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By BookonaTree2020

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"Come si arriva a stare sul filo? Com'è che ci si ritrova sopra senza nemmeno sapere di esserci mai saliti?" ... More

Chapter 01 - Guido Sgardoli
Chapter 2 - Pierdomenico Baccalario
Chapter 3 - Daniele Nicastro
Chapter 4 - Andrea Pau
Chapter 5 - Andrea Vico
Chapter 6 - Tea Orsi
Chapter 7 - Carlotta Cubeddu
Chapter 8 - Fiore Manni
Chapter 9 - Marco Pelliccioli
Chapter 10 - Veruska Motta
Chapter 11 - Giada Pavesi
Chapter 12 - Elena Peduzzi
Chapter 13 - Eleonora Babbo & Vincenzo Galli
Chapter 14 - Giuseppe D'Anna
Chapter 15 - Davide Lamandini
Chapter 16 - Gisella Laterza
Chapter 17 - Lucia Vaccarino - FINE PRIMA PARTE
Chapter 18 - Guido Sgardoli - INIZIO SECONDA PARTE
Chapter 19 - Daniele Nicastro
Chapter 20 - Carlotta Cubeddu
Chapter 21 - Andrea Vico
Chapter 22 - Tea Orsi
Chapter 23 - Andrea Pau
Chapter 24 di Fiore Manni
Chapter 25 - Marco Pelliccioli
Chapter 26 - Veruska Motta
Chapter 27 - Giada Pavesi
Chapter 28 - Elena Peduzzi
Chapter 29 - Eleonora Babbo & Vincenzo Galli
Chapter 31 - Davide Lamandini
Chapter 32 - Gisella Laterza
Chapter 33 - Lucia Vaccarino
Epilogo - Jennifer Orrico

Chapter 30 - Giuseppe D'Anna

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By BookonaTree2020


C'è una bambina che piange, da qualche parte. È caduta. O forse si è bruciata toccando la pentola sul fuoco.

C'è pure un bambino. Sta piangendo anche lui. O forse no. Sono così uguali che è difficile distinguerli...

Nadia chiude gli occhi. Scuote la testa per scacciare il ricordo. Quando li riapre è di nuovo nel laboratorio, circondata da schermate che lampeggiano nel buio. Ivan le aveva detto che c'era qualcuno per lei, ma non si aspettava certo questo.

«Ripetilo» dice in un sussurro, e alza lo sguardo.

Sua madre è proprio lì di fronte a lei. Se ne sta seduta, dritta, composta.

«Lo sapevo» ripete la donna. «Non potevo esserne certa, naturalmente, senza le analisi comparative, ma sapevo che era possibile. Che tu o Dan potevate essere...»

«Lo sapevi da prima» sibila Nadia.

«Da prima di cosa?»

Nadia inspira a fondo. Deglutisce per mandare giù l'urlo che vorrebbe lanciare, mentre nella testa le esplodono altre urla, quelle di quella notte, e il rimbombo dello sparo che ha spazzato via tutto.

«Prima che ci facessero gli esami in laboratorio! Prima che Dan venisse ammazzato» risponde, mordendo ogni parola. «Se tu ce lo avessi detto... se lo avessimo saputo...»

«Davvero è questo che hai intenzione di fare, qui e ora? Il gioco dei se?». La voce di sua madre è piatta e incolore come una lastra di vetro. «Non ti ho cresciuta in questo modo».

La bambina piange ancora. Una porta si apre, da qualche parte, ma si richiude di botto senza curarsene. È la porta del laboratorio di ricerca. È la portiera della macchina. È ogni porta che le ha sbattuto in faccia.

Tu non mi hai cresciuta affatto, stronza. Nadia lo pensa ma non lo dice. Sa che se apre bocca adesso il nodo nella sua gola si scioglierà in un pianto a dirotto. No, non le darà questa soddisfazione.

«Credimi» continua sua madre. «Avevo intenzione di contribuire alla sintesi della cura senza coinvolgerti, ma era impossibile restare entrambe al sicuro, qui nel laboratorio, senza incrociarci. Tanto vale che tu sappia la verità.»

Nadia si alza. Fa qualche passo e si volta verso le file di numeri incomprensibili che brillano sugli schermi. Sente gli occhi bruciare e la testa pulsare per la rabbia.

È stufa, cazzo, della verità. Tutti non fanno altro che vomitarle addosso la loro verità, mandando di continuo a puttane le poche cose che crede di sapere.

«Sono stata io a renderti la cura.»

Nadia sente una lacrima calda scenderle giù per la guancia. Si sforza di concentrarsi sui minuscoli numeri verdi che scorrono sulle schermate nere.

Ho studiato le teorie di tua madre, sai? dice la voce di Ivan nella sua testa. È stata la prima a dimostrare che la genetica è solo metà della storia.

«C'era questo nuovo protocollo sperimentale per rafforzare il sistema immunitario rispetto agli agenti virali a rischio epidemico» la voce di sua madre le arriva sempre da più lontano. «E c'eravate tu e tuo fratello, geneticamente compatibili e rispondenti a tutti i criteri. I soggetti di studio perfetti.»

Intanto i numeri sugli schermi proseguono a scorrere con in sottofondo il fruscio delle ventole dei computer. Un rumore costante, quasi ipnotico.

«Era una sperimentazione in doppio cieco. Nemmeno io sapevo chi, tra te e Dan, stava assumendo il placebo e a chi invece veniva iniettato il principio attivo.»

Nadia si porta una mano alla spalla. Si aspetta quasi di ritrovare il segno della puntura.

La bambina piange. Ha un cerotto giallo sul braccio. No, non è giallo. A lei il giallo non è mai piaciuto. Il suo cerotto è rosso, coi coniglietti bianchi. Il cerotto giallo è quello sulla spalla del bambino accanto a lei. Ci sono due scatole di cerotti sul tavolo della cucina. Due siringhe. E due flaconi.

«Evidentemente il protocollo ha funzionato e ha reso il tuo organismo immune al virus, quanto meno a questo in particolare. Ora non resta che sintetizzare la cura a partire dal tuo DNA, e su questo con Ivan siamo già a buon punto.»

A Nadia scappa una risata cattiva, e finalmente torna a guardare sua madre negli occhi.

«Ecco perché sei venuta fin qui» dice. «Per la ricerca, ovviamente.»

Nella semioscurità del laboratorio, il volto della donna resta impassibile. Nadia lo fissa. Funziona così nei film, no? Il tizio guarda il genitore che lo ha abbandonato e sente il richiamo del sangue. La forma del naso, il taglio degli occhi, un qualcosa nelle labbra... solo che Nadia non trova niente. E non prova un bel niente. In passato si è sforzata, quando stava rintanata con le altre donne e passava a trovarla ignorava tutto il resto. Di solito erano appena alcune occhiate. Pochissime parole. E funzionava.

Invece adesso...In quella donna che le sta davanti non c'è nulla né di lei né di Dan.

«Non te n'è mai fregato un cazzo di noi» dice alla fine. « Eravamo topi da laboratorio. Ci hai mai voluto, almeno, o siamo stati una scopata andata male?»

Per la prima volta sua madre esita.

Il suo sguardo si sposta. C'è dell'altro, è evidente. Tanto che perfino una come lei fatica a raccontare... Ma a Nadia non importa. È rimasta ad ascoltare anche troppo.

Raggiunge il corridoio e se la lascia alle spalle.

Quella discussione, in fondo, era finita prima ancora di cominciare. Se sua madre vuole aiutarli con la cura, bene, faccia pure. Ma se crede di chiudere tutta questa storia in un abbraccio, come un file che può salvare e archiviare in una delle sue cartelle, be', si fotta.

Non puoi salvare tutti.

È stato Dan a dirglielo, anche se Nadia non ricorda quando. Anzi, non è nemmeno sicura che sia un vero ricordo.

Però aveva ragione.

Sua madre non è una sua responsabilità. Il mondo non è una sua responsabilità. Nemmeno Dan, era una sua responsabilità anche se dopo la sua morte tante cose le hanno incasinato la testa.

Lui ha fatto le sue scelte. E a lei ora resta quel posto. Queste persone. Annuisce continuando a camminare a testa alta. Stavolta è lei a decidere e sì, loro sono l'unica responsabilità che si sente addosso, a modo suo ci tiene davvero.

Nell'eco dei suoi passi, per un attimo Nadia sente anche quelli della bambina che si è rialzata, ha smesso di piangere e aspettare.

Ora semplicemente segue la sua strada.

La donna si alza, più lentamente di quanto vorrebbe. La quarantena e la mancanza di qualsiasi cura si fanno sentire sulle sue ossa. Finché ha potuto ha preso residui di vitamine, poi nulla. Ma non le importa. Sa come controllare il dolore.

Fissa il corridoio vuoto.

In fondo sapeva che sarebbe andata così. Nadia può non accettare le sue azioni. Forse nemmeno le capisce. Non adesso, almeno.

E ci sarebbe tanto ancora da spiegare, ma chissà se poi lo farà.

La verità è che Margareth ora, in quel laboratorio buio, sta provando un senso di liberazione che non conosceva. Perché ogni volta che ha preso una decisone, ha anche aggiunto nuove responsabilità a quelle che già aveva. E ogni nuovo peso, negli anni, le è poi rimasto sulle spalle.

Col tempo ci ha fatto l'abitudine, a sopportare sempre nuovi segreti, nuovi obiettivi, nuove speranze. Ma solo ora, mentre sente il petto farsi più leggero, capisce quanto quei pesi la facessero respirare male.

Ora invece può farlo. Può lasciar andare alcune cose.

L'essere madre. L'essere responsabile di questa o quella sperimentazione. L'essere sempre attenta.

Margareth fissa ancora il punto in cui fino a qualche attimo prima c'era Nadia. Qualsiasi cosa pensi sua figlia, o chiunque altro. L'ha cresciuta forte.

Può lasciarla andare e basta, ora.

Torna a sedersi, estrae dallo zaino lasciato a terra il vecchio tablet scampato alla chiusura del suo laboratorio. Digita alcuni comandi e le appaiono in risposta i dati che Ivan sta elaborando in quel momento.

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