IGNI

Od Valeroot

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[In riscrittura] Qual è il vostro posto nel mondo? Cassie non ne ha uno. Viene costantemente sballottata da u... Viac

Prima di iniziare
AVVISO
Prologo
1 - La festa (I)
2 - La festa (II)
3 - Comitato di accoglienza
4- La Churchill Accademy (I)
5 - La Churchill Accademy (II)
6 - Incontri (I)
7 - Incontri (II)
8 - Il medaglione
9 - Wenham Lake
10 - Sette shots in paradiso (I)
11 - Sette shots in paradiso (II)
12 - Leggende
13 - Questione di prospettiva
14 - L'invito
15 - I Parker
16 - In maschera (I)
17 - In maschera (II)
18 - Il Sole
19 - Il preside Evans
21 - Blackout
22 - Virgilio
23 - Stevow
24 - Ricerche
25 - I Case
26 - Pessime similitudini
27 - Trick or Treat (I)
28- Trick or Treat (II)
29 - Inferno e Paradiso
30 - I mille volti
31 - Collaborazione
32 - I medaglioni
33 - La calma prima della tempesta
34 - La partita
35 - Rivelazioni (I)
36 - Rivelazioni (II)
37 - Cassie (I)
38 - Cassie (II)
39 - Il piano
40 - L'effrazione (I)
41 - L'effrazione (II)
42 - L'effrazione (III)
43 - Fratellanza (I)
44 - Fratellanza (II)
45 - Robin Hill Road
46 - Wenham Lake (I)
47 - Wenham Lake (II)
Ringraziamenti e avvisi
Alex
Sequel
Extra - Alex
Avviso 🖤

20 - Sogni

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Od Valeroot

ALEX

"Tesoro, puoi farlo per me?"

Uno
Apri la porta, fai cinque passi e gira a destra.

Due

Infilati sotto alla scrivania, tocca la leva e apri il cassetto nascosto.

Tre

Prendi i documenti e chiudi lo scomparto.

Quattro

Avvicinati alla porta laterale, fai scattare la sicura ed esci.

"Tesoro, puoi farlo per me?"


Mi svegliai in un bagno di sudore, con la maglietta completamente appiccicata alla pelle, mentre il cellulare produceva quel fastidioso suono ripetitivo con il quale mi svegliavo ogni giorno.

Era successo di nuovo. La seconda volta in una settimana.

Il sapore metallico del sangue che bagnò la mia lingua, mi fece realizzare che anche quella notte dovevo essermi morso l'interno del labbro per provare a scacciare quelle immagini della mia infanzia e tastando quella porzione di pelle con le dita, trovai l'ennesima ferita fresca ad attendermi. Me ne fregava poco del dolore fisico, ma non potevo andare avanti così.

Frustrato, tolsi la maglietta lasciandola cadere per terra e mi diressi verso la doccia. Aprii il getto freddo e lasciai che la rabbia mi scivolasse addosso insieme all'acqua o, almeno, ci provai.

Per quanto stessi cercando di fingere che fosse solo una coincidenza, non potevo più evitare la verità. Non sapevo cosa fosse scattato dentro di me, ma i sogni o meglio i ricordi erano ricominciati.

Alcune immagini spiacevoli riaffiorarono, mentre la mia mente inconsciamente cercava di rendere meno sbiaditi i contorni di quegli eventi.

Alla festa del Sole, quando avevo visto l'ufficio del sindaco, il mio cervello aveva eliminato qualsiasi forma di pensiero e avevo iniziato ad agire meccanicamente:

Uno
Apri la porta, fai cinque passi e gira a destra.

Due
Infilati sotto alla scrivania, tocca la leva e apri il cassetto nascosto.

Tre
Prendi i documenti e chiudi lo scomparto.

Quattro
Avvicinati alla porta laterale, fai scattare la sicura ed esci.


Mi ero ritrovato nel corridoio con i fogli in mano e senza la benché minima idea di come avessi fatto a prenderli. Erano più di quarantotto ore che cercavo di collegare cosa fosse successo tra il momento in cui avevo raggiunto il piano superiore e il punto in cui mi ero ritrovato con i documenti del Sole in mano. Ma nella mia testa c'era solo un gigantesco vuoto che sembrava prendersi gioco di me.

Perché cazzo non ricordavo nulla?

Mi passai una mano tra i capelli, irritato, mentre aspettavo di conoscere il vincitore della mia lotta interna. Sarebbe stata più forte la necessità di ricordare, o il desiderio di dimenticare tutto?

Trattenni un'imprecazione e mi fiondai fuori dalla doccia, legandomi un asciugamano intorno alla vita.

Lo specchio del bagno restituiva l'immagine di un coglione che non era neppure in grado di rimanere fuori dai guai per più di due giorni. Dovevo andarmene da quella maledetta casa. Non poter giocare a football era un casino. Rimanere chiuso in quelle quattro mura con mio padre era un casino. Dovevo sfogarmi in qualche modo e dovevo trovare qualcosa che mi tenesse impegnato prima che uscissi completamente di testa.

Al momento però, avevo scelto l'unica alternativa che stava peggiorando la mia condizione. Aiutare Cassie con quelle ricerche stava risvegliando dei ricordi che avevo sepolto e che ora cercavano di riaffondare i denti nel presente, ma non potevo permettermi di perdere di nuovo il controllo. C'erano persone che contavano su di me. Non potevo aspettarmi che quell'idiota di mio fratello combinasse qualcosa di buono al posto mio.

Mi vestii in fretta e mi diressi velocemente verso il piano inferiore della casa.

Probabilmente non ero stato abbastanza attento, perché sentendo i miei passi mio padre mi raggiunse in salotto. «Questo weekend starò via di nuovo» mi informò. Come se me ne importasse qualcosa. «Ho una convention a...».

«Ok» lo interruppi, uscendo di casa.

Dio, quanto invidiavo Christian che era già al college e poteva ignorare i casini che aveva lasciato qui. Un anno. Un solo anno e sarei stato libero anche io.

Mi infilai velocemente il casco e mi appiattii sulla moto, prima di sfrecciare in direzione della Churchill Accademy.

***

«Amico, non puoi sparire sempre».

Philip non mi aveva neppure lasciato parcheggiare, prima di iniziare con le sue solite menate. Tolsi il casco e gli feci un cenno con il mento, sperando che tornasse a ignorarmi.

Lui però si avvicinò alla moto. «Ci hai dato buca di nuovo».

Non era una domanda, quindi non risposi. Non capivo perché continuasse a starmi con il fiato sul collo. Avevo lasciato la squadra da un pezzo, ma probabilmente sperava che cambiassi idea e che tornassi dal Coach Russell a chiedere indietro il mio posto. Cosa che, non solo non avevo intenzione di fare, ma che neanche volendo avrei potuto sistemare.

«Dov'eri? Ti abbiamo aspettato per un'ora» riprese, facendo cenno agli altri di incamminarsi verso la palestra.

Coinvolgerlo in quello che io e Cassie stavamo facendo era fuori discussione. Philip era leale. Lo era stato in tutto il casino di Christian. Ma avrei detto lo stesso di un'altra persona e non avevo bisogno di ripensare a tutto quello che era successo per ricordarmi che fidarmi era stata un'idea di merda.

«Avevo da fare» risposi veloce.

Continuai ad ignorare la sua sfilza di domande e mi diressi verso l'aula di filosofia. Quel giorno non ero in vena di tormentare la Davis. Volevo solo riprendere il mio quaderno e quei maledetti dati che ancora non capivo del tutto. Non avevo fatto alcun passo in avanti con il secondo foglio che avevo rubato, quello sui server e i satelliti. Nonostante avessi forzato l'accesso al database di mio padre, non li avevo trovati in alcun registro. Non in quelli a cui potevamo accedere noi, in ogni caso. C'era qualcosa che non andava.

Estrassi il computer per continuare quelle ricerche e lanciai un'occhiata al posto che solitamente occupava Cassie.

Vuoto.

Repressi il fastidio che provavo ogni volta che qualcuno si rimangiava la parola data. Dovevamo vederci per parlare dei documenti del sindaco e ora non si presentava a scuola?

Per il poco che la conoscevo, sembrava fisicamente incapace di comportarsi come avevamo deciso. Se doveva decidere tra due opzioni, avrei messo la mano sul fuoco che avrebbe scelto quella più pericolosa o quella che mi avrebbe irritato di più. Se possibile, entrambe.

Il mio cellulare vibrò, segnalando una sfilza di messaggi da parte di Philip. Due feste, una partita di football e un film di cui non mi poteva interessare di meno. Cancellai tutto. Dove diavolo era finita?

La Davis mise in funzione il proiettore. Bene, una nuova lezione inutile come le precedenti. Ma almeno non sarei stato disturbato mentre ricontrollavo i dati che avevo trovato la sera prima sulle transazioni economiche. Provai a concentrarmi, facendo scorrere i valori e le percentuali. Ero bravo in quello: trovare collegamenti, manipolare le informazioni. Era un gioco che mi avevano insegnato fin troppo presto. Ma per quanto detestassi ammetterlo, il mio sguardo continuava a raggiungere la porta dell'aula.

Non sapevo se mi facesse più incazzare che Cassie non mi avesse neppure avvisato, o il fatto che mi lasciassi infastidire dalla sua assenza. Non l'avevo ancora inquadrata del tutto, ma una cosa l'avevo capita: aveva l'abilità innata di cacciarsi nei guai e io la stavo aiutando a ficcarsi nel casino più grosso di tutti. Soprattutto se c'era Justin coinvolto in quella storia. Dopo la faccenda di Christian, sapevo con che gente aveva a che fare e non era il genere di persone che volevo attorno a lei.

Il fatto poi che mio cugino l'avesse vista e che sapesse il suo nome, mi faceva venir voglia di spaccare qualcosa. Forse per quello avrei dovuto piantarla. Tagliare fuori Cassie probabilmente era la soluzione più semplice, almeno per lei.

Liberai un sospiro, mentre tornavo a osservare le quotazioni che avevo salvato. Dovevo rimanere calmo. Mi rifiutavo di credere che Justin fosse abbastanza furbo da essere risalito a lei. No, se avesse deciso di prendersela con qualcuno sarebbe venuto a cercare me. Ma per quanto continuassi a raccontarmi questa marea di cazzate, sapevo che c'era la possibilità che non andasse così.

Proprio in quel momento, Cassie varcò la soglia della stanza e la mia voglia di spaccare qualcosa si placò almeno per un istante. Si scusò con la professoressa per il ritardo e, dopo aver dato un'occhiata ai banchi il suo sguardo trovò il mio. La sua espressione si fece più dura. Strano, di solito facevo un effetto migliore sulle ragazze.

Raggiunse il fondo della stanza in fretta e puntò un dito della mia direzione, prima di appoggiare la borsa al tavolo di fronte al mio. «Ti odio» sibilò.

Sollevai gli occhi al cielo. Questa invece era una frase che conoscevo bene. Prima che potesse sedersi, mi sporsi nella sua direzione, le afferrai un braccio e la costrinsi ad arretrare. Mi andava bene che mi odiasse, ma non mi sarebbe dispiaciuto scoprire il perché.

«Non hai capito la parte in cui ho chiaramente affermato di odiarti?» bisbigliò, lasciandosi comunque cadere sulla sedia accanto alla mia. Bene, stavamo facendo progressi.

«Forte e chiaro» risposi, abbassando lo schermo del computer. «Ma vorrei sapere perché». E volevo sapere anche il motivo per cui era arrivata con quaranta minuti di ritardo, facendomi valutare l'idea di andare a minacciare mio cugino.

Aveva ancora le braccia incrociate come se stesse cercando di fare l'offesa con il mondo intero, ed era davvero troppo facile farla arrabbiare per starmene zitto. Il lato negativo era che sembrava capacissima di tenere il broncio per ore, invece di spiegarmi che diamine avesse. Fece schioccare la lingua e si guardò attorno per qualche istante. Due ragazze accanto a noi la fissavano apertamente e sapevo quanto odiasse che le nostre conversazioni avessero sempre un pubblico. Dovevo distrarla.

«Reed...» la richiamai. «Cosa succede?».

Tornò a guardarmi come se avessi appena squartato un cucciolo di fronte ai suoi occhi, ma non sembrava intenzionata a rispondere. Mi passai una mano sul viso. Dio, mi avrebbe fatto impazzire. Cosa sperava che facessi? Che imparassi a leggere nel pensiero?

Avevo una mezza idea di trascinarla fuori da quella lezione, ma lasciai perdere ancora prima di vedere le luci della stanza spegnersi. Ero sicuro che fosse una di quelle secchione che si sarebbero attaccate al banco pur di non prendere un'assenza.

«Reed, dammi una mano» la pregai esasperato.

«Bene» sussurrò con tono polemico. Ma il fatto che avesse risposto mi sembrava già una vittoria e mi rilassai sulla sedia. «Da domani, grazie al preside Evans, non solo farò parte delle cheerleader, ma inizierò anche uno stage alle industrie Case, visto che qualcuno mi ha suggerito di inserire informatica tra i possibili corsi extra e...». Camuffai una risata con un colpo di tosse, abbassando la testa, ma lei la notò ugualmente. «Oh, ti prego, almeno non ridere» mi disse insofferente, cercando di allontanarmi con una spinta.

Era più forte di me. Mi stropicciai gli occhi, ridacchiando piano. «E sei così arrabbiata per questo?» le chiesi. Quella ragazza sembrava geneticamente predisposta per farmi uscire di testa.

Lei mi schioccò le dita di fronte al viso. «Cheerleader, Case! Cheerleader e informatica! Esiste una combinazione peggiore?» si lamentò, prima di infilare le mani tra i capelli.

C'erano un sacco di cose peggiori, ma prima di beccarmi un pugno perché la stavo immaginando con un completino da cheerleader, tornai ad alzare lo schermo del computer.

«Almeno non dovrò spiegarti i calcoli che ho fatto».

La sentii sbuffare, mentre inserivo la password per sbloccare l'utenza. «È da ieri sera che voglio sapere cosa hai scoperto, quindi, se credi che aspetterò anche solo un giorno in più sei pazzo» mi disse risoluta, appoggiando i gomiti sul mio banco.

Ogni volta che cercava di apparire ferma e irremovibile socchiudeva un po' gli occhi e assottigliava le labbra. Probabilmente credeva che fosse una tecnica efficace per convincere l'interlocutore, ma sembrava semplicemente una bambina che metteva il broncio.

Sorrisi e spostai leggermente il portatile nella sua direzione. Mentre si avvicinava per leggere, questa volta fui il mio turno di osservare i nostri compagni di classe. Un conto era fregarmene se quelle del primo anno ci fissavano troppo, un altro era rischiare che qualcuno scoprisse cosa stavamo facendo.

Il coglione che giocava a basket era in seconda fila, stravaccato sulla sedia, mentre Caleb Evans ogni tanto si voltava nella nostra direzione. Evidentemente era preoccupato che avessi messo le mani sulla sua prossima conquista, ma il fatto che la guardasse come se fosse di sua proprietà mi faceva venir voglia di nasconderla dietro di me.

«Allora?» Cassie richiamò la mia attenzione. Poi tornò a rivolgersi in direzione del computer. «Non capisco nulla di questa roba» mormorò, mordicchiando il pollice nervosa.

Seguii con gli occhi la curva del suo naso e arrivai alle labbra ancora arricciate in una smorfia irritata. Errore. Maledettissimo errore. Dovevo ricordarmi che non potevo fare come al solito. Cassie non mi piaceva in quel senso. Avevamo un patto, questo era l'unico motivo del mio interesse. Non dovevo incasinare tutto, ci stavamo solo usando a vicenda. All'improvviso però mi sembrava di avere i nervi a fior di pelle.

«Sono aziende» spiegai in tono piatto. Con le nocche picchiettai lo schermo, indicandole alcune percentuali. Anche senza guardarla, sapevo che sarebbe stata ancora più arrabbiata di prima per le mie pessime spiegazioni.

«Case...» si lamentò lei.

Sorrisi e mi avvicinai allo schermo. «Bene Reed, ti farò un riassunto degno delle tue facoltà mentali» la presi in giro. Detestava quando mi comportavo così e l'occhiata che sapevo mi avrebbe scoccato non si fece attendere. «Di fatto, questi numeri sono il riepilogo di movimenti partiti dalla sede di New York di un'azienda chiamata "il Sole". Una delle sue maggiori attività è la gestione di immobili e alberghi in gran parte delle località turistiche americane più famose, dalla California a New York stessa. Il che non mi ha portato a nulla».

Sollevai lo sguardo per vedere se mi seguiva. Stavo facendo quello che mi riusciva meglio: muovermi tra numeri, calcoli e analisi. Lei però osservava attenta le mie mani che le indicavano i vari dati, quindi potevo sperare di non dover ripetere tutto più volte.

«Non trovavo nessun collegamento con Danvers finché non ho scoperto che il maggior azionista non è altro che il nostro caro sindaco, il figlio della signora Smith». Premetti un pulsante per cambiare pagina. «Tramite "il Sole", Smith controlla uno spaventoso numero di aziende collegate che non so neppure di cosa si occupino» conclusi, tornando a guardarla.

Cassie mi fissò per qualche istante mordicchiandosi il labbro inferiore, totalmente spaesata. «Cosa significa tutto questo?» mi chiese alla fine.

Non avevo una risposta pronta. La realtà era che stavamo trovando un mucchio di informazioni senza avere idea di come fossero incastrate tra di loro.

Repressi l'istinto di parlarle dei miei sogni e di come ero davvero entrato in possesso di quei documenti. Se avesse scoperto che le stavo nascondendo un collegamento con quella faccenda si sarebbe arrabbiata, ma parlare della mia infanzia con lei era fuori discussione.

Scrollai le spalle. «Non lo so ancora, ma vorrei dare un'occhiata alla documentazione di mio padre sugli Smith, a questo punto».

Il suo volto si fece improvvisamente preoccupato. «A proposito, hai un consiglio per domani?».

Era seriamente nervosa per il tirocinio con mio padre? Non mi andava di parlare di lui, quindi risposi frettolosamente: «Arriva puntuale».

La campanella suonò all'improvviso, facendola sobbalzare. La luce si accese in tempo perché riuscissi a vederla mentre si premeva una mano sul cuore. Lo faceva spesso: se qualcosa la interessava, si estraniava completamente dal mondo. Era un comportamento pericoloso nella maggioranza dei casi ed era una tipologia di ingenuità che di solito m'irritava, ma abbozzai un sorrisino.

«Quindi adesso cosa facciamo?» mi chiese, massaggiandosi il collo e socchiudendo gli occhi. Aveva di nuovo l'aria di una che non aveva dormito molto. Non doveva importarmi di quello che succedeva nella sua vita, ma mi ritrovai a chiedermi perché sembrasse sempre così stanca.

Tornai a riflettere sulla sua domanda. Cosa fare con queste informazioni? Avevo un paio di idee, ma prima che potessi rispondere Caleb Evans si sporse sul suo tavolo.

«Ehi Cassie, mi devi una serata da Roby» disse piazzando le mani sul banco come se volesse marcare il territorio.

Patetico. Quel coglione non si era neanche reso conto che Cassie diventava di ghiaccio ogni volta che qualcuno le si avvicinava troppo. La vidi sorridere nervosa, ma poi il suo volto diventò impassibile. Per la prima volta da quando era piombata nella mia cucina, mi accorsi che stava mentendo.

«Certo, organizzeremo» rispose vaga.

Repressi l'impulso di scoppiare a ridere. Caleb Evans aveva più possibilità di diventare capitano della squadra di football, che di uscire con lei. E la squadra era ancora mia, che giocassi o meno.

«Se non vuoi andare da Roby, possiamo anche scegliere un altro posto» insistette lui.

Azzardai un'occhiata alla mia destra. Cassie sembrava a disagio. Rispose con un sorriso gelido, ma balbettò qualcosa sul fatto che ne avrebbe parlato con Alice. In quel momento, mi resi conto che stavo valutando l'idea di spedire Evans fuori da quella stanza a calci.

«Non so, magari potremmo andare a mangiare qualcosa prima...» riprese lui.

«Basta che non la porti al Blackout» lo interruppi.

Caleb si voltò verso di me. «Cos'hai detto?». Le sue orecchie si tinsero di rosso, un chiaro segno che lo stavo facendo innervosire.

«Ho detto» ripetei, sporgendomi sul tavolo per fargli capire che non ero io il vigliacco tra noi due, «basta che non la porti al Blackout.»

Mi guardò per qualche secondo come se non sapesse cosa dire, e quella reazione fece solo crescere un sorriso compiaciuto tra le mie labbra. Evans si aspettava davvero che non avrei saputo della sua recente visita in quel posto? Se non lo avessi visto con i miei occhi, lo avrei comunque scoperto.

«Ci sono finito per caso» rispose lui con tono piatto.

Prima che potessi ribattere, Cassie interruppe il nostro scambio. «È suonata la campanella, ragazzi» disse aggiustandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Torniamo in classe, dai.»

Evitai di guardarla e afferrai lo zaino. Tutta quella faccenda era una pessima idea. Lasciare che mi aiutasse quando era così vicina agli Evans era stato un errore. Mi diressi verso la porta d'emergenza e presi il pacchetto di sigarette dalla tasca, accendendone una. Avrei saltato la lezione di Grossman, ma non mi interessava. A malapena sapeva quali fossero gli studenti che frequentavano il suo corso di storia.

Inspirai una boccata di fumo, mentre riflettevo sulle parole di Caleb. Sapevamo tutti il tipo di attività che si svolgevano in quel locale, soprattutto noi due. Mi aveva refilato l'ennesima stronzata, perché c'era una sola verità: nessuno finiva al Blackout per caso.

Pokračovať v čítaní

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