sfogarsi o anche solo confrontarsi con qualcuno serve.» E io ero la prima a non seguire mai il mio stesso consiglio, ma scacciai velocemente quel pensiero.

Alex fece ciondolare la testa senza rispondere. Non sembrava convinto delle mie parole ma non aveva intenzione di dirlo chiaramente.

Provai a cambiare approccio. Non sapevo perché, ma volevo cancellare quell'espressione disorientata dal suo viso. «Qualche settimana fa, nel mio salotto, hai detto che eri arrabbiato. Lo sei ancora?» domandai.

Lui mi guardò imperscrutabile per qualche istante. «Perché me lo chiedi?»

Un sorrisino piegò le mie labbra. Ero sicura che avrebbe risposto con un'altra domanda. «Perché una volta ho letto che la rabbia è la punizione che diamo a noi stessi per l'errore degli altri, e credo che tu in questo modo ti stia costringendo a espiare una colpa non tua.» Gli incubi, i problemi con Christian, la situazione con suo padre... era semplicemente troppo per una persona sola.

Continuò a ricambiare il mio sguardo in silenzio. Non mi diede ragione, ma non negò neanche.

«Non puoi tenere tutto dentro o finirai per scoppiare» conclusi. E non sapevo se quelle parole fossero più per lui o per me.

Continuammo a rimanere in silenzio, mentre una leggera pioggerella aveva iniziato a scandire il tempo picchiettando sul soffitto in vetro della caffetteria. Volevo lasciargli spazio per riordinare le idee, ma più i secondi passavano più la mia determinazione vacillava e sentivo di dover continuare a parlare. «Comunque anche io ti devo delle spiegazioni» sussurrai stropicciando le mani in grembo. Era arrivato il momento di essere coraggiosa.

Potevo avvertire distintamente lo stridore delle parole inespresse che sfregava tra di noi. Traballavamo pericolosamente su quella linea sottile che divideva ciò che stavamo apertamente affrontando da ciò che entrambi non avevamo ancora avuto il coraggio di accennare.

Ero consapevole che avrebbe potuto dire qualcosa che mi avrebbe ferita, ma ero stanca di mettere la testa sotto la sabbia e fare finta di nulla. In un modo strano, e che ancora non comprendevo, sapevo che Alex era diventato importante per me. Conosceva parti della mia vita che non avevo mai raccontato a nessuno. Sapeva di Elizabeth, delle frasi che ripetevo per calmarmi quando ero agitata, e dei miei problemi di fiducia.

Scoprire dei sogni mi aveva fatto rimettere in discussione tutto, ma ancora una volta, il suo voler chiarire mi aveva dimostrato la sua buona volontà.

Schiusi le labbra, cercando di tradurre tutte queste sensazioni in parole e al contempo di tenere a bada il cuore che martellava nel mio petto, quando una curatissima mano laccata di rosa posò una felpa sul tavolo.

Claire l'aveva depositata esattamente tra me e Alex, quasi a voler evidenziare un muro che fino a quel momento non esisteva.

Voltai il capo andando a scontrarmi con la sua figura perfetta. I morbidi capelli biondi ricadevano in ciuffi chiari accuratamente disordinati in modo da incorniciare gli zigomi alti. Era una di quelle visioni in grado di lacerare l'autostima di qualsiasi ragazza. E più la guardavi, più non volevi staccarle gli occhi di dosso.

Appuntò sapientemente una ciocca dietro l'orecchio, andando a mettere in risalto gli occhi lievemente allungati. «Sono davvero dispiaciuta di dovervi interrompere, ma devo correre in classe tra poco.» Fece un tenero sorriso di scuse a entrambi, prima di rivolgersi ad Alex. «Grazie ancora per l'altra sera» disse indicando con il mento la felpa e sporgendosi per dargli un veloce bacio sulla guancia. «E salutami Christian. È stato bello rivederlo.»

Rivolse ancora un cenno dolce nella mia direzione, prima di allontanarsi aggraziatamente verso l'uscita.

Se fosse stata una persona odiosa sarebbe stato facile comprendere le sensazioni che mi avevano investita in quel momento. Quel peso sul petto, quei brividi che sembravano pungere la mia pelle come aghi, il formicolio alle tempie. Ma la cosa peggiore in tutto ciò, era che Claire mi piaceva davvero. Era sempre educata e aveva una parola gentile per tutti, ma la sua interruzione era bastata per far scoppiare la rassicurante bolla nella quale ci eravamo adagiati.

Mi ritrassi istintivamente dal tavolo, con gli occhi che in maniera automatica erano andati a incatenarsi a quella felpa blu. Sembravo un uccellino ipnotizzato da un serpente.

«Cassie...»

La voce di Alex reclamò la mia attenzione e io staccai con forza gli occhi dall'indumento posato a pochi centimetri da me.

Nella mia testa risuonava un unico pensiero. Ecco perché era stato Caleb a riportarci a casa: perché Alex era troppo impegnato con lei.

Tornai a guardare il ragazzo di fronte a me. Era facile fingere di stare bene con qualcuno che non si impegnava a leggere ogni mio singolo gesto, ma con Alex era tutt'altra cosa. E io l'avevo stampato in faccia, l'imbarzzo per essermi concessa di pensare che tra di noi potesse esserci di più.

Socchiuse leggermente gli occhi. «Mi stavi dicendo qualcosa...» insistette, mentre io ero ancora frastornata dalla situazione.

In un lampo di lucidità estrassi il cellulare. «Ho trovato questo a casa di Alice» mi affrettai a dire, impedendogli di continuare la frase. Sbloccai lo schermo del mio telefono per permettergli di vedere il taccuino nero.

«Cassie...»

«Alex» replicai inespressiva. «Guarda la fotografia.» Nella mia testa quella frase era suonata come una supplica, perché non potevo sopportare l'ennesimo rifiuto della mia vita, ma le parole uscirono dalla mia bocca con tono eccessivamente duro.

Staccò controvoglia lo sguardo dal mio e le sue iridi andarono a posarsi sullo schermo del mio cellulare. «É uguale a quello di Caleb» commentò piano, ingrandendo la fotografia.

«Sì, e sono riuscita a ricordarmi dove avevo visto prima questi libri. All'interno dello studio del Preside Evans dovrebbero essercene almeno cinque o sei» dissi facendo rapidamente il calcolo. Era la mia specialità distrarmi convogliando tutte le energie su un progetto. E ora scoprire cosa nascondessero quei volumi doveva essere la mia priorità.

«È per questo che vorresti introdurti nel suo ufficio?» mi chiese inarcando un sopracciglio. «Per rubarli?»

Annuii. «Potrebbero non essere rilevanti, me ne rendo conto, ma se crediamo alle storie di Caleb, gli Evans sanno parecchio sulla fondazione di Danvers e il suo taccuino aveva diversi riferimenti di quel periodo. Ci serve una chiave di lettura per mettere insieme tutte le informazioni slegate che abbiamo sui medaglioni.» Mi sembrava di aver inserito il pilota automatico. Ero abituata a svuotare completamente il cervello, fuggendo dalle situazioni che mi facevano male. Era uno dei pochi tratti che avevo ereditato da James.

Non sembrò convinto delle mie parole, ma alla fine scrollò le spalle in segno di resa. «Dobbiamo organizzarci bene. Non possiamo improvvisare.» Prese il telefono e digitò per qualche secondo prima tornare a parlare. «Sto pianificando il nostro diversivo» chiarì senza staccare gli occhi dallo schermo.

Scarabocchiai distrattamente lo scontrino del caffè mentre ragionavo. «Ci serviranno anche dei finti libri per rimpiazzare quelli che ruberemo.» Forse era questa la benzina di mio padre: l'adrenalina che anestetizzava la mente e che sentivo crescere a ogni passo che facevamo.

Lui annuì a dimostrazione che mi stava a sentire. «Potremmo utilizzare i vecchi annuari che ci sono in biblioteca. Dovrebbero avere le stesse dimensioni. Bisognerà nascondere solamente la prima pagina.»

«Utilizziamo il taccuino di Caleb che abbiamo già letto» proposi dopo una breve pausa. «Lo posizioniamo per primo e nascondiamo tutto il resto.»

Alex annuì di nuovo. Era la seconda volta che tentavamo di introdurci con l'inganno in un posto dove non eravamo i benvenuti, e se possibile, ero ancora più determinata questa volta.

«Oggi alla pausa delle dieci? Dovremmo avere al massimo mezz'ora.» Alex controllò velocemente l'orologio in acciaio che portava al polso sinistro.

Sgranai appena gli occhi. «Oggi?» ripetei, maledicendo immediatamente la trasparenza della mia espressione che come sempre tradiva le mie emozioni.

Lui però si affrettò a inchiodarmi con un'occhiata che non ammetteva repliche. «Sia chiaro: mi aiuterai solo a prendere gli annuari dalla biblioteca. Al resto penserò io.»

Davvero credeva che mi sarei tirata indietro dal portare a termine il mio stesso piano?

«Non esiste» ribattei piccata. «Questa cosa la facciamo insieme.» Basta rimanere in panchina, basta essere trattata come se fossi di porcellana.

Posò con calma il cellulare sul tavolo, convogliando l'attenzione su di me. «Tu resti in biblioteca e mi aspetti lì» insistette a denti stretti.

«No.»

Mi osservava dall'altra parte del tavolo con l'impazienza che valicava i confini del suo viso. Generalmente nascondeva meglio le sue emozioni. «Se ci trovassero nell'ufficio di Evans, ci caccerebbero dalla scuola» provò a farmi ragionare.

«É esattamente il motivo per il quale non andrai da solo» replicai ferrea.

Continuò a osservarmi torvo, mentre le sue pupille si muovevano impercettibilmente, come se fosse alla ricerca di qualcosa.

«Va bene» concesse infine. Ma il suo tono non mi convinse, perché dopo qualche secondo di fastidio, sul suo volto era spuntato il suo solito mezzo sorriso.

«Non ci provare» lo ammonii. «A qualsiasi cosa tu stia pensando non mi taglierai fuori.» Era una promessa.

Sembrò voler ribattere, ma alla fine alzò le mani in segno di resa. «Non ho mai avuto intenzione di tagliarti fuori» puntualizzò a mezza voce.

Lo guardai in cagnesco per diversi secondi, mentre il suo viso era piegato in un sorriso impertinente, ma prima che avessi il tempo di aggiungere altro, si alzò. «Ci vediamo dopo.»

***

Avevo passato le ultime due ore a guardare il mio riflesso alla finestra, mentre il professor Webb borbottava confuse spiegazioni sul magnetismo.

Fin da quando ero piccola io e James giocavamo a "cosa faresti se". Essendo un genitore single, il suo intento era insegnarmi come comportarmi se gli fosse capitato qualcosa di brutto, come chiamare aiuto nel caso in cui fosse svenuto o altre situazioni simili.

E ogni volta, prima di uscire di casa, mi faceva memorizzare i vestiti che indossava. All'epoca per me era semplicemente un gioco, e solo dopo diversi anni mi ero resa conto di quanta paura aveva dovuto gestire vivendo con una figlia piccola in così tanti Paesi diversi.

Quel giorno però non sapevo cosa indossasse mio padre, perché era da dopo la festa che non rientrava a casa.

Giocherellai con il telefono e alla fine gli scrissi un messaggio.

"Mi dispiace, ti voglio bene".

Riposi il cellulare nell'esatto momento in cui la campanella suonò, segnalando il cambio d'ora. Avevamo una ventina di minuti per rubare prima gli annuari e poi i libri dallo studio del preside Evans. Questo ovviamente se Alex fosse riuscito a organizzare un diversivo abbastanza convincente da allontanarlo dalla stanza.

Salii le scale della biblioteca a due a due, urtando di tanto in tanto alcuni studenti che si apprestavano a raggiungere le aule dopo i laboratori della mattinata.

Alex era appoggiato con la schiena al muro e con una mano teneva il cellulare, mentre l'altra si faceva strada tra i suoi capelli scompigliati.

«Tra cinque minuti avremo il nostro diversivo» mi comunicò non appena lo raggiunsi.

«Cosa hai organizzato?»

Lui scosse la testa. «Non abbiamo tempo ora, ma ho pensato a tutto.»

Piegai le labbra. Non mi piaceva la direzione della conversazione. Poteva essere abituato a dare ordini all'interno del campo da football, ma questo piano era una mia idea. «Tu distrai la signorina Pierce. Io penso agli annuari» proposi. Era l'unico modo per il quale non avrebbe potuto liquidarmi prima di andare nell'ufficio del preside.

Lui sembrò pensare la medesima cosa perché fece una smorfia di disappunto, ma prima che potesse ribattere gli mostrai la mia mano tremante. «Se provassi a distrarla io, mi scoprirebbe subito» mi giustificai. Se c'era una cosa che avevo capito di Alex era che aveva questa malsana convinzione di dover salvare tutti, e per una volta avrei utilizzato quel lato del suo carattere contro di lui.

Mi guardò scettico, ma alla fine, con un sospiro, mi fece segno di entrare.

«Abbiamo poco tempo» mi ricordò.

Io annuii e lasciai che mi precedesse, prima di infilarmi a mia volta in quell'ambiente caldo e tranquillo.

Fingevo di guardare con immotivata attenzione i libri di letteratura russa che erano posti vicino alla scrivania della bibliotecaria, mentre con la coda dell'occhio osservavo i movimenti di Alex.

Si era avvicinato alla donna in modo disinvolto, sul suo viso un sorriso dipinto alla perfezione che evidenziava una minuscola fossetta incastonata nella guancia destra.

La signorina Pierce non aveva scampo.

Mormorò alcune parole che la portarono a interessarsi ai libri sistemati sul lato opposto della stanza. Un sorriso, e lei aveva già fatto alcuni passi nella sua direzione. Un gesto, e i suoi piedi si erano mossi ancora, lasciandomi campo libero dietro la sua scrivania.

Mi avvicinai lentamente, confrontando il libro di Caleb con gli annuari disposti con rigorosa attenzione sulla libreria in legno scuro.

Vedevo Alex che continuava a parlare, distraendola abilmente con movimenti che apparivano casuali. Ciuffi di capelli spostati all'indietro, lo sguardo che si assottigliava in una risata, il collo che si fletteva indicando un libro.

Poi ad un certo punto i suoi occhi gravitarono apprensivi su di me, e rividi la versione di Alex che appariva solamente quando eravamo noi due, senza maschere a frapporsi tra lui e il resto del mondo.

Gli sorrisi velocemente, prima di dileguarmi nuovamente tra i libri di Dostoevskij con il mio bottino tra le mani. Mi sentivo vagamente soddisfatta per il mio piano. Non solo avevamo portato a termine la prima fase con successo, ma nonostante i suoi tentativi di escludermi, ero anche riuscita ad aggrapparmi con le unghie a quel piano.

Quei pensieri non ebbero il tempo di prendere forma nella mia mente, che una mano affusolata alla mia destra mi strappò i volumi con un gesto secco.

«Scusa, Reed.» Alex ficcò i libri nello zaino che ciondolava dalla sua spalla, accennando un sorrisino tirato.

Ah, eravamo tornati ai cognomi? Credevo che ormai avessimo superato questa fase.

«Puoi anche avermi rubato i libri, ma non pensare che per questo sia fuori dai giochi» ribattei tranquillamente. Con un'infanzia come la mia, ero abituata a gestire gli imprevisti.

Lui fece qualche passo indietro. «Non è per questo che ti sto chiedendo scusa.»

Le sue parole mi fecero sentire nell'esatto epicentro del mio ennesimo fallimento.

E come una rappresentazione del mio personale incubo, Philip Reese sbucò dalla sezione di chimica con un pacchetto di patatine in mano.

«Alex mi ha detto che dai ripetizioni di informatica.»

_____________________________

E dopo questo capitolo infinito giuro che per una settimana non vi rompo più con i miei aggiornamenti 😂🙏🏻

Comunque sfiga vuole che non appena Cassie si sia decisa a parlare con Alex, Claire si sia intromessa. (Eppure io proprio non riesco a odiarla 😂 bella e gentile, cosa vogliamo di più?)

Con questo capitolo abbiamo portato a termine  solamente la prima parte del piano 🦊 nel prossimo ovviamente ci sarà il seguito (altro capitolo infinito, siete avvisati). Cassie riuscirà a non essere placcata da Philip? 😥

Dispenserò porzioni di tiramisù e muffins a tutti alla fine di questo blocco di capitoli ❤️ mi sento già in colpa giuro 😭

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