IGNI

By Valeroot

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[In riscrittura] Qual è il vostro posto nel mondo? Cassie non ne ha uno. Viene costantemente sballottata da u... More

Prima di iniziare
AVVISO
Prologo
1 - La festa (I)
2 - La festa (II)
3 - Comitato di accoglienza
4- La Churchill Accademy (I)
5 - La Churchill Accademy (II)
6 - Incontri (I)
7 - Incontri (II)
8 - Il medaglione
9 - Wenham Lake
10 - Sette shots in paradiso (I)
11 - Sette shots in paradiso (II)
12 - Leggende
13 - Questione di prospettiva
14 - L'invito
15 - I Parker
16 - In maschera (I)
17 - In maschera (II)
18 - Il Sole
19 - Il preside Evans
20 - Sogni
21 - Blackout
22 - Virgilio
23 - Stevow
24 - Ricerche
25 - I Case
26 - Pessime similitudini
28- Trick or Treat (II)
29 - Inferno e Paradiso
30 - I mille volti
31 - Collaborazione
32 - I medaglioni
33 - La calma prima della tempesta
34 - La partita
35 - Rivelazioni (I)
36 - Rivelazioni (II)
37 - Cassie (I)
38 - Cassie (II)
39 - Il piano
40 - L'effrazione (I)
41 - L'effrazione (II)
42 - L'effrazione (III)
43 - Fratellanza (I)
44 - Fratellanza (II)
45 - Robin Hill Road
46 - Wenham Lake (I)
47 - Wenham Lake (II)
Ringraziamenti e avvisi
Alex
Sequel
Extra - Alex
Avviso 🖤

27 - Trick or Treat (I)

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By Valeroot

Non ero riuscita a sfuggire alle cheerleader.

Alice mi aveva chiamata quel sabato pomeriggio. Di fatto rimangiandosi le parole con le quali mi aveva dispensata dalla prima partita in programma, aveva aperto i cancelli del decimo girone dantesco: quello creato appositamente per imporre tremende torture a una persona timida come me, che non voleva far altro che evitare i riflettori.

Lo so, avrei potuto rifiutarmi, inventare una scusa o fingere un malore improvviso, ma la realtà era che, se anche avessi voluto scappare dalla partita di football, non avevo la benché minima intenzione di rischiare di non presentarmi alla festa di Halloween. Soprattutto, visti i programmi miei e di Alex.

Per quello, ora mi trovavo lì. Alice mi aveva catapultata nello spogliatoio della Churchill Accademy, subito prima di avermi avvolta da una nuvola di lacca e aver messo a dura prova i miei timpani con canzoni sparate a tutto volume per caricarci e, alla fine, ero stata costretta ad infilare un completino blu e argento che non avrei scelto neppure sotto tortura.

La stavo ascoltando distrattamente però. Non aveva smesso per un solo istante di blaterare della partita, dei ragazzi della squadra avversaria e della festa che si sarebbe tenuta subito dopo. E sapevo che mi sarei dovuta interessare al suo discorso, o quantomeno fingermi coinvolta dai suoi tentativi di rassicurarmi. Io però non riuscivo a staccare gli occhi dalla mia figura riflessa nello specchio un po' sbeccato, accanto alla finestra che dava sull'angusto cortile interno.

Ero a Danvers già da qualche mese. Avevo partecipato a feste, compleanni, gite al Wenham Lake e persino a un tirocinio alle Industrie Case. Eppure, quella fu la prima volta nella quale mi sentii davvero parte di quella cittadina. Voglio dire, all'inizio avevo fatto di tutto per non lasciarmi coinvolgere, per comportarmi esattamente come in ogni altro luogo che avevo visitato, ma adesso, infagottata con i colori della città e pronta per andare in campo insieme a una decina di altre ragazze del mio corso, mi sentivo davvero come se avessi tradito tutte le mie convinzioni.

«Tra dieci minuti dobbiamo entrare» mi avvisò Alice, passando distrattamente le dita in mezzo ad alcune ciocche per pettinarle.

Mi costrinsi a staccare lo sguardo dalla mia immagine, mentre finivo di sistemare il fiocchetto blu che teneva raccolta la parte superiore dei miei capelli.

«Prendo una boccata d'aria» le comunicai, prima di scivolare fuori dalla stanza. Avevo bisogno di una pausa da tutte quelle ragazze entusiaste per la prima partita della stagione.

Il corridoio era un agglomerato di sorrisi entusiasti e chiacchiere allegre, ma nessuno mi fermò, mentre raggiungevo seconda porta in legno situata a qualche metro dal campo. La aprii con circospezione, perché effettivamente l'idea di imbucarmi nello spogliatoio maschile, ovvero un covo di ragazzi con l'adrenalina a palla, non mi sembrava poi una grande idea. Dalla mia posizione però, sembrava che la stanza fosse mezza vuota, probabilmente perché gran parte della squadra si trovava già in campo.

«Abbiamo un'imbucata qui. Qualcuno avvisi il Coach Russell» esclamò Caleb quando mi vide entrare. Era impalato di fronte a un borsone nero e stava finendo di allacciare con gesti decisi alcune ingombranti protezioni alle spalle. Aveva parlato con un tono allarmato, ma, quando mi avvicinai, notai che i lineamenti del suo viso erano distesi.

Decisi quindi di ignorare le sue parole, e puntai una panca vicino a lui, proprio mentre Dean si avvicinava osservandomi divertito. Sentivo la testa leggera come quando mio padre rischiava di beccarmi a fare una maratona di serie tv, invece di studiare, e il mio cervello sembrava che si fosse fatto una dose di adrenalina per amplificare i sensi. Insomma, quei momenti nei quali uno svenimento era proprio dietro l'angolo.

«Siete agitati?» chiesi piano, incrociando le gambe. La mia parte egoista sperava in una risposta positiva, che mi avrebbe fatta sentire meno sola.

Dean però chiarì con un sorriso pigro che quell'idea non li aveva neppure sfiorati. «Solo per la festa di Halloween» mi tranquillizzò, agguantando una maglietta. «Potremmo aver corretto un po' il tradizionale punch della signorina Davis.»

Mi segnai mentalmente di non toccare le bevande che ci sarebbero state quella sera, ma, prima che potessi replicare, l'altoparlante sopra alle nostre teste ci avvertì per l'ennesima volta dell'inizio della partita.

Deglutii inquieta. «State attenti, okay?» Feci scorrere lo sguardo tra di loro, lasciandomi convincere dai sorrisi tranquilli che mostravano. Sapevo di non avere nulla di che preoccuparmi, perché erano anni che facevano parte della squadra, ma sapevo anche quanto il football potesse essere violento.

In tutta risposta però, si misero a ridere. Sembravano trovare estremamente inutili le mie preoccupazioni.

«Tieni le tue preghiere per la prossima partita contro i Lupi di Beverly. Questi li battiamo di sicuro» commentò allegro Dean.

I Lupi di Beverly. La squadra che secondo Alice aveva iniziato il giro di scommesse al Blackout. Le stesse persone con le quali Alex e Christian si erano scontrati.

Il respiro mi si bloccò in gola e percepii distintamente la mia espressione ansiosa farsi di ghiaccio. Stavo combattendo contro un sentimento di smarrimento che avevo cercato di ricacciare dentro di me con forza, seppellendolo sotto strati di buonsenso. Perché io non avrei dovuto sapere nulla di tutta quella faccenda: della droga e delle scommesse.

Non importava quanto fossi stata convincente del ripetermelo, perché non riuscii a impedire quel brivido che percorse la mia schiena e che automaticamente mi fece spostare lo sguardo su Caleb. E lo sapevo, che non mi sarei dovuta comportare così. Sapevo che avrei dovuto mantenere i nervi saldi, contenere la mia sorpresa. Erano tutte reazioni che generalmente ero in grado di controllare. Quando ero preparata.

In quel frangente però, non avevo preventivato di dover mantenere il controllo. Ero stata troppo presa dai nostri discorsi, per avvertire l'odore del pericolo. E la mia reazione, i miei occhi sgranati, i miei lineamenti tesi... tutto rese evidente a Caleb la verità. Io sapevo. E ciò che era peggio, lui lo aveva capito.

Lo vedevo nel modo in cui mi guardava. La risata era appassita sul suo volto. I suoi occhi si erano incupiti. Le mani che prima stringevano con forza l'allacciatura delle protezioni ora erano abbandonate lungo il corpo.

Ci guardammo a lungo. Dean ignaro, continuava a blaterare di quanto fossero scarsi i loro avversari, mentre indossava la maglia blu e argento dei Falchi, e noi stavamo semplicemente lì, immobili a fissarci.

Sotto un certo punto di vista, avrei dovuto ritenermi soddisfatta, no? Caleb non avrebbe più potuto mentirmi, nella sua personale guerra contro Alex, perché adesso tutti eravamo a conoscenza di ciò che fosse successo. Tuttavia, a essere onesta, sentivo solamente il peso di quella rivelazione, che generava nuovi problemi che avrei dovuto affrontare prima o poi.

Probabilmente però, non ero tenuta a farlo proprio in quell'esatto istante, perché la porta dietro di noi sobbalzò, aprendosi di schianto, e le urla del coach Russell risuonarono in quel piccolo stanzino.

«Evans! Scott! Non vi pago per chiacchierare con le ragazze.»

Gli occhi porcini di Russell ci osservavano infuocati, nonostante fossero riparati dalla visiera del cappello che aveva calcato sulla testa calva.

Era la mia via di fuga.

Mi affrettai a ruotare il busto, dando le spalle ai due ragazzi. Speravo davvero di riuscire a limitare i danni, ma non volevo pensarci in quel momento.

Sollevai velocemente una mano, per scusarmi con il coach, che però stava osservando solo i suoi giocatori, e mi fiondai fuori dalla stanza, mentre ancora sentivo le lamentele di Dean sul fatto che non venissero affatto pagati per giocare a football.

Di nuovo aria. Di nuovo luce. Di nuovo un finto sorriso con il quale cercai di salutare alcuni compagni di corso. Il mio cervello però non la smetteva di rimuginare. Come mi sarei dovuta comportare adesso? Avrei dovuto avvisare Alex? Avrei dovuto provare a spiegarmi con Caleb? L'unica cosa certa era che non potevo pensarci in quel momento.

Le altre cheerleader erano già posizionate in campo, e mi affrettai a raggiungere Alice poco prima dell'inizio della canzone.

Dai Cassie, cerca di riportare a casa la dignità.

***

La buona notizia era che i Falchi stavano vincendo di due lunghezze e per tutta la partita non avevo dovuto fare molto, se non urlare vari incoraggiamenti. Una volta entrata in campo avevo sentito le gambe diventare gelatina, come ogni volta che ero agitata. Ma questo succedeva anche quando il professor Webb mi chiamava alla lavagna, quindi non era propriamente una novità.

L'altro elemento positivo era che avevo smesso di pensare. Il mio cervello aveva impiegato un po' a scollegarsi da tutti i pensieri legati a Caleb, Christian e Alex. Eppure, quando la partita era iniziata, mi ero lasciata coinvolgere dall'aria tesa e competitiva con le quali le due squadre si stavano affrontando, archiviando le mie preoccupazioni.

I Castori di Middleton non erano esattamente i migliori della loro categoria, ma la partita era stata sufficientemente combattuta da farci rimanere con un sano nervosismo fino alla fine. E quando Dean saltò per intercettare l'ultimo passaggio, lo stadio si zittì per qualche secondo, prima che la presa ferrea delle sue dita attorno alla palla ovale decretasse la fine della partita.

Game over. I Falchi avevano ufficialmente vinto la loro prima partita della stagione.

Lo stadio intero esplose in un boato. Sembrava che avessimo appena vinto la finale di Stato, invece di una semplice partita, perché c'era gente che urlava, giocatori che si erano lanciati a terra e cori urlati a gran voce. Neppure riuscivo a capire cosa stessero dicendo, da tanto che era forte il frastuono, ma mi voltai comunque verso le gradinate, dove una mandria di studenti, già travestiti per la festa di Halloween, si stava riversando sul campo.

«Ma... è sempre così qui?» balbettai, mentre Alice tentava di abbracciarmi, nonostante saltellasse dall'eccitazione.

«No» replicò scuotendo la testa. E io mi ritrovai a osservarla per capire cosa intendesse dire. «È molto peggio, di solito» concluse, strappandomi una risata.

Sapevo che la prima partita della stagione fosse quella più importante, per iniziare il campionato con il piede giusto, ma ero ancora totalmente nuova a quelle usanze che da europea avevo visto solamente in tv.

Dean nel frattempo era stato sollevato dai suoi compagni di squadra, che lo stavano facendo saltare sulle loro spalle. Si era liberato del casco protettivo e aveva un gran sorriso stampato in volto. Quando i suoi occhi si posarono su Alice staccò con uno strappo deciso la fascia da capitano e gliela lanciò.

Rimasi per un istante scioccata da quel gesto, ma lo fui ancora di più per la reazione di Alice. Mi sarei aspettata infatti una sua risposta ironica, invece semplicemente la prese al volo e la tenne tra le mani, rimanendo apparentemente senza parole. In quel momento avrei voluto avere una macchina fotografica per immortalare l'evento. Non solo per il gesto dolce di Dean, ma per la reazione incredibile di Alice.

Impiegò qualche istante per riprendersi, ma alla fine nascose la fascia dietro la schiena.

«Dai andiamo a divertirci» borbottò arrossendo.

Non insistetti, anche se probabilmente se lo sarebbe meritato dal momento che lei era la prima a farmi il terzo grado ogni volta. Forse era tutta quell'euforia di festa, o il fatto che fossi uscita indenne dalla mia prima partita, ma sentivo una strana calma placida attraversare le mie membra, e per tale ragione mi lasciai scivolare insieme alle altre ragazze all'interno dello spogliatoio femminile.

L'ambiente era talmente colmo di gente da diventare al limite del claustrofobico. Scansai una serie di borsoni, che erano accatastati a terra, e mi ritrovai a fare uno slalom tra zaini e sacchetti. Il nostro spogliatoio era dieci volte più disordinato di quello maschile. Vestiti e costumi erano appoggiati in ogni dove, e l'aria profumava di un mix di fiori tropicali e balsamo al cocco. La festa si sarebbe tenuta nella palestra accanto e tutti sembravano in fibrillazione per raggiungerla il prima possibile.

«Allora, il tuo vestito?» mi chiese Alice con un sorriso smagliante.

Già, il mio vestito... Avevo agguantato una coroncina da una scatola di cianfrusaglie della figlia dei Parker, ma dovevo aver decisamente sottovalutato la portata dell'evento, a giudicare da ciò che i miei occhi stavano processando. Accanto a me, le ragazze si dividevano in due gruppi: quelle che indossavano cosplay a regola d'arte, interpretando le eroine delle più disparate serie tv, e quelle che stavano utilizzando Halloween per camminare su tacchi esagerati in succinti costumi da bagno. Mentalmente, mi feci il segno della croce per il professor Webb, che era stato investito del ruolo di controllore della serata.

«Tieni questo.» Jessica mi venne incontro passandomi una voluminosa confezione di sangue finto, che stava facendo il giro della stanza. «La cheerleader zombie è sempre un grande classico.» Fu la rassicurazione che mi rivolse, con uno sguardo tollerante.

Probabilmente, era la soluzione più veloce che potessi trovasse, così accettai la bottiglietta di buon grado e, sotto allo sguardo di disapprovazione di Alice, iniziai a far colare lo sciroppo rosso sulle mie braccia e sulla divisa. Il liquido era denso e pastoso e, se non fosse stato anche incredibilmente freddo, avrei iniziato ad avere le vertigini seduta stante. Era troppo realistico e io detestavo la vista del sangue.

«Se proprio lo dobbiamo fare» iniziò Alice, a denti stretti, «almeno impegniamoci».

Mi strappò dalle mani la confezione, sempre con quell'espressione irritata che mi faceva venir voglia di ridere, perché sembrava simulare uno struggimento troppo esasperato. Invece di sgridarmi perché stavo rovinando la sua divisa però, vidi la sua mano schiacciare con più foga attorno alla plastica dura.

Aggiunse altro sangue finto, tanto da farmi rabbrividire per il freddo, e mi tracciò due linee nere sotto agli occhi. Era talmente concentrata che aveva portato i capelli dietro le orecchie e adesso osservava il suo capolavoro con la lingua incastrata tra i denti. Aveva un'espressione così buffa che fui costretta a distogliere lo sguardo per non scoppiare a ridere.

«Fatto» concluse con tono soddisfatto, mentre i suoi polpastrelli terminavano gli ultimi ritocchi lungo il limite della mia gonna. «Intanto che mi cambio anche io, puoi iniziare a portare questi?» Sollevò da terra una grossa scatola piena di braccialetti e bastoncini fluorescenti e me la porse con il suo solito sguardo da cucciolo. «Li aspettavano mezz'ora fa.»

Scossi la testa incredula, ma le mie braccia si erano già allungate nella sua direzione. Ora capivo perché fosse stata così tollerante nel vedermi distruggere la sua divisa delle cheerleader.

M'incamminai in direzione della palestra, sfruttando un attimo di disattenzione di due ragazze travestite da Miss Universo, per infilarmi attraverso la porta di servizio e aggirare la folla che aspettava di poter effettuare le foto di rito. Cosa che io avrei volentieri evitato.

Non so bene quali fossero le mie aspettative, quando entrai in quell'ambiente che solitamente conteneva solo un mucchio di ragazze che giocavano a pallavolo. Magari, giusto un paio di tavoli un po' tristi con bibite e stuzzichini, accanto a una sorta di karaoke anni Novanta.

E invece, mi ritrovai a osservare grandi fili di ragnatele finte che cadevano morbide dal soffitto, mentre piccole zucche intagliate costellavano l'intera stanza, alternate a palloncini neri e arancio. I faretti che generalmente illuminavano a giorno il campo da basket erano appena soffusi e l'unica fonte un po' più vivida di luce era posta sopra al box per le foto ricordo. Persino il cibo era a tema, con biscotti a forma di pipistrello e vari fantasmini di marshmallow che decoravano i tavoli.

Forse era tutto un po' troppo eccessivo, ma dovevo ammettere che, come al solito, la Churchill Accademy aveva fatto le cose in grande. Avevo passato la maggior parte delle superiori in scuole pubbliche, dove era già un immenso risultato riuscire a trovare la carta igienica nei bagni, e non ero minimamente abituata a quegli effetti scenografici.

Lasciai la scatola con i bastoncini luminosi all'ingresso e ciondolai distrattamente tra le postazioni per le foto vintage e le bancarelle con i giochi, cercando di perdere un po' di tempo, mentre Alice terminava di indossare il suo costume da Wonder Woman. Sembrava la classica fiera americana con i chioschi e i banchi per racimolare qualche soldo per la festa di fine anno e, mentre stavo valutando quanto sarebbe stato sconveniente provare a vincere un enorme peluche a forma di elefante, la mia visuale fu coperta da un impressionante Dart Vader.

«Che la forza sia con te» affermai con un sorrisino.

Matt tolse la maschera ridendo. «Non credo che sia la citazione più adatta per il mio personaggio.»

Dopo la scoperta delle origini della sua famiglia, non avevo immaginato di incontrarlo così: di punto in bianco e senza alcun preavviso. E di conseguenza i muscoli del mio viso ci misero un po' a collaborare per costruire un accenno di sorriso.

Se fossi stata più lucida, probabilmente mi sarei sgridata da sola, perché mi ritrovavo lì con le labbra pressate, a deglutire a vuoto, nel tentativo di recuperare la calma, quando sapevo perfettamente che avrei dovuto smetterla di comportarmi in quel modo: di lasciarmi cogliere alla sprovvista, permettendo allo stupore di ridisegnare i tratti del mio volto. Avevo scoperto che Matt era uno Stevow, vero, ma dovevo anche ricordarmi che con me si era sempre mostrato gentile, e non avevo alcuna ragione per decidere di agire diversamente rispetto al solito.

Non so quanto fosse durata quella mia analisi. Probabilmente, giusto il tempo di un battito di ciglia, ma, quando provai a replicare, sentii un braccio appoggiarsi tra la mia spalla e il collo.

«L'hai lasciata senza parole, amico.»

Alex allungò l'altro braccio per salutare Matt. Fecero scontrare le mani ridacchiando entrambi, come se fossero amici di lunga data e non due persone che avevano recentemente seppellito l'ascia di guerra. E mentre loro si scambiavano qualche parola, io mi schiarii la gola discretamente, cercando di sfuggire all'imbarazzo.

«Veramente, stavo giusto dicendo che gli avrei rubato volentieri l'idea» farfugliai.

Sapevo cosa stesse facendo Alex: mi stava coprendo le spalle, evitando che Matt si domandasse il perché di quel mio comportamento. Una parte di me però, voleva dimostrargli di non aver bisogno di lui e per quello stavo blaterando in quel modo.

Il suo braccio però rimase ben saldo attorno a me, e lo sentii ammorbidire la presa, solo quando spostai il peso sulle gambe un po' a disagio.

«Non avrei visto benissimo un Dart Vater alto un metro e una cicca» commentò lui, scostandosi per osservarmi meglio.

Sotto la fronte aggrottata, vidi i suoi occhi risalire dalle mie gambe scoperte, fino al completo da cheerleader macchiato di sangue finto. Mi scrutava talmente concentrato, che iniziai a chiedermi cosa avessi fatto di male. Perché se qualcuno ti guarda in quel modo: con gli occhi socchiusi e un cipiglio burbero, devi sicuramente aver sbagliato qualcosa. Tuttavia, non appena riprese a parlare, ancora una volta compresi quanto i nostri pensieri corressero a due velocità differenti.

«E poi, sai» disse riprendendo con nonchalance, come se il nostro scambio non si fosse mai interrotto, «come cheerleader vampiro stai decisamente meglio.»

Lanciai una veloce occhiata a Matt, che però nel frattempo stava salutando alcuni altri ragazzi che non conoscevo, e tornai a concentrarmi su Alex. Continuava a osservarmi sempre con quell'espressione rilassata che tanto gli invidiavo.

"Grazie" mimai con le labbra. E non mi stavo certo riferendo a quella sorta di finto complimento che mi aveva appena rivolto. Era un ringraziamento per aver evitato che mandassi tutto a monte, facendoci diventare i sospettati numero uno, ancora prima di introdurci a scuola per aprire il suo armadietto.

In tutta risposta, lui si limitò a portare due dita al capo. «Al tuo servizio, Reed» replicò con quel sorrisino segreto che raramente riuscivo a capire.

Dopo un'ulteriore occhiata nella sua direzione però, i miei pensieri finirono per concentrarsi su un qualcosa di notevolmente meno impegnativo.

«E tu da cosa saresti vestito?» chiesi aggrottando la fronte. Mi ero accorta solamente in quel momento che Alex indossava un completo militare corredato da un finto giubbotto antiproiettile.

Non so perché gli feci quella domanda. In primis, qualsiasi personaggio cinematografico in tenuta mimetica per me sarebbe stato uno sconosciuto. Secondariamente, erano già diversi minuti che stavamo parlando indisturbati. E io ero fin troppo consapevole che Alex richiamasse a sé le persone come il miele con le api, e quella conversazione era durata decisamente troppo, per non ipotizzare un repentino cambio di rotta.

«Ciao, sono Rachel del comitato studentesco.»

A dimostrazione della mia tesi, una ragazza dai lunghi capelli corvini si piazzò di fronte a noi. Le sue mani sorreggevano difficoltosamente una serie di macchine fotografiche istantanee, che cercava di tenere in equilibrio con le dita esili. Avevo la sensazione che si fosse lanciata nella nostra direzione senza neppure ragionare su ciò che stesse facendo, perché dopo la sua presentazione seguirono alcuni lunghi istanti di silenzio. Un imbarazzante silenzio, per quanto mi riguardava.

Nonostante quell'impressione però, continuai a osservarla con aria paziente, sperando che palesasse il motivo di quell'interruzione.

«Volete iscrivervi alla gara per il miglior costume della serata?»

Miss Comitato Studentesco sembrava essersi ripresa. Scosse la testa, ordinando i lunghi capelli lisci ed espose un sorriso esagerato da venditrice incallita di limonate con un'esperienza decennale. Sembrava che si stesse impegnando notevolmente per attirare la nostra attenzione, probabilmente perché Alex e Matt erano stati interrotti da alcuni ragazzi della squadra di football e non la stavano calcolando più di tanto.

«Se vuoi, posso scattare qualche foto agli altri» mi proposi nel tentativo di non smontare il suo entusiasmo. Perché dovevamo guardare in faccia la realtà: ero una cheerleader zombie e non avrei vinto alcun premio, ma avrei potuto darle una mano.

Credo che però i suoi piani fossero altri, perché Rachel fece tentennare ancora i suoi braccialetti, finché non catturò anche l'attenzione dei due ragazzi accanto a me, e smise di blaterare solo quando accettarono una delle macchinette.

Utilizzai quel tempo per scattare un'istantanea a un più che contrariato Matt, ma sapevo che distrarlo fosse il modo migliore per fargli dimenticare il mio comportamento di poco prima. Dovevo semplicemente rimanere tranquilla e aspettare che la festa entrasse nel vivo, prima di sgattaiolare all'interno della scuola. Non sapevo quando la mia vita avesse preso quella piega, ma ero consapevole di dovermi comportare in una maniera più intelligente rispetto a prima. Rimanere calma e attendere il momento giusto per entrare in azione.

Un flash nella mia direzione mi riportò prepotentemente con i piedi per terra. Sbattei ripetutamente gli occhi, fino a mettere a fuoco il volto di Alex a una manciata di centimetri da me.

Mi guardava dall'alto in basso con un sorrisino divertito, mentre le sue dita stringevano una fotografia non ancora ben definita.

«Non possiamo interrompere le tradizioni» mi sussurrò con tono cospiratorio.

Probabilmente si stava riferendo alla gita al Wehnam Lake, quando mi aveva volontariamente accecato con il flash, proprio come aveva appena fatto.

«Sei insopportabile, Case!» mi lagnai, prima di provare a sfilargli dalla mano l'istantanea. Lui però continuava a sorridere divertito, alzando il braccio sempre di più. «E ridammi subito quella foto» ordinai cercando di rendere autorevole la mia voce, ma l'unico effetto che ottenni fu di farlo ridere più forte.

Ero infastidita per la foto? Sicuramente. Ma non potevo fingere di non essere contenta che la situazione tra di noi fosse così... stabile. Avevo sempre il terrore di fare un passo falso, di superare uno dei suoi limiti, di interpretare erroneamente la distanza che c'era tra di noi, o di dover gestire i suoi repentini cambi d'umore, proprio come era accaduto dopo lo scontro con Caleb.

Caleb.

A quel pensiero, improvvisamente mi bloccai, mentre le immagini del nostro scambio nello spogliatoio maschile riaffioravano alla mia mente. Avrei dovuto dirlo ad Alex? Una parte di me credeva che sarebbe stato meglio informarlo, ma un'altra parte, quella più egoista, sosteneva che non ci fosse necessità di peggiorare la situazione.

Cosa avrei ottenuto? Nulla, mi suggerì la mia coscienza. Ma io sapevo che non fosse vero. "Nulla" sarebbe stato ancora accettabile, perché avrebbe significato preservare quell'equilibrio tra di noi. Invece, ero consapevole che non appena fossero stati richiamati a noi i ricordi di ciò che era successo tra loro due, Alex sarebbe tornato a chiudersi in quel mondo creato appositamente per allontanare tutto il resto.

«Anche io voglio iscrivermi!»

Fu la voce squillante di Alice a ridestarmi da quel dibattito interiore che mi stava affliggendo. Non aveva senso pensarci in quel momento. Scossi la testa per allontanare quei pensieri, mentre cercavo di convincere me stessa con un sorriso, che sarebbe andato tutto bene. Dovevo affrontare un problema alla volta. Dovevo essere pragmatica. Prima mi sarei occupata di superare indenne la serata, e poi avrei pensato a tutto il resto.

«Tutto bene, Reed?»

Era Alex. Lo vidi tentare di rientrare nel mio campo visivo, con un'espressione confusa in volto. Era stato l'unico a rendersi conto di quel cambio d'umore, forse perché era l'unica persona che conosceva le mie reazioni quando ero sotto pressione, e per tale motivo riusciva ad andare oltre a quel sorriso finto che stavo esibendo. Purtroppo però, era anche l'unica persona che avrei dovuto assicurarmi di tenere al sicuro dalle mie incertezze. A maggior ragione, perché mi sarei dovuta assicurare che anche lui rimanesse ben concentrato sui nostri programmi.

Feci cenno di sì con il capo e mi affrettati a propormi di scattare una foto ad Alice. Mimetizzarsi era la parola d'ordine, giusto? Ed era esattamente ciò che avrei cercato di fare.

«Stai ferma» la ammonii, mentre lei continuava a saltellare su di giri. Sembrava ancora più iperattiva del solito e avevo il vago sospetto che fosse a causa del gesto di Dean.

Avrei voluto estrarle un qualche commento con la forza, perché avevo l'impressione che Alice si mostrasse estremamente spigliata e sicura di sé, solamente in quelle situazioni che non la toccavano più di tanto. Alla fine però, sapevo che se qualcuno avesse cercato di far parlare me, lo avrei vissuto come un tormento e mi limitai quindi a scattarle un'istantanea, agitandola delicatamente mentre l'inchiostro faceva presa sulla cartolina.

«Ecco, Rachel» dissi voltandomi per porgerle le fotografie.

Avevo fatto il mio dovere, aiutando il comitato studentesco a guadagnare qualche partecipante alla gara della serata, e adesso avrei potuto tirarmene fuori senza problemi.

Lei però non mi stava prestando il più piccolo briciolo di attenzione. Osservava un punto imprecisato alle mie spalle con un'espressione strana. A metà tra l'afflitto e l'imbambolato. Per un istante, pensai che fosse lo stesso identico cipiglio che aveva mia zia Jenna, ogni volta che si ricordava che Ryan Raynolds fosse sposato.

Seguii il suo sguardo, voltando il mio viso in quella direzione e i miei occhi si scontrarono con l'immagine di una ragazza bionda, vestita da angelo, che cingeva le spalle di Alex in un morbido abbraccio, mentre lui continuava a parlare e a gesticolare.

Un sussulto. Un sussulto fu quello che sentii dentro di me a quella vista. Avevo sentito la mia espressione congelarsi esattamente come era accaduto nello spogliatoio con Caleb e qualche minuto prima con Matt, solo che... Solo che c'era anche una piccola punta di un incomprensibile fastidio ad attanagliarmi lo stomaco. Ma non appena individuai quella strana sensazione, mi affrettai a far scivolare quel pensiero fuori dalla mia testa.

Non so chi avesse incoronato quella, come la giornata delle sorprese, ma ero sul punto di dichiararmi ufficialmente stufa. Tornai a puntare gli occhi su loro due, mentre mi muovevo un po' a causa del disagio che avevo provato per la mia reazione. Ero quasi certa che la bionda fosse Claire del corso di biologia, ma indipendentemente da lei, credo che fosse un elemento diverso ad avermi colpita: Alex sembrava tremendamente a suo agio con lei.

Ecco, quello aveva senso: qualsiasi fosse l'origine di quel pizzicore che avevo sentito all'altezza dello sterno, potevo ridurlo perfettamente a un banale sintomo di quella mia sorpresa, perché non ero abituata a vedere Alex comportarsi in quel modo. Certo, a scuola, era spesso circondato da un ammasso di sportivi, cheerleader e matricole, ma lo avevo sempre visto interagire pochissimo con tutti loro. In quel momento invece, entrambi sembravano un fiume in piena e continuavano a discutere, incuranti del mondo esterno.

Avrei voluto staccare lo sguardo da quella scena, perché mi sembrava quasi di poter sentire la mia coscienza darmi della spiona. Eppure, mi ritrovai a osservare i tratti delicati di Claire con un'invidia che non avevo mai provato.

Erano queste le esperienze che James voleva che facessi? Che finissi a una stupida festa a osservare una ragazza che sembrava essere stata generata con il preciso scopo di far ammattire l'autostima del genere femminile? Beh, ne facevo volentieri a meno.

Esasperata per quei pensieri, tornai a rivolgermi a Rachel. Nella mia testa, stavo frettolosamente accantonando quella questione di poco conto, per concentrarmi su ciò che davvero contava: scoprire qualcosa sulla Fondazione di Danvers e sull'eventuale ruolo delle persone che condividevano i banchi di scuola con me.

«Quei due torneranno insieme.»

La rassegnazione della sua voce mi bloccò ancora una volta. Rachel aveva parlato automaticamente, non appena mi ero voltata nella sua direzione. Probabilmente, quelle parole erano rimaste sulla punta della sua lingua per un lasso di tempo tale da doverle necessariamente condividerle con qualcuno.

Esalai un profondo sospiro, accettando l'idea che l'intero mondo della Churchill Accademy girasse attorno all'ex quarterback della squadra di football e nonché mio unico alleato in quella ricerca ai limiti della legalità.

«Erano fidanzati?» mormorai. Avevo sentito la mia voce, ancor prima che mi rendessi conto di aver dato forma ai miei pensieri. Con una curiosità che solitamente non mi apparteneva.

E forse entrambe li stavamo fissando da un lasso di tempo superiore a quanto fosse socialmente accettabile, ma non m'importava più di tanto.

Rachel annuì con il capo e il bagliore della luce sulle ciocche lisce dei suoi capelli mi distrasse per un istante.

«Credo che siano stati insieme un paio di anni» confermò dopo un breve silenzio.

Non riuscivo a immaginare Alex con una ragazza. Il che era assurdamente sciocco, visto che era uno dei ragazzi più popolari a scuola, ma credevo che i suoi modi scostanti avessero fatto desistere chiunque.

Eppure, ero altresì consapevole di non poter essere stata la sola ad aver conosciuto quel suo lato nascosto, paziente, protettivo con le persone che ama, e allo stesso tempo tenace.

Perché mi stupivo allora, se qualcun altro lo aveva visto per quello che era realmente? E, soprattutto, perché ero così egoista da lasciarmi infastidire da questa cosa?

Feci un piccolo cenno del capo a Rachel, a dimostrazione che avevo capito, e le allungai la macchina fotografica. Questa volta con più decisione, rispetto a prima. Improvvisamente avevo una gran voglia di terminare quella serata il prima possibile.

«Ecco, ti lascio questa, e anche le istantanee» mormorai in fretta.

Forse fu a causa del mio tono, ma all'improvviso fu come se si fosse ridestata. Miss Comitato Studentesco recuperò le sue maniere impeccabili e il sorriso da copertina, mentre un rossore sulle sue gote segnalava un lieve imbarazzo anche da parte sua. Avrei voluto dirle che non la stavo giudicando, per l'interesse che aveva dimostrato per la coppia dell'anno. Ma avevo troppa voglia di dileguarmi dalla stanza per perdere altro tempo.

«Ricordati che a mezzanotte decreteremo il vincitore» disse con un tono di voce preimpostato, come se avesse ripetuto quella frase fino allo sfinimento. E forse era davvero così.

La ringraziai distrattamente, e mi mossi d'istinto verso il tavolo alla mia destra. La mia idea di cercare qualcosa da bere si era scontrata velocemente con il monito di evitare il punch della Davis. Dean non ne sarebbe stato contento, ma dovevo tenermi lucida a qualsiasi costo. Incrociai le braccia al petto, mentre decidevo il da farsi. Avevo una strana sensazione di freddo e disagio. Forse era dettata dal fatto che l'euforia per la serata fosse lentamente scemata, non ne ero sicura neppure io.

«Andiamo?»

La voce di Alex mi raggiunse come un soffio basso, che si perse nel trambusto di alcuni ragazzi intenti a riempirsi il piatto di biscotti e patatine. Pessima accoppiata. Nonostante ciò, avevo sentito chiaramente il suo invito, come se una parte di me avesse tenuto i sensi in allerta, proprio in attesa di quel momento.

«Ora?» sussurrai, guardandomi attorno con circospezione. Non volevo che qualcuno ci vedesse confabulare, ma gli altri sembravano impegnati in un'animata discussione sulla partita di football e avevo il sospetto che non fossero minimamente interessati a noi due.

Alex si strinse nelle spalle, mentre la sua concentrazione era rimasta su di me. Avevo la sensazione che mi stesse studiando, forse perché non avevo ancora incrociato il suo sguardo.

Lo feci in quel momento. Sollevai gli occhi dalla base del suo collo per riportarli al suo viso e lui mi ricompensò con un sorriso che non aveva niente a che fare con le sue solite espressioni di scherno.

«Tutta la squadra è qui, non dovrebbe esserci più in giro nessuno» spiegò paziente.

Era un ottimo piano, certo. Un piano intelligente. Eppure, mi dovetti sforzare di assecondarlo. Continuavo a sentire quella stana sensazione che mi diceva di andarmene. Mi sentivo un po' come mio padre, quando improvvisamente diventava intollerante e non riusciva più a rimanere nello stesso posto. E fu proprio per quel motivo, che mi costrinsi ad accettare.

«Okay» risposi piano, prima di voltarmi in direzione di Alice. Le feci un cenno con la mano, mimandole che avrei fatto un giro per la palestra per sgranchirmi le gambe. Lei sembrava stranamente docile e si limitò a farmi un sorriso incoraggiante. Almeno non mi sarei dovuta preoccupare che si interessasse troppo alle mie azioni.

Lasciai che Alex mi precedesse, e mi fermai a salutare un paio di cheerleader, mentre con discrezione mi avvicinavo all'uscita d'emergenza sul fondo della palestra. Forse avevo volontariamente lasciato un po' di spazio tra di noi, anzi, probabilmente era proprio così, ma quando varcai la porta che dava sull'esterno, trovai Alex ad aspettarmi, appoggiato al muro della palestra, con una sigaretta tra le mani, e la testa abbandonata contro la parete.

Sembrava... pensieroso. Ma subito dopo mi ricordai che appariva in quel modo praticamente sempre. E qualsiasi fossero le sue riflessioni, o i suoi problemi, era ben felice di non condividerli con il resto del mondo.

Quando si accorse della mia presenza, spense la sigaretta con il piede e mi fece cenno di seguirlo. L'ambiente esterno era completamente buio, perché nuvole cariche di pioggia avevano coperto il cielo, oscurando la luna e le stelle. E in quel silenzio io iniziavo a sentirmi tremendamente agitata.

Sussultai quando sentii la ghiaia scricchiolare sotto ai miei piedi, ma Alex stava già attirando la mia attenzione, indicando con il mento un punto imprecisato di fronte a noi.

«Da questa parte» mi ordinò a bassa voce, individuando un'uscita laterale poco illuminata. «È l'unica a non avere l'allarme. La usiamo da anni, quando vogliamo fumare tra una lezione e l'altra.»

Spinse la leva, facendomi segno di entrare, mentre lui si guardava attorno. Non sapevo se fosse a causa dell'attenzione dei suoi gesti, ma sentivo quella strana agitazione crescere. Feci un profondo sospiro. Avevo affrontato situazioni decisamente peggiori nel corso degli anni, spesso ben oltre i confini della legalità, a causa della disattenzione di mio padre. Non c'era nulla di diverso dal solito. Dovevo ricordamene.

L'interno della scuola era irrealmente buio e silenzioso. Riuscivo a sentire solamente il mio respiro leggermente affannato per l'ansia, e la musica della festa riverberare in lontananza. Quando però la porta si richiuse alle nostre spalle con un colpo secco, lasciandoci nella più completa oscurità, sentii il cuore schizzarmi in gola. Non potevo vedere nulla, ma riuscivo a sentire distintamente il panico aggrumato nel mio stomaco e l'aria gelida che accarezzava la pelle d'oca sulle mie braccia.

Fu solo un attimo però, perché subito dopo la torcia del telefono di Alex riprese a illuminare fiocamente l'ambiente circostante, ma a me era bastato per perdere dieci anni di vita.

Vidi il fascio di luce muoversi nella mia direzione e, prima che potessi farmi trovare in quel modo, terrorizzata e con gli occhi sbarrati, mi voltai per analizzare dove ci trovassimo.

Le porte che costellavano la parete erano molto vicine tra loro, segno che erano delle semplici aule e non i classici laboratori ultramoderni, quindi dovevamo essere in uno dei corridoi al pianterreno del lato est.

Socchiusi gli occhi per leggere la targhetta della stanza di fronte a noi. «È l'aula di matematica» mormorai

«Siamo vicini agli armadietti» confermò Alex.

Quella era una buona notizia, perché nonostante cercassi di tenere sotto controllo le mie emozioni, il nervosismo aveva reso le mie gambe instabili e non avrei retto di rimanere in quel posto troppo a lungo.

Credo che Alex avesse notato l'agitazione che aveva attanagliato i miei muscoli, perché con il braccio mi spostò lievemente dietro di lui. Glielo lasciai fare. Nonostante le mie buone intenzioni infatti, ero totalmente in ansia all'idea di essere scoperti. Non volevo neppure immaginare il grado di delusione di James, qualora mi avessero beccata in quella situazione.

«Nervosa, Reed?»

Le parole di Alex squarciarono quel silenzio assordante. Mi limitai a mugugnare qualcosa, senza parlare davvero, perché non volevo ritrovarmi a scoprire la mia voce instabile.

Non ricevendo risposta però, lo vidi fermarsi e rivolgere la luce verso di noi. «Sai che se ci scopriranno, mi inventerò qualcosa per tirati fuori da questa situazione, vero?»

Nonostante l'oscurità in cui eravamo immersi, riuscivo a percepire l'intensità del suo sguardo, che sembrava volermi infondere coraggio con una decisione inamovibile. Potevamo dire tante cose di Alexander Case, tranne che fosse un codardo, e dopo il racconto di Christian, sapevo che avrei potuto contare sulla sua lealtà. Il modo puro e diretto con il quale mi stava osservando poi non mi consentì di mettere in dubbio neanche per un istante le sue parole. Ma non volevo neppure pensare troppo all'ipotesi che potessimo fallire.

«Continuiamo a camminare, dai» ordinai, muovendo qualche passo per sottrarmi al suo sguardo e a quei pensieri.

Aver ammesso la mia agitazione stranamente aveva avuto il potere di calmarmi, e camminai accanto ad Alex con il cuore un po' più leggero rispetto a prima. Forse perché non avrei più dovuto fingere di essere indistruttibile.

Ci volle meno di un paio di minuti per raggiungere l'armadietto di Caleb. Come preventivato, eravamo le uniche due persone all'interno dell'edificio e la scelta di utilizzare quella porta di emergenza aveva reso tutto più facile. Cancellai però immediatamente quel pensiero dalla mia testa: sottovalutare ciò che stavamo facendo era il modo migliore per abbassare la guardia e farci scoprire. E nessuno di noi due poteva permetterselo.

«Reggi un attimo il cellulare.»

Alex mi passò la nostra unica torcia, prima di rigirare tra le dita il lucchetto che teneva chiusa l'anta dell'armadietto.

«Se conosco Caleb, ha ancora la combinazione di quando era una matricola: il numero di anelli di Michael Jordan e il numero di maglia di Joe Montana» disse facendo ruotare piano i numeri.

Il click metallico che seguì le sue parole confermò la sua teoria. «È anche la mia combinazione» spiegò con una strana nota nella voce.

In un'altra occasione, credo che mi sarebbe dispiaciuto per come erano finite le cose tra Caleb e Alex. Un'amicizia spezzata a causa di scelte discutibili e forse facilmente evitabili. Sapevo però di non poterci pensare in quel momento. La nostra concentrazione infatti era ciò che avrebbe decretato il successo o il fallimento di quella nostra spedizione.

Mi limitai quindi ad osservare Alex, mentre apriva l'anta di metallo con circospezione. Una serie di volumi sembravano essere stati incastrati quasi per miracolo in quel minuscolo spazio, e numerosi fogli appallottolati rendevano il tutto ancora più caotico.

Alex trattenne a stento un'imprecazione. Era davvero troppo materiale da controllare e non potevamo semplicemente prendere tutto, altrimenti Caleb si sarebbe reso conto del nostro passaggio.

«Apriamo anche l'armadietto di Matt e dividiamoci» proposi piano.

Alex sembrò approvare la mia idea, perché poco dopo estrasse una sorta di piccolo cacciavite dal suo finto giubbotto antiproiettile e lo incastrò dentro il lucchetto, che con un piccolo scatto si aprì.

«L'ho rubato a Herbert, il bidello. Questi affari si rompono sempre, quindi nessuno sospetterà» borbottò.

Un lucchetto rotto e uno perfettamente integro. Con una punta di sollievo, dovevo ammettere che il nostro piano non fosse poi tanto male. Osservai l'apertura dell'armadietto di Matt con la medesima apprensione che aveva preceduto quello di Caleb. Anzi, probabilmente con ancora più agitazione, perché il rischio di trovare un insieme caotico di fogli avrebbe messo a dura prova i miei nervi.

Quando però il contenuto si rivelò di fronte ai miei occhi, lasciai che dal mio corpo si liberasse uno sbuffo di sollievo. Anche Matt era riuscito a stipare una quantità incredibile di materiale, ma, a differenza di Caleb, tutto era perfettamente impilato e ordinato. Sarebbe stato molto più facile individuare qualcosa di sospetto o fuori posto.

«Penso io a questo» mormorai, confermando l'occhiata sbieca che mi aveva rivolto Alex. Avevo la sensazione che volesse guardare nell'armadietto di Caleb forse per ragioni diverse rispetto alle mie, ma ero piuttosto sicura di potermi fidare del suo giudizio, anche se la mia mania di tenere tutto sotto controllo scalpitava per prendere il sopravvento.

Al contrario, mi affrettai ad afferrare il primo quaderno di una lunga lista, sfogliandolo velocemente. Non ci saremmo potuti trattenere in eterno, e non avrei corso il rischio di perdermi troppo su un volume, tralasciando tutto il resto. E quella convinzione si rafforzò quando i miei occhi incrociarono una serie di libri sull'astronomia. Passai mentalmente in rassegna tutti i corsi e i gruppi extra scolastici, ma non trovavo collegamenti con quella materia.

Feci velocemente una foto con l'idea di controllarlo più tardi, e passai al block notes vicino.

Appunti sui corsi extra.

Appunti sui test di Yale.

Appunti in latino.

Strabuzzai gli occhi. Latino? Possibile che fosse una coincidenza?

Mi affrettai a prendere il cellulare per fare una copia di quanto scritto, quando una fotografia sbucò dalle pagine e cadde per terra.

Mi affrettai a raccoglierla, illuminandola con il telefono. Questo era il genere di errori che dovevo evitare, perché non facevano altro che rallentarmi. La afferrai velocemente, quando misi a fuoco i soggetti della foto. Matt era ritratto mentre abbracciava un ragazzo con i capelli castani. Un ragazzo che conoscevo: Philip Reese.

Matt e Philip? Ero rimasta scioccata da quella possibilità, perché mai li avevo visti interagire in pubblico, mentre nella foto sembravano piuttosto intimi.

Un forte senso di colpa mi invase. Non avevamo pensato alle conseguenze delle nostre azioni, e nonostante i nostri buoni propositi sentii che avevamo sconfinato.

Mi affrettai a riporre la fotografia tra le pagine, prima che Alex la vedesse.

«Trovato niente?» mi chiese avvicinandosi. Aveva chiuso l'armadietto di Caleb, segno che anche la sua ricerca era conclusa.

Prima che potessi parlare però, vedemmo una luce guizzare vicino a noi.

Sbarrai gli occhi e sentii Alex imprecare nuovamente, mentre con una manata si affrettò a chiudere l'anta metallica vicino a noi.

Il panico mi travolse come una scarica elettrica che si propagò in tutto il mio corpo, lasciandomi senza fiato. Eravamo a metà del corridoio, circondati da armadietti, e senza stanze per ripararci. E probabilmente il mio cervello stava andando al triplo della velocità per rendersi conto di tutti quegli elementi, ma a me sembrava di non riuscire a ragionare per davvero.

Ero semplicemente immobile, con il cuore che batteva talmente forte da sentirlo risuonare nelle orecchie, ovattando qualsiasi altro suono. Quasi, non sentii neppure le parole di Alex.

«Assecondami, Cassie.» L'espressione tesa, gli occhi chiari che mi trafiggevano senza che in quel momento fossi in grado di nascondermi... Perché notavo quei dettagli come se in realtà volessero dirmi altro? Il mio cervello era completamente vuoto.

Mise una mano sulla mia guancia.

Registrai distrattamente il calore di quel tocco, che bruciò la mia pelle, disegnando il contorno di quel contatto.

I suoi occhi continuavano a trasmettere un messaggio silenzioso ai miei, implorandoli di ascoltare. Un messaggio però che il mio cervello era troppo annebbiato per comprendere.

Ancora prima che potessi avvertire il pericolo di quella vicinanza, ancora prima che riuscissi a realizzarlo, le sue labbra furono sulle mie.

Un bacio morbido. Lento. Deciso.
Un incontro che azzerò i miei pensieri, che corruppe definitivamente la mia lucidità.

Per qualche secondo il mio mondo smise di ruotare. Ogni particella del mio corpo gravitava attorno a quel contatto, come se avessi trovato un nuovo centro.

Sentivo solamente Alex.

Alex e le ciocche dei suoi capelli che mi accarezzavano gli zigomi. Alex e le mani roventi sul mio viso e tra i miei capelli. Le labbra esigenti. Il respiro caldo.

La mia mente registrava i più minimi dettagli, e allo stesso tempo, era completamente assente.
Era una sensazione di pace e di conflitto. Di calma e di agitazione.

Ma stranamente, mi sentivo come se ogni cosa fosse al posto giusto.

Almeno, finché non fui investita dalla luce di una torcia.



_____________________________

Buongiorno ☀️
Alla fine i nostri due disagiati sono riusciti ad avere un bacio, MA (sì, c'è un grande "ma") è stato dettato solamente dalla situazione in cui si sono trovati.

Comunque mi dispiace che i capitoli siano così lunghi ultimamente 😢 fatemi sapere se vi stanno piacendo comunque o se li preferite più corti!

Ps. per scrivere questo capitolo ho guardato quindici video su come aprire un lucchetto senza combinazione, quindi se mi arriva la guardia di finanza a casa, sappiate che vi ho voluto bene! 🚨

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