IGNI

Autorstwa Valeroot

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[In riscrittura] Qual è il vostro posto nel mondo? Cassie non ne ha uno. Viene costantemente sballottata da u... Więcej

Prima di iniziare
AVVISO
Prologo
1 - La festa (I)
2 - La festa (II)
3 - Comitato di accoglienza
4- La Churchill Accademy (I)
5 - La Churchill Accademy (II)
6 - Incontri (I)
7 - Incontri (II)
8 - Il medaglione
9 - Wenham Lake
10 - Sette shots in paradiso (I)
11 - Sette shots in paradiso (II)
12 - Leggende
13 - Questione di prospettiva
14 - L'invito
15 - I Parker
16 - In maschera (I)
17 - In maschera (II)
18 - Il Sole
19 - Il preside Evans
20 - Sogni
21 - Blackout
22 - Virgilio
23 - Stevow
24 - Ricerche
25 - I Case
26 - Pessime similitudini
27 - Trick or Treat (I)
28- Trick or Treat (II)
29 - Inferno e Paradiso
30 - I mille volti
31 - Collaborazione
32 - I medaglioni
33 - La calma prima della tempesta
34 - La partita
35 - Rivelazioni (I)
36 - Rivelazioni (II)
37 - Cassie (I)
39 - Il piano
40 - L'effrazione (I)
41 - L'effrazione (II)
42 - L'effrazione (III)
43 - Fratellanza (I)
44 - Fratellanza (II)
45 - Robin Hill Road
46 - Wenham Lake (I)
47 - Wenham Lake (II)
Ringraziamenti e avvisi
Alex
Sequel
Extra - Alex
Avviso 🖤

38 - Cassie (II)

7.3K 517 1K
Autorstwa Valeroot

«Tuo padre è davvero furioso, Cassie.» Jenna assottigliò le labbra nel pronunciare quelle parole. Prese tra le mani una pila di vestiti e iniziò a dividerli in alcune scatole di cartone.

Mi stropicciai il volto in un gesto di frustrazione. «Lo so.»

Lo sguardo deluso di James era ancora impresso nella mia mente. Nessun messaggio, nessun tentativo di comunicare con me, da quanto si era trasferito da Lauren quel sabato mattina.

«So di aver sbagliato, ma non ho fatto apposta. E poi ero a casa di un amico» cercai di giustificarmi, ignorando la fitta che sentivo ogni volta che pensavo ad Alex.

Jenna mi raggiunse, sedendosi al tavolo bianco della cucina con un'aria comprensiva. «Capisco che tu la veda così, tesoro» esordì con un lieve sorriso, «ma tu sei tutto ciò che gli è rimasto.» Mi guardava come se fossi la cosa più preziosa del mondo e per un attimo mi chiesi cosa avessi fatto di buono nella vita per meritare una persona come lei. Per quanto fosse imprevedibile e a volte eccentrica, era stata il mio unico punto fisso per tanto tempo.

«Mi dispiace così tanto» mormorai piano. Aveva ragione, non aveva senso nascondersi dietro patetiche scuse.

Jenna spostò la mano sul ripiano per stringere la mia. «Lo so, e per questo sono sicura che risolverete tutto. Solo, dagli un po' di tempo» disse rassicurante.

Restituii la stretta con gratitudine, incapace di aggiungere altro, ma fu lei ad alleggerire la situazione come al solito. «E nel mentre, puoi iniziare a scontare la tua punizione, aiutandomi a scegliere i vestiti da donare all'asta di beneficenza.» Batté le mani tra di loro, con un entusiasmo che mi ricordava quello di Alice.

Abbozzai un sorriso e la seguii verso il bancone della cucina, dove una miriade di stoffe colorate erano impilate in malo modo.

«Inizia da quelli» disse indicando una serie di grucce di varie dimensioni.

Guardai senza troppa convinzione un'abbondante gonna ricoperta di piume celesti. «Hai, ehm, qualche preferenza o posso scegliere io?» balbettai, passando a osservare un tubino di paillettes argento.

Jenna fece un gesto confuso della mano. «Fai tu, ho un sacco di abiti da sera che non mi sembrano molto adatti a questa cittadina» commentò distrattamente, intenta a valutare un top in pizzo che non avrei indossato neppure sotto tortura.

Che non fossero adatti a Danvers era un eufemismo. La immaginai fare la spesa da Target con il vestito a sirena rosa shocking che avevo tra le mani, e non riuscii a nascondere una risatina.

Per qualche minuto lavorammo in silenzio, lei troppo concentrata e io troppo divertita per fare conversazione.

«Questo lo terrei, non è male.» Sfiorai delicatamente la stoffa di un elegante vestito blu. Il morbido tulle ricadeva come una nuvola all'altezza dei piedi, ma era molto semplice rispetto allo stile di Jenna.

Lei voltò il capo brevemente, prima di tornare a concentrarsi sulla sua scatola. «Oh, quello l'ho indossato la scorsa primavera al matrimonio di tua madre. Ho avuto un tale caldo...»

Non sentii il resto della frase perché il mio cervello era rimasto incastrato, bloccato nell'incapacità di metabolizzare quelle parole.

"Il matrimonio di tua madre."

Le mie nocche si strinsero attorno alla stoffa finemente ricamata, senza riuscire davvero a metterla a fuoco, perché il dolore per quell'ammissione mi velò gli occhi.

"Il matrimonio di tua madre."

Sentivo la gola serrata, il mio respiro che si affannava alla ricerca di ossigeno che però il mio corpo non sembrava in grado di assorbire. Perché non ero in grado di superare questa cosa? Ogni volta che qualcuno parlava di mia madre io semplicemente perdevo il controllo.

Dovevo andarmene. Ero abbastanza razionale da rendermi conto che stavo crollando e non poteva accadere proprio di fronte a Jenna.

Lei continuava a parlare, ma la sua voce era come un ronzio che il mio cervello non riusciva a distinguere.

Mossi qualche passo in direzione del salotto. Un fastidioso fischio si era impossessato dei miei timpani, disorientandomi e rendendomi estranea a quello che accadeva attorno a me.

Elizabeth. La donna che era scappata perché non voleva un impegno così grande come una famiglia, aveva deciso di sposarsi.

Raggiunsi l'ingresso che ormai i miei occhi erano completamente appannati e mi ci volle qualche tentativo per far scattare la serratura.

Aprii la porta e sbattei più volte le palpebre alla vista di una sagoma di fronte a me.

Alice aveva appena terminato di salire i pochi gradini che separavano la casa dal giardino e mi osservava con uno sguardo apprensivo.

«Devo andare via da qua» mormorai.

***

L'odore pungente della tequila solleticò arrogantemente le mie narici, facendomi lacrimare gli occhi.

«No Alice, davvero, non riesco più» biascicai, allontanando la sua mano e quel liquido infernale dalla mia faccia.

Feci scorrere le dita tra i capelli, appoggiando il gomito al bancone del bar nel tentativo di sorreggere il capo.

Sentivo la testa incredibilmente pesante. Avevo caldo e i vestiti aderivano al mio corpo in un modo tremendamente scomodo. Provai a levare il maglioncino, ma le mie braccia continuavano a ricadere inermi.

Lasciai perdere e mi voltai verso Alice, che ricambiò il mio sguardo con aria stralunata.

«Solo un altro ancora, ce lo meritiamo.» Era esageratamente brava a ottenere quello che voleva. Un frullio di ciglia e riusciva a convincere anche il più insensibile tra i cuori.

Piagnucolò ancora qualche giustificazione, prima di bere l'ennesimo shot e infilarsi il limone tra le labbra, facendo una smorfia disgustata.

Scossi la testa, cercando di ignorare quell'odore pungente e dolciastro. Stavo tornando abbastanza lucida da ricordarmi perché mi trovavo a bere tequila in uno dei pochi bar di Danvers che servivano alcolici ai minorenni.

Il matrimonio di tua madre.

«Basta» mormorai tappandomi le orecchie con le mani. Non riuscivo a cancellare il suono di quella voce cristallina dalla mia testa.

Quelle parole rimanevano lì, a graffiare sempre un po' più forte, sempre un po' più dolorosamente, come una ferita aperta incapace di rimarginarsi.

Elizabeth aveva davvero trovato qualcuno per cui valesse la pena cambiare? E perché quel qualcuno non potevamo essere noi?

Sentii di nuovo quel fastidioso pizzicore agli occhi e mi alzai di scatto dalla sedia. «Vado a prendere un po' d'aria» sussurrai avvicinandomi ad Alice e avvolgendo la mano alla sua spalla per assicurarmi che mi ascoltasse.

Mossi incerta qualche passo in direzione dell'uscita, agognando il sollievo dell'aria fresca sulla mia pelle a liberarmi da quella sensazione di soffocamento.

Anche con i sensi ovattati dall'alcol non riuscivo a smettere di torturarmi. Perché mi aveva mandato quel medaglione se ormai mi aveva del tutto esclusa dalla sua vita?

Per una volta, avrei voluto solamente sentirmi leggera, ma quella voce continuava a rimbombare nella mia testa. Continuava a dirmi che non ero abbastanza.

«Stai zitta» mormorai piano. Non sapevo neppure io se quelle parole fossero per la mia coscienza o per Jenna.

Mi rifugiai su una delle panchine nascoste tra i cespugli del giardino e portai le gambe al petto, prima di chiudere gli occhi.

Non devo piangere.

Grossi goccioloni caldi avevano però già iniziato a solcare le mie guance. Mi affrettai a tamponarli con il dorso della mano, coperto dal soffice maglione che indossavo.

Mi abituerò anche a questo. Non devo piangere.

Come un fulmine a ciel sereno però una voce famigliare penetrò i miei pensieri.

«Stai bene?»

Quella voce profonda che avrei riconosciuto tra mille mi accarezzò talmente dolcemente da farmi sentire ancora più fragile di quanto non fossi.

La vergogna per essermi mostrata in quelle condizioni si insinuò impetuosa nelle mie vene. Feci scorrere velocemente le dita sotto agli occhi, preoccupata di riacquistare il controllo nel più breve tempo possibile.

Alex mi guardava con un'espressione afflitta. Gli occhi erano cupi e la preoccupazione aveva trovato spazio su quel bel viso nelle linee irregolari che incidevano la sua fronte.

Abbozzai un sorriso. «Tutto bene, grazie.» Ce l'avevo messa tutta per mantenere un tono di voce fermo, ma non ero riuscita a sostenere il suo sguardo.

Piantai gli occhi sulla punta dei miei piedi appoggiati alla panca, e strinsi le braccia attorno alle ginocchia.

Sapevo di non essere stata convincente, ma speravo che l'evidenza della mia bugia lo portasse a comprendere che non volevo compagnia. Lui però si piegò, flettendo le gambe e accovacciandosi di fronte a me.

«Cos'è successo?» chiese con gli occhi torbidi.

Mi schiarii la voce, cercando di nascondere il mio tono incerto. «Nulla, avevo bisogno di distrarmi.»

Sospirò piano e infilò la mano tra i capelli, stringendo qualche ciuffo in un gesto di frustrazione. «Quello l'ho intuito dal numero di bicchierini che avete bevuto tu e Alice, ma perché?» chiese ostinato.

Alzai di poco le spalle, incapace di rispondere. Non riuscivo a fidarmi delle mie azioni, sentivo la testa pesante e le lacrime che ancora bruciavano nei miei occhi. Non sapevo per quanto ancora sarei stata in grado di trattenermi con lui lì.

Strinsi ancora più forte le braccia attorno alle gambe, affondando le dita nella pelle nuda. Sentire quel tipo di male, un dolore fisico, era una distrazione che mi impediva di concentrarmi sui pensieri che stavano attanagliando la mia testa.

«Cassie...» La sua mano calda avvolse la mia, costringendomi a lasciare la presa, «parla con me.»

A quella supplica i miei occhi si aggrapparono alla sua figura, risalendo lentamente fino al suo viso. Lo vidi articolare un piccolo cenno incoraggiante, ma il suo volto era troppo teso per mascherare la sua preoccupazione.

Torturai per qualche istante il labbro inferiore, ma nonostante volessi lasciarmi andare, ancora una volta non ci riuscivo.

«Okay, inizierò io» decretò dopo un attimo di pausa. «Mi dispiace. E non sono abituato a dirlo molto spesso, quindi ritieniti fortunata.» Accompagnò quelle parole al suo solito mezzo sorriso e, sotto l'effetto dell'alcol, quel traditore del mio corpo rispose nel medesimo modo.

Alla mia reazione, si illuminò come un bambino la mattina di Natale. «Adesso che abbiamo appurato che sei ancora in grado di ascoltarmi, mi dici cosa succede?»  

Ero consapevole che non avrebbe lasciato perdere e mi sentivo troppo esausta per continuare a combattere con me stessa.

Mi schiarii la voce, indugiando ancora un istante. «Oggi ho saputo che mia madre si è risposata» mormorai fissando la sua mano che era così grande da coprire completamente la mia.

Alex rimase impassibile per qualche secondo, prima di alzarsi e sedersi accanto a me. «Ed è una cosa tanto brutta per te?» Era cauto, come se temesse in qualche modo di ferirmi con quella domanda. Dopotutto non conosceva quasi nulla della storia della mia famiglia.

Io scossi la testa, mentre sentivo nuovamente quel dolore che mi lasciava senza fiato. «No, è solo complicato. James mi ha sempre detto che non se n'era andata per colpa mia, ma ora...» Ora non ne sono più tanto sicura.

Non riuscii a finire la frase. Deglutii, cercando di allentare quella tensione che sentivo comprimere il mio petto, ma realizzai che persino la semplice aria sembrava in grado di bruciare il mio stomaco in quel momento.

«Non puoi fartene una colpa» mormorò roco, intrecciando le sue dita con le mie.

E la parte razionale di me sapeva che aveva ragione. Ero consapevole di non poter dare la colpa a una bambina di soli tre anni, ma la stanchezza, il nervosismo di quella giornata, l'alcol...tutto mi stava conducendo a perdere quel briciolo di lucidità al quale mi ero aggrappata.

«Vorrei solo sapere perché ha deciso di vivere tutti questi anni lontano da me» sussurrai torturando l'orlo del maglione. «Vorrei sapere se non mi ha mai voluta, se temeva che le avrei dato fastidio, se... in qualche modo ho rovinato tutto tra lei e James.» Le ultime parole mi morirono in gola, velate da un piccolo brivido che non riuscii a nascondere.

La stretta della mano di Alex attorno alla mia si fece un po' più forte.

Inspirò profondamente, sollevando il volto verso il cielo sopra di noi. «Detesto pensare che tu possa vivere ogni giorno chiedendoti questo.»

Una goccia di amarezza s'instillo dentro di me. «Forse vorrei solamente che James mi dicesse la verità» ammisi infine. «Forse se sapessi come stanno realmente le cose la smetterei.» Smetterei di torturarmi. Smetterei di sperare. «Ma noi non parliamo di lei. Non parliamo mai di niente a dire il vero.» Era questa la realtà. Non ero in grado di controllare le mie emozioni perché nessuno mi aveva mai insegnato ad affrontarle.

«So cosa significa.» Voltò di poco il capo, lanciandomi un'occhiata triste. Uno sguardo così intimo, come se solo io potessi capire.

Gli scontri nell'aula di filosofia, la rabbia per il modo in cui suo padre aveva gestito la situazione di Christian, tutto mi aveva dato la sensazione che io e Alex condividessimo un legame, una verità che aveva costretto entrambi ad abbandonare presto la nostra innocenza.

La consapevolezza che i nostri genitori non sarebbero stati in grado di salvarci, perché a malapena erano in grado di salvare loro stessi. E quella certezza mi faceva sentire ancora più sola di quanto non fossi.

Graffiai con forza il labbro inferiore con i denti nel tentativo di mantenere il controllo, ma gli occhi mi si riempirono di lacrime nuovamente.

«Vieni qui.»

Non realizzai le sue parole finché non sentii la sua mano infilarsi tra i miei capelli e incastrare la mia nuca contro il suo petto. La mia guancia premuta contro la sua clavicola e la leggera stoffa della maglietta a solleticarmi il viso.

Vacillai come la mia diffidenza, prima di abbandonarmi contro le sue braccia. Quella vicinanza era qualcosa che non avevo programmato, qualcosa che non mi aspettavo, ma invece di allontanarmi riuscii solamente ad aggrapparmi di più a lui.

Avvertii un lieve spostamento d'aria e mi parve quasi che Alex posasse un delicato bacio sui miei capelli. Ma sicuramente era l'effetto della tequila.

Il suo respiro caldo accarezzò la mia tempia. «Mi dispiace» mormorò al mio orecchio.

In tutta risposta, il mio cuore tuonò una sequenza di battiti talmente forte da sovrastare tutto il resto: la tristezza, i brividi, la paura.

Era per quello che nonostante il mio timore, continuavo a lasciarmi andare con Alex. Per tutti quei gesti dei quali avevo bisogno, ma che non avevo il coraggio di cercare, e che faceva lui per me.

E più mi stringeva, più quell'insieme indefinito di sensazioni che non sapevo spiegare premevano nel mio petto.

Fece scorrere le dita lungo il profilo della mia guancia. «Mi dispiace per tutto» mormorò di nuovo.

E nonostante le bugie, nonostante ancora non sapessi quanto mi avesse nascosto, io credevo alle sue parole.

Il suo pollice sfiorò delicatamente le mie labbra, andando ad asciugare alcune lacrime che si erano andate a depositare lì.

Alzai di poco il mento, ricambiando tremante il suo sguardo. «Dispiace anche a me» mormorai piano, nel tentativo di scusami per il comportamento che avevo avuto. 

La verità era che avevo una paura folle in quel momento. Volevo rinchiudermi nel mio guscio dove nulla riusciva a sfiorarmi e dove tutto sembrava facile da affrontare.

Ma quegli occhi, che mi guardavano senza giudicarmi, mi ricordavano che non mi sarei potuta nascondere in eterno.

Credo che entrambi ci sentissimo quasi sospesi. Come se ci fossimo spinti un po' troppo in là e come se bastasse il più piccolo movimento per compromettere quell'equilibrio.

Sembravamo aggrappati a quelle sensazioni, consapevoli che non sarebbero durate. E a ogni istante che passava infatti, sentivo i miei occhi che tornavano a guardare un po' più diffidenti il volto di Alex.

Lui mi osservava di rimando come se percepisse la mia graduale presa di distanza. Ma quello per cui nessuno di noi due sembrò davvero pronto fu la mia reazione.

Abbassai gli occhi, guardando le mie dita stringere la stoffa sottile della sua maglietta. Lentamente portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio, tornando poi a guardarlo da sotto le ciglia senza quella maschera di ombre a proteggermi dal mondo.

E con un coraggio che non sapevo di avere, mi sporsi verso di lui, facendo scontrare le mie labbra con le sue.

_______________

Per una volta non ho molto da dire (strano😂) se non un paio di considerazioni:
- Alex Mr. Non-chiedo-mai-scusa in realtà ripete "mi dispiace" quindici volte 🤡
- Da questo momento in poi tutti i puntini si uniranno, quindi sono super agitata ma non ho ancora iniziato a riscrivere i prossimi capitoli quindi #LatitanzaModeOn ✈️
- Disclaimer che avrei dovuto mettere all'inizio: non comportatevi come Cassie (in generale perché è una tonna) ma soprattutto perché se non avete l'età per farlo, non bevete grazie 🙏🏻 #ValeriaModalitàMamma

Un ringraziamento alla dolcissima  SereTonks che si è beccata le mie paranoie per una settimana intera e mi ha aiutata a rivedere tutto ❣️

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