IGNI

By Valeroot

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[In riscrittura] Qual è il vostro posto nel mondo? Cassie non ne ha uno. Viene costantemente sballottata da u... More

Prima di iniziare
AVVISO
Prologo
1 - La festa (I)
2 - La festa (II)
3 - Comitato di accoglienza
4- La Churchill Accademy (I)
5 - La Churchill Accademy (II)
6 - Incontri (I)
7 - Incontri (II)
8 - Il medaglione
9 - Wenham Lake
11 - Sette shots in paradiso (II)
12 - Leggende
13 - Questione di prospettiva
14 - L'invito
15 - I Parker
16 - In maschera (I)
17 - In maschera (II)
18 - Il Sole
19 - Il preside Evans
20 - Sogni
21 - Blackout
22 - Virgilio
23 - Stevow
24 - Ricerche
25 - I Case
26 - Pessime similitudini
27 - Trick or Treat (I)
28- Trick or Treat (II)
29 - Inferno e Paradiso
30 - I mille volti
31 - Collaborazione
32 - I medaglioni
33 - La calma prima della tempesta
34 - La partita
35 - Rivelazioni (I)
36 - Rivelazioni (II)
37 - Cassie (I)
38 - Cassie (II)
39 - Il piano
40 - L'effrazione (I)
41 - L'effrazione (II)
42 - L'effrazione (III)
43 - Fratellanza (I)
44 - Fratellanza (II)
45 - Robin Hill Road
46 - Wenham Lake (I)
47 - Wenham Lake (II)
Ringraziamenti e avvisi
Alex
Sequel
Extra - Alex
Avviso 🖤

10 - Sette shots in paradiso (I)

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By Valeroot

«Toga, toga, toga!». 

Sentimmo l'ululato di Dean alle nostre spalle, ancor prima di percepirne il corpo schiantarsi sulla nostra schiena.

Impattò con poca grazia su di noi, avvolgendo le nostre spalle e rischiando di farci cadere, o peggio, di strappare quella sorta di lenzuoli che erano avvolti attorno ai nostri corpi.

«Ti sembra il caso?» urlò Alice, cercando di scrollarselo di dosso con un passo rapido e totalmente inutile.

Dean rise sguaiatamente, riacciuffandola con una mano e stringendoci di più al suo petto per proteggerci dal vento che ci tirava i capelli e graffiava i nostri volti.

Rabbrividii sotto al clima umido e piovoso che aveva avvolto Danvers negli ultimi giorni, portando nell'aria quell'odore di terra e di erba bagnata, che aleggiava in tutta la scuola a causa dei campi che circondavano la città.

Stavamo percorrendo il sentiero che portava a quella costruzione in vetro della Churchill Accademy, che non sapevo bene cosa fosse. La chiamavano "la serra", e ciò era bastato a far crollare qualsiasi attrattiva potesse esercitare su di me. Dall'esterno sembrava un laboratorio ultramoderno, ma non avevo mai avuto occasione di avventurarmi in quell'ala della proprietà e verificare la mia teoria.

Mi guardai attorno, osservando i pochi studenti che come noi erano schifosamente in ritardo per l'evento della serata: la festa d'inaugurazione dell'anno accademico. Il comitato studentesco aveva deciso che quest'anno avremmo celebrato uno dei migliori film degli anni settanta, obbligandoci a vestirci con una toga romana come in Animal House. Probabilmente, se avessi saputo prima di questo dettaglio, non avrei lasciato che Caleb mi convincesse a partecipare, ma adesso mi trovavo lì, a tremare sotto a quelle nuvole scure che minacciavano un temporale imminente, trascinata dall'entusiasmo dei miei amici.

«Muovetevi, che siamo sempre gli ultimi» ci intimò Dean, utilizzando le sue gambe lunghe per trascinarci lungo il ciottolato bianco, che riluceva sotto ai neon dei lampioni collocati fino alla sommità della collinetta.

Fui grata in quel momento, di indossare un paio di scarpe basse e un semplice vestitino bianco, che mi lasciava ampio spazio di manovra. Alice al contrario sembrava una dea nel suo lungo abito intrecciato, accompagnato da tacchi talmente vertiginosi da far sì che il suo viso riuscisse finalmente a sfiorare la spalla di Dean. E proprio per quel dettaglio, non faceva altro che arrancare accanto a noi.

«Un'ora» ci ammonì sollevando l'indice destro, mentre l'altra mano si affannava per sostenere l'ingombrante strascico. «Vi do un'ora e poi io me ne vado al Wenham Lake a guardare Notthing Hill nella vasca idromassaggio.»

Sapevo che quella minaccia non fosse rivolta a me, ma lo sguardo furbo di Dean non sembrava presagire nulla di buono.

«E io ti do mezz'ora, invece, e poi vengo a rapirti» ribatté il ragazzo.

Alice lo guardò con aria confusa, ma sotto sotto c'era uno scintillio nei suoi occhi che mi faceva capire che qualsiasi cosa Dean avesse proposto, lei lo avrebbe seguito senza remore.

«Vedrai» disse lui, staccandosi da noi e facendole l'occhiolino.

Dubitavo che uno dei due facesse caso alla mia presenza, così semplicemente scivolai tra alcuni nostri compagni di classe, mentre loro erano ancora impegnati a osservarsi come se fossero le uniche due persone presenti in quel prato. Una parte di me li invidiava: mi sembravano quelle classiche coppie che tutti immaginavano a settant'anni con quattro figli e una mezza dozzina di nipoti. Solo che loro erano ancora troppo immaturi per rendersene conto.

Tornai a guardare di fronte a me. Ogni volta che la porta della serra veniva aperta, un rumore ritmato ma tutto sommato contenuto rimbalzava fino a noi, e istintivamente finii per accordarmi ad altre persone, ad altri lenzuoli e ad altre coroncine oro, seguendo quel tunnel di aria calda che accarezzava delicatamente la mia pelle, fino a quando mi avvolse come una rassicurante coperta.

Mi trovavo su una sorta di passerella rialzata, con alti corrimani in acciaio che impedivano la caduta, ma permettevano di osservare l'ambiente attorno a noi. La serra in effetti era esattamente ciò che il suo nome suggeriva: una giungla vagamente ordinata di piante di diverse tonalità di verde, che rilucevano sotto allo spettro delle luci blu e rosse, che probabilmente servivano a riscaldarle o a farle crescere più velocemente.

Ogni quadratino di erba era sapientemente catalogato con una targhetta e un codice di rilevamento, ma dalla mia prospettiva non riuscivo a leggere praticamente nulla, visto che eravamo troppo in alto.

Mi accorsi dopo pochi passi che la passerella però non terminava affatto al piano inferiore di quella struttura. Le scale che conducevano all'accesso del piano interrato erano bloccate da un nastro bianco e rosso, mentre alcune frecce ci invitavano a scendere un po' più avanti, in uno spazio ibrido lasciato totalmente vuoto. Gli organizzatori della festa dovevano aver pensato che fosse più sicuro tenere quella mandria di studenti in un luogo dove non potessero rompere praticamente nulla e, vedendo il numero di persone stipate in quella sala, non potevo che essere d'accordo con loro.

Rimasi per un po' a ciondolare lungo quel balconcino che si affacciava sulla festa, osservandomi attorno. C'erano tutti: Matt impegnato in una discussione con la professoressa Davis, Philip che stava intrattenendo metà corpo delle cheerleader con qualche idiozia per la quale si gettava a terra ogni due secondi e persino Caleb, che era solito saltare metà degli eventi scolastici e probabilmente anche metà delle lezioni, dal momento che il preside era suo nonno.

Fu proprio lui a farmi cenno di raggiungerlo. Si scostò dall'insistenza di Jessica, la mia vicina di banco che aveva palesemente una cotta per lui, e mi raggiunse alla base di quelle scale infinite.

«Ce l'hai fatta» si rallegrò, regalandomi un sorriso esuberante. Caleb era sempre esageratamente felice quando assecondavo le sue idee. «Non ero sicura che saresti arrivata indenne, sai, con la guida di Alice.»

Soffocai una risatina, ma fui costretta ad ammettere la verità: «Ci ha portate Dean.»

Lo sbuffo che emise mi diede l'impressione che non fosse affatto sorpreso delle mie parole. Sollevò le spalle, roteando in maniera plateale gli occhi. «Tipico di mia cugina, sottomettere tutta la mia schiera di amici.»

Evitai di replicare, ma il mio sguardo parlava per me: sapevamo entrambi che, di fatto, era solo Dean ad assecondarla senza mezzi termini.

«Allora, stasera...» iniziai, facendo la vaga. Da quando Caleb aveva citato la possibilità di andare al Wenham Lake per una gita avevo messo da parte il mio solito disinteresse nei confronti dei posti dove James mi portava e avevo passato il pomeriggio a documentarmi su Danvers.

Prima del mio trasferimento non sapevo quasi nulla della città. Avevo visto solamente alcune foto in internet e mi ero lagnata per la maggior parte del tempo. Dopo i racconti di Caleb, però, mi ero decisa a documentarmi di più. Il mio interesse principale era legato ai luoghi panoramici che circondavano il lago e credevo anche di non trovare chissà quali informazioni: vivevo in una cittadina di poco meno di ventimila abitanti, dopotutto! Invece, mi ero accorta ben presto che Danvers possedesse più fascino di quanto non pensassi.

Era stata la sede del processo alle streghe di Salem, proprio come Caleb mi aveva già accennato, ma non immaginavo che ci fossero così tante storie legate a quel posto: si passava da leggende sui tesori dei coloni inglesi a racconti del terrore sui riti che venivano eseguiti all'interno della foresta. Alla fine, avevo quindi passato gran parte della giornata a leggere. Erano i maledetti geni Reed a non permettermi di dosare la mia curiosità. Proprio come James, sembravo incapace di pormi un limite.

«Cos'è? Vuoi già scappare?».

La domanda di Caleb mi fece tornare al presente. Le immagini di freddi boschi e paesaggi avvolti nella nebbia vorticarono velocemente fuori dalla mia mente, e tornai a mettere a fuoco la sala elegantemente decorata della Churchill Accademy.

L'ambiente si era riempito: i professori erano stati cacciati in fondo alla sala, dove controllavano attentamente che, tra le bibite appoggiate lungo il tavolo, non fosse apparso magicamente qualcosa di più alcolico di un collutorio, mentre sul piccolo palco vicino il comitato studentesco stava ancora costringendo i più temerari a partecipare al loro karaoke.

Caleb aveva frainteso, non volevo affatto scappare. Quello infatti era esattamente ciò di cui avevo bisogno: persone tra cui mimetizzarmi per evitare di pensare troppo, come mio solito. Mi ritrovai quindi a scuotere la testa. «Sono esattamente dove dovrei essere» confermai.

Lo vidi sollevare le labbra in segno di compiacimento. Stava tentando di aggiungere qualcosa, quando Alice si piantò accanto a noi. «Veramente non dovreste affatto trovarvi qui» replicò.

Io e Caleb ci guardammo con fare interrogativo, ma prima che potessimo chiedere spiegazioni, lei aveva già iniziato a camminare, facendoci segno di seguirla.

«Vediamo di movimentare la serata» dichiarò, facendo un vistoso occhiolino a Philip, che prontamente si accodò al nostro gruppo, passando una bottiglia vuota ad Alice e chiedendo a Caleb di reggerne altre due piene fino all'orlo.

Quello era il modo migliore per farsi sospendere. Il più rapido, per altro, perché se ci avessero beccati a introdurre alcolici in quella scuola, non sarebbe bastata l'intera università di Boston a salvare la mia testa. Non volevo neppure immaginare la faccia di mio padre, se qualcuno avesse interrotto il suo seminario sulle civiltà hawaiane per riferirgli che proprio la sua irreprensibile figlia era riuscita a cacciarsi nei guai. Ma prima che potessi obiettare, uno dei pannelli che bloccavano il corridoio si mosse, rivelando Dean che ci sorrideva con aria arrogante.

«La Davis è occupata a chiacchierare con Webb» disse facendo un cenno del capo. «Venite.»

Alice e Caleb si mossero ancora prima di Philip, scivolando nel passaggio buio che doveva condurre nei pressi della palestra, o verso gli uffici sportivi forse. Non ero ancora in grado di orientarmi bene in quel posto. Azzardai un'occhiata alle mie spalle, per essere sicura di non essere vista e, quando mi resi conto che il professor Webb in realtà non si trovava assolutamente con la Davis, mi affrettai a seguirli, sperando di non essere beccata proprio da quest'ultimo.

Il pannello alle mie spalle fu riposizionato velocemente, facendo calare il buio più assoluto attorno a noi. Sbattei insistentemente gli occhi, mentre Philip tentava di illuminare con la luce tremolante del telefono una striscia di gradini che portava verso il basso. Forse quello sarebbe stato il momento giusto per chiedere ad Alice cosa avesse in mente, tuttavia sembrava troppo impegnata a battibeccare con Dean a proposito del vestito di lei, per prestare attenzione a qualcosa di diverso.

Mi accordai al gruppetto, mentre il silenzio veniva tagliato solamente dalle risatine di Philip, che non sembrava in grado di scendere quelle poche scale senza barcollare. Qualcosa mi diceva infatti, che quella in suo possesso non fosse la prima bottiglia che si scolava. E mentalmente ringraziai che la piscina della Churchill Accademy si trovasse in un'altra struttura, ben distante dal corridoio che avevamo appena raggiunto.

Era buio e vuoto, così come lo erano tutte le stanze che si affacciavano su quel passaggio, e quel dettaglio mi diede l'assoluta conferma che nessuno di noi si sarebbe mai dovuto trovare in quel posto. Solo un fioco riflesso s'irradiava da sotto una porta alla nostra destra e feci appena in tempo a capire che dovevamo aver raggiunto la nostra destinazione, che l'ingresso si spalancò.

Impiegai poco a capire cosa stesse accadendo in quella stanza. Quella doveva essere la vera festa, perché adesso c'erano davvero tutti: dai giocatori di football, alla squadra di basket. Persino Jessica, la mia compagna di banco a chimica, aveva un voluminoso bicchiere tra le mani e... Beh, ovviamente, c'era anche Alexander Case. 

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