IGNI

By Valeroot

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[In riscrittura] Qual è il vostro posto nel mondo? Cassie non ne ha uno. Viene costantemente sballottata da u... More

Prima di iniziare
AVVISO
Prologo
1 - La festa (I)
2 - La festa (II)
3 - Comitato di accoglienza
4- La Churchill Accademy (I)
5 - La Churchill Accademy (II)
6 - Incontri (I)
7 - Incontri (II)
8 - Il medaglione
9 - Wenham Lake
10 - Sette shots in paradiso (I)
11 - Sette shots in paradiso (II)
12 - Leggende
13 - Questione di prospettiva
14 - L'invito
15 - I Parker
16 - In maschera (I)
17 - In maschera (II)
18 - Il Sole
19 - Il preside Evans
20 - Sogni
21 - Blackout
22 - Virgilio
23 - Stevow
24 - Ricerche
25 - I Case
26 - Pessime similitudini
27 - Trick or Treat (I)
28- Trick or Treat (II)
29 - Inferno e Paradiso
30 - I mille volti
31 - Collaborazione
32 - I medaglioni
34 - La partita
35 - Rivelazioni (I)
36 - Rivelazioni (II)
37 - Cassie (I)
38 - Cassie (II)
39 - Il piano
40 - L'effrazione (I)
41 - L'effrazione (II)
42 - L'effrazione (III)
43 - Fratellanza (I)
44 - Fratellanza (II)
45 - Robin Hill Road
46 - Wenham Lake (I)
47 - Wenham Lake (II)
Ringraziamenti e avvisi
Alex
Sequel
Extra - Alex
Avviso 🖤

33 - La calma prima della tempesta

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By Valeroot

«Passerotto, mi ricordi perché sei entrata nelle cheerleader, se ami fare sport quanto io amo le telefonate della mia ex suocera?»

James stava davvero tentando di capire come la sua goffa figlia fosse stata incastrata in un'attività ricreativa di gruppo contro la sua volontà.

«Ovviamente senza offesa, Jenna» aggiunse subito, guardando di sottecchi mia zia che intingeva i biscotti nel latte con la stessa vivacità di un robot.

Lei schiaffeggiò distrattamente l'aria, come se l'idea non l'avesse neppure sfiorata. D'altronde, neanche Jenna riusciva ad andare d'accordo con i miei intransigenti nonni.

Gli occhi di entrambi tornarono a concentrarsi su di me. «La risposta è nepotismo» esalai scandendo bene le parole. Stavo terminando di riempire il mio borsone con i ricambi che avrei dovuto portare alla partita di football e continuavo a ricontrollare di aver preso tutto, impilando i vestiti in maniera lievemente ossessiva.

Credevo che mi sarei sentita meno agitata questa volta, dopotutto avevo già avuto il mio battesimo del campo, come amava chiamarlo Alice. Eppure, il pensiero di trovarmi faccia a faccia con i Lupi di Beverly riusciva a rendermi inquieta. La presenza di Caleb nella squadra, il giro di scommesse, la reputazione che li precedeva... Avevo tutte le ragioni per credere che qualcosa sarebbe potuto andare storto.

L'unica nota positiva era la consapevolezza che non mi sarei dovuta preoccupare per Alex, perché non c'era possibilità che rimanesse a vedere la partita quel giorno.

I miei occhi si mossero in un moto involontario verso il cellulare incastrato tra la mia tazza di cereali e i pompon argento. Lo schermo era rimasto spento da quando James mi aveva cercata la sera prima, costringendomi ad abbandonare le ricerche con Alex.

Mio padre tossicchiò, appoggiando la tazza di caffè fumante che teneva tra le mani. «In che senso nepotismo

La sua domanda mi riportò a pensieri meno tormentosi. Feci un piccolo sospiro e appoggiai sulla sedia la felpa della squadra, prima di voltarmi verso di lui. I miei occhi indugiarono per qualche istante sul quell'orribile camicia da boscaiolo blu e nera che indossava, prima di posarsi sul suo volto.

«Alice ha chiesto al preside Evans, che poi sarebbe suo nonno, di farmi entrare nelle cheerleader, nonostante la mia pessima performance alle selezioni» spiegai con tono mesto. I balletti a bordo campo erano davvero l'ultimo dei miei problemi quel giorno.

James però continuava a non capire. Aveva il cipiglio di un picchio arrabbiato, le spesse sopracciglia scure contratte in un misto di incredulità e fastidio. «Non credo sia eticamente corretto» borbottò, riprendendo a sorseggiare il suo caffè.

Mi lasciai sfuggire un sorriso, osservandolo mentre portava alle labbra la tazza con la scritta "sei il papà migliore del mondo".

Jenna annuì, dichiarandosi d'accordo con lui e io infilai letteralmente la testa nel borsone, per evitare di specificare cosa se ne sarebbe fatta Alice dell'etica da loro tanto decantata.

Mi affrettai con urgenza verso la porta, carica della moltitudine di zaini e sacchetti che mi accompagnavano a ogni allenamento.

«Credo che farò tardi stasera» li informai, rimanendo sul vago. La partita si sarebbe tenuta subito dopo le lezioni, ma speravo che la mia giornata si concludesse nella villa dei Case, più precisamente, di fronte al computer di Alex, e dovevo iniziare a preparare una scusa. 

«Stendili tutti, cipollotta» schioccò mio padre, prima che io raggiungessi la porta.

***

Il parcheggio della Churchill Accademy era un disordinato agglomerato di macchine costose. Nessuno voleva parcheggiare lontano dall'ingresso, come se fare dieci metri in più richiedesse un indicibile sforzo fisico. Così le automobili venivano quotidianamente accatastate a ridosso di cespugli e aiuole in una sequenza di colori sgargianti e marche straniere impronunciabili.

Accostai la vecchia station wagon di James accanto alla palestra e mi diressi con estrema lentezza verso l'aula di algebra. Tutti sembravano in fibrillazione per la partita. Ghirlande blu e argento addobbavano i corridoi fino a ogni loro più recondito angolo, come a voler rinfacciare agli avversari un eccessivo senso di appartenenza.

«Avete sentito chi è tornato?»

Scansai un gruppetto di ragazze che parlottavano a voce bassa accanto al mio armadietto. I capelli vaporosi che svolazzavano  come nuvole a ogni sbuffo e risatina. Dopo aver provato a circumnavigare la loro cricca in ogni direzione, rinunciai a prendere il libro della teoria di algebra, rassegnandomi a seguire la lezione solamente con il volume degli esercizi.

«Sapevo che sarebbe tornato.»

Le scansai con fastidio, avvicinandomi alla porta dell'aula. Quando ero agitata mal tolleravo le altre persone. Mi richiudevo nel mio silenzio, ostentando un mutismo che molti sembravano trovare ancora più fastidioso di una parlantina incontenibile.

Ferma sulla soglia della classe, presi nuovamente il mio cellulare, cercando un messaggio di Alex che però non trovai. Mi aveva assicurato che sarei stata la prima a sapere i risultati della nostra ricerca, eppure lo schermo nero del mio telefono continuava a fare sfoggio della sua scarsa considerazione.

Avrei preferito lanciarlo nuovamente nella piscina dei Case, pur di non ammettere di essere stata presa in giro ancora una volta. La colpa era mia lo sapevo. Mia, e sua in realtà, perché sembravano esistere due Alex. La versione premurosa che mostrava di fronte a me, e quella che non si faceva problemi ad ignorarmi il giorno dopo. E io mi sentivo come una trottola sballottata tra le sue diverse personalità. 

Mi lasciai cadere su una sedia in prima fila abbandonando la borsa accanto a me. Il quaderno colorato mi fissava dalla tasca centrale e io lo estrassi, pensando che mi sarei potuta distrarre ripassando la lezione del giorno prima.

Oltre a me però, nessun altro sembrava interessato allo studio. Gli insegnanti scorrevano nel corridoio con estrema lentezza, gli studenti parlottavano a voce alta tra loro e il rumore di sedie spostate graffiava fastidiosamente i miei timpani. Persino i bidelli, solitamente ligi al dovere, quel giorno sfoggiavano insoliti sorrisi ed eccentriche sciarpe con lo stemma della squadra. Tutto urlava in un'unica direzione: a Danvers il campionato di football era importante.

«Dite che è qui per la partita?» Due ragazze dietro di me battibeccavano su un qualche nuovo arrivato con voce prepotentemente alta.

Lisciai le pagine davanti ai miei occhi con immotivata cura. Un limite finito all'infinito individua sempre un asintoto orizzontale.

«Non saprei scegliere tra i due: mi piacciono sia i biondi che i mori purtroppo» ridacchiò stridula l'amica.

Il limite se esiste è unico.

«Non vedo l'ora di essere alla partita» cinguettò una terza.

Chiusi il quaderno con uno scatto secco. Non chiedevo tanto. Solamente un po' di pace.

E fu allora che la vidi.

Quella chioma bionda e perfetta che si affannava per raggiungermi, ancheggiando con grazia tra i banchi disseminati per la stanza.

Claire si avvicinò a me con gli occhi brillanti e con un sorriso dolce. Portò una ciocca dei lunghi capelli dietro l'orecchio, accentuando l'espressione cortese. «Cassie, giusto?» chiese in cerca di conferma, «abbiamo biologia insieme» si affrettò a chiarire, come se temesse che non mi ricordassi di lei.

Ma come avrei potuto dimenticare quella bellissima ragazza travestita da angelo che alla festa di halloween era riuscita a minare la serenità di Rachel solamente avvicinandosi ad Alex?

Mi resi conto di essere rimasta zitta per un istante di troppo. Restituii il sorriso con foga. «Esatto» confermai, «posso aiutarti?»

Il nulla. Ecco ciò che accomunava me e Claire Davis. Amici diversi, lezioni pressoché incompatibili, gruppi sportivi differenti. Le nostre vite sembravano correre su due binari separati, due linee parallele senza alcun punto d'incontro.

Eppure mi chiesi cosa potesse spingerla a voler parlare proprio con me, tra quella moltitudine di studenti nella stanza.

«Sto cercando Alex.»

Quel nome fu come un'interferenza che fece cozzare quelle rette distinte. Improvvisamente non eravamo più intoccabili e separate. Io e Claire avevamo qualcosa in comune. O meglio, qualcuno.

«So che siete amici» aggiunse con slancio. Le gote appena arrossate e la mano sinistra che spingeva in alto i braccialetti allacciati al polso, facendoli tintinnare dolcemente. «Avrei proprio bisogno di parlare con lui» pigolò.

Ignorai quel fremito di fastidio che si fece strada sotto gli strati della mia pelle e mi affrettai a cercare una risposta adatta. «Non l'ho ancora visto stamattina.» Accompagnai quelle parole a un sorriso di scuse. Per qualche strana ragione, non volevo dare l'impressione di non voler collaborare. «Se vuoi però, posso provare a chiamarlo sul cellulare» proposi subito dopo.

Se fosse stato chiunque altro, non mi sarei mai offerta di fare di più. Tuttavia, una parte nascosta dentro di me, voleva apparire gentile agli occhi di Claire. E improvvisamente mi ritrovai a rimproverare me stessa. Da quando mi interessava il parere di un estraneo?

Il suo volto si aprì in un sorriso genuino, come se un grosso peso si fosse di colpo sollevato dal suo petto. «Mi faresti un immenso favore. A me non risponde proprio» aggiunse, arrossendo lievemente.

Cercai il contatto di Alex e aspettai pazientemente che il telefono componesse il suo numero.

Un unico squillo e la chiamata fu deviata sulla segreteria telefonica.

Non sapevo se essere sollevata o tremendamente arrabbiata. Come poteva ignorarmi di nuovo, dopo le scoperte del giorno precedente?

«Ha rifiutato la chiamata» spiegai con tono piatto, impegnandomi a bloccare con cura lo schermo, nonostante fossi tentata di lanciare malamente il telefono in borsa

I suoi occhi prima splendenti, si rabbuiarono. Smosse le ciocche bionde che le incorniciavano il volto, riflettendo dubbiosa. «Ti ringrazio in ogni caso» disse dopo una breve pausa, «sarà meglio andare a cercarlo di persona.» Annuì, come a convincersi delle sue parole, proprio mentre le pronunciava. Mi fece un piccolo cenno di saluto e si incamminò con passo avvilito verso la porta.

In quel preciso istante sentii il cellulare vibrare nella mia mano.

Da Alex Case:
Poi ti spiego.

Storsi il naso. Ero indecisa se continuare a essere arrabbiata o accettare quelle sue parole. Nel dubbio, ricacciai il cellulare nella borsa senza neppure visualizzare il messaggio.

Non avevo le forze per fingermi interessata alla lezione di matematica, così uscii dall'aula, intravedendo proprio in quel momento la professoressa Cooper che risaliva con ampie falcate le scale che collegavano il seminterrato.

Mi affrettai a girare l'angolo con passo svelto. La Cooper era un mastino implacabile. Se mi avesse scoperta a saltare le sue lezioni avrei potuto ritenermi la sua personale cavia per il resto dell'anno. Stavo ancora ridacchiando tra me e me quando svoltai e per poco non mi scontrai con un ragazzo.

Per la sorpresa, avevo istintivamente lasciato cadere gli appunti di algebra che avevo tra le mani. «Scusa.» mi affrettai a dire.

Mi accucciai velocemente a raccoglierli, con quell'impaccio che mi sentivo cucito addosso da una vita intera. Sentii il ragazzo ridacchiare e, con la coda dell'occhio, notai che si era piegato a sua volta per aiutarmi.

Mi tese la mano, nella quale stringeva i miei fogli e i miei occhi risalirono dalle braccia forti fino al suo volto.

Un sorriso enigmatico si apriva aggraziatamente tra i suoi tratti decisi. Una chioma bionda e spettinata incorniciava due occhi chiari che sembravano poter bucare la mia pelle.

Freddi come il ghiaccio. Familiari come pochi.

Fu allora che misi insieme tutti i pezzi. I frammenti confusi di discorsi che avevo sentito nel corridoio.

"È tornato" dicevano.

"Sarà qui per la partita."

I commenti delle ragazze in classe. Quelli che avevo sentito davanti al mio armadietto. Claire che aveva bisogno di parlare con Alex...tutto improvvisamente aveva un senso.

E fui tremendamente infastidita con me stessa per la superficialità con la quale avevo ignorato tutti quei dettagli.

Ricambiai il suo sguardo con una nuova consapevolezza.

Christian era tornato.

__________________________

Buuuongiorno! ☀️

In molte avevate pensato a un ritorno della madre di Cassie, ma dopo tanti capitoli nei quali è stato solamente citato, è Christian a essere arrivato a Danvers (e quindi intuiamo anche perché Alex era sparito).

Ho dovuto dividere questo capitolo in tre, e le prossime due parti le pubblicherò al mio rientro dalle vacanze, quindi per una decina di giorni vi leggerò soltanto.

Ps. Mi farò perdonare per l'assenza di Alex, giuro! I prossimi capitoli infatti, sono in assoluto i miei preferiti per il rapporto Cassie-Alex.

Un abbraccio ❣️
Vale

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