IGNI

By Valeroot

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[In riscrittura] Qual è il vostro posto nel mondo? Cassie non ne ha uno. Viene costantemente sballottata da u... More

Prima di iniziare
AVVISO
Prologo
1 - La festa (I)
2 - La festa (II)
3 - Comitato di accoglienza
4- La Churchill Accademy (I)
5 - La Churchill Accademy (II)
6 - Incontri (I)
7 - Incontri (II)
9 - Wenham Lake
10 - Sette shots in paradiso (I)
11 - Sette shots in paradiso (II)
12 - Leggende
13 - Questione di prospettiva
14 - L'invito
15 - I Parker
16 - In maschera (I)
17 - In maschera (II)
18 - Il Sole
19 - Il preside Evans
20 - Sogni
21 - Blackout
22 - Virgilio
23 - Stevow
24 - Ricerche
25 - I Case
26 - Pessime similitudini
27 - Trick or Treat (I)
28- Trick or Treat (II)
29 - Inferno e Paradiso
30 - I mille volti
31 - Collaborazione
32 - I medaglioni
33 - La calma prima della tempesta
34 - La partita
35 - Rivelazioni (I)
36 - Rivelazioni (II)
37 - Cassie (I)
38 - Cassie (II)
39 - Il piano
40 - L'effrazione (I)
41 - L'effrazione (II)
42 - L'effrazione (III)
43 - Fratellanza (I)
44 - Fratellanza (II)
45 - Robin Hill Road
46 - Wenham Lake (I)
47 - Wenham Lake (II)
Ringraziamenti e avvisi
Alex
Sequel
Extra - Alex
Avviso 🖤

8 - Il medaglione

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By Valeroot

Avevo deciso di meritare una pausa. Da Danvers, dalla scuola, dai problemi. Ma non dai medaglioni.

Per tale ragione avevo passato un intero giorno così: con le mani piantate sul portatile, in pigiama e pantofole con il pelo, avvolta nella coperta di lana come se fossi un burrito rosa. La febbre era salita e a causa del naso tappato la mia voce si era fatta fastidiosa, almeno quanto quella della signora Smith, la vicina di casa invasata per la pasticceria.

Ciò però non mi aveva fermata dal passare innumerevoli ore facendo ricerche sui medaglioni che io e Alex condividevamo. Il mio piano era semplice: sapevo che l'unico modo per togliermi dalla testa quella strana coincidenza era trovare una spiegazione logica. Papà mi aveva insegnato che le nostre paure possono essere superate con una buona dose di razionalità. E forse "paura" non era la parola più adatta, da accostare al pensiero di mia madre, ma il carico emotivo che il suo ricordo portava con sé, mi faceva temere che, anche da lontano, riuscisse a intaccare l'equilibrio precario costruito nel corso degli anni.

Così avevo deciso di fare ciò che mi riusciva meglio: essere una puntigliosa rompipalle. Avevo fatto passare ad uno ad uno tutti i siti proposti dal motore di ricerca, segnando ordinatamente su un block notes tutte le informazioni che trovavo. Nella pratica, però, non era stato poi così semplice. Certo, avevo scoperto abbastanza velocemente che Igni significasse "fuoco" in latino ma, a parte questo, la maggior parte dei link che avevo trovato rimandavano solo a videogiochi online, o a telefilm ambientati nel medioevo: niente di utile, insomma.

Avevo comunque raccolto una serie di informazioni interessanti, anche se non erano particolarmente attinenti con le mie ricerche. Intorno al millecinquecento, ad esempio, era una prassi comune imprimere il simbolo degli elementi, come il triangolo a rappresentazione del fuoco, per creare una sorta di amuleto. L'impressione che avevo avuto in primo luogo – che quei medaglioni fossero davvero antichi – sembrava quindi confermata e fu con un enorme sollievo che mi rallegrai di non aver gettato il mio nella pattumiera. In ogni caso, ero consapevole che le nostre famiglie potevano esserne venute in possesso casualmente, magari acquistando pezzi simili a qualche fiera a tema.

Coincidenze. James non aveva mai creduto alla casualità degli eventi. Forse per il suo lavoro, forse perché era un inguaribile sognatore, ma mi aveva sempre cresciuta ricordandomi che al mondo c'erano forze a noi sconosciute, che governavano ogni cosa. Probabilmente, la sua era solo una scusa che si raccontava per non ammettere che non avesse voglia di impegnarsi troppo in un luogo, in una persona, in qualcuno diverso da Elizabeth. Ma una parte di me aveva finito per credere a quelle sciocchezze.

Mordicchiai la sommità della penna che stringevo tra le dita, mentre mi concentravo per ritornare alla conversazione avuta con Alex. Avevo parlato io per la maggior parte del tempo, anzi, avevo praticamente balbettato informazioni a caso, per una manciata di minuti, incapace di stare zitta. Tuttavia, mentre ripercorrevo le varie battute che ci eravamo scambiati, un dettaglio tornò alla mia mente.

"Anche nel tuo caso, apparteneva a tua madre?"

L'aveva detto davvero? I miei ricordi erano stati indubbiamente intaccati da quella specie di smarrimento che avevo provato, ma in quel frangente, mi sembrò quasi di sentire quel timbro basso e deciso rimbombarmi nelle orecchie, con quella sicurezza, anche nel porre domande, che solo le persone con un'estrema fiducia in se stesse potevano avere. Quelle abituate a non essere mai contraddette.

Sì, ero piuttosto sicura che avesse utilizzato esattamente quelle parole. Quindi c'erano buone possibilità che anche a lui fosse stato regalato da sua madre. La coincidenza che si era venuta a creare era quantomeno sospetta, o così mi sembrava dopo due lunghi giorni a casa da sola, sotto farmaci, e immersa in leggende medievali.

Avevo la sensazione di trovarmi su una sorta di filo. Da una parte c'era la logica, la mia razionalità, che mi diceva di non dar per scontato che dietro a quella coincidenza ci fosse qualcosa di più, mentre dall'altra lo spirito avventuriero ereditato da James stava già creando una montagna di castelli.

Non sapevo da che parte sarei caduta, ma c'era qualcuno che magari si sentiva in bilico proprio come me. Guardai l'orologio che avevo al polso. Forse, se mi fossi mossa subito, sarei riuscita ad arrivare in tempo per la lezione delle dieci. E prima di decidere razionalmente cosa fare, istintivamente afferrai le chiavi della macchina di James.

***

«Luce dei miei occhi, stai bene?».

Dean saltellò ripetutamente sul posto, mentre mi affiancava sul vialetto che portava al padiglione nord, quello dedicato alle lezioni umanistiche. Credo che lo stesse facendo per evitare di interrompere la sua corsa e, solo in quel momento, notai che portava dei pantaloncini della squadra di football e una maglietta talmente scollata ai lati, da farlo sembrare praticamente a torso nudo.

Rabbrividii all'istante, abbracciandomi il busto per scaldarmi. Nel pittoresco Stato del Massachusetts, quella mattina le temperature sfioravano appena i quindici gradi e una brezza pungente increspava la superficie del vicino stagno.

«Meglio, grazie» confermai, sistemandomi il maglione e riprendendo a camminare verso l'aula di filosofia.

Dean mi seguì e sentii i suoi passi rimbalzare sul ciottolato, accanto ai miei. «Allora forse Philip potrà sopravvivere» mormorò allegro, ridendo da solo e spostando i riccioli biondi che continuavano a scivolare dalla bandana che teneva legata in fronte.

Rallentai, rivolgendogli un'occhiata confusa. Perché Philip temeva per la sua vita? Non mi sembrava di averlo minacciato eccessivamente. Avevo spinto la sua testa sott'acqua solo per qualche istante e poi non avevamo neppure più parlato. Beh, forse era proprio quello il problema: non eravamo amici, ma in fondo poteva pensare che fossi ancora arrabbiata con lui. In ogni caso, Dean non sembrava intenzionato a fornirmi alcuna spiegazione.

Rimasi per un po' a ragionarci, anche mentre salivo i gradini in pietra che portavano al corridoio impressionista. Non che quello fosse il suo vero nome: era un semplice passaggio decorato con una serie di opere di puntinismo che, mi auguravo, fossero mere riproduzioni su carta. Non potevo infatti pensare che alla Churchill Accademy facessero scorrazzare mandrie di studenti con caffè e yogurt d'asporto, accanto a quadri della seconda metà dell'ottocento.

Era lì che avrei frequentato la lezione di filosofia, l'unica materia che mi era stata imposta al solo scopo di accrescere gli studenti assegnati alla signorina Davis.

Non avevo impiegato molto a capire perché la scuola incentivasse la frequenza di quel corso. La Davis non era male, cercava di sviluppare una sorta di discussione informale e poteva solo essere apprezzata per i suoi sforzi. Il problema principale, però, era che faticava sia a mantenere l'attenzione degli studenti, sia a gestire le polemiche che naturalmente sorgevano in una classe di studenti ipercompetitivi. In sostanza, mi faceva solamente una grande tenerezza e per quello mi sforzavo di intervenire, di tanto in tanto.

Superai quell'accozzaglia di sedie disposte a semicerchio, di fronte al piccolo palco che ci dividevamo con il club di teatro. Sull'unica lavagna a fogli mobili, erano state riportate le classiche domande esistenziali.

Chi siamo?

Da dove veniamo?

Dove andiamo?

"A casa" avrei voluto rispondere, ma prima che fossi in grado di fare dietrofront, un gruppetto di ragazzi urlanti si materializzò alle mie spalle.

Mi unii a quello strano circolo degli alcolisti anonimi, avviandomi verso l'ultima fila. James avrebbe definito quella situazione come l'evidente manifestazione di un professore un po' troppo hippie, e istintivamente finii per osservare il cellulare in attesa di una sua chiamata.

Mio padre ci stava provando davvero: erano due giorni che mi mandava foto di vasi intagliati in argilla rossa e terrecotte dai disegni improbabili. Mi aveva persino scritto la buonanotte, proprio come aveva promesso, e aveva finito per ricordarmi addirittura di prendere un integratore. Non sapevo quale fosse la ragione di quel cambiamento e, ripensando all'incontro con Lauren, realizzai che forse non volevo neppure scoprirlo.

Mentre scacciavo quei pensieri, finii per accomodarmi in uno degli ultimi posti, proprio a lato della stanza. Avevo saltato un paio di lezioni a causa della febbre e, nonostante fossimo all'inizio della scuola, non mi andava di mettere in mostra le mie lacune. Sollevai la tavoletta agganciata al bracciolo, e appoggiai sopra i miei libri, mentre la classe si animava grazie all'arrivo della squadra di football.

Impiegai poco a individuarlo. Una sedia trascinata sul pavimento, a un paio di posti da me, mi fece alzare gli occhi dal libro che stavo pigramente osservando. Alex stava prendendo posto con svogliata lentezza a qualche banco di distanza, una mano infilata tra il collo e la nuca e lo sguardo piantato sul pavimento. Proprio come Dean, indossava una maglietta nera a mezze maniche, totalmente incurante delle basse temperature. Evidentemente, era un requisito fondamentale per i Falchi, non provare minimamente freddo.

In quel frangente, realizzai di non sentirmi neppure in colpa per avere ancora la sua felpa nella cesta dei vestiti sporchi e mi ritrovai a fissare la sua ampia schiena, in attesa di un suo cenno. Credevo che mi avrebbe salutata, o che avrebbe cercato di riprendere il discorso, dopo ciò che era accaduto fuori dalla mensa. Eppure, non sembrava nemmeno che avesse notato la mia presenza. Non si stava guardando attorno e stava volontariamente ignorando un paio di ragazzi di fronte a lui, che stavano facendo ciondolare la sedia per sporgersi nella sua direzione, citando una qualche partita di football dei quali erano esageratamente entusiasti.

Anche in mensa aveva fatto così: i suoi amici parlavano e lui non sembrava neppure sforzarsi per ascoltarli. A quel punto, mi chiesi perché quei ragazzi insistessero per renderlo partecipe dei loro discorsi, quando era evidente che nel novanta percento dei casi non ascoltasse nessuno.

Scossi la testa e tornai ai miei appunti, ma non arrivai neppure alla seconda riga che una voce mi richiamò.

«Ciao.»

Philip si era piantato di fronte al mio tavolo, ma con mio grande sollievo si limitò ad appoggiare una gamba alla sedia, senza essere intenzionato a prendere posto vicino a me.

«Ciao» risposi un po' incerta.

Nonostante mi avesse rivolto un sorriso un po' nervoso, finii per allontanarmi lievemente dal tavolo. Ero appena rientrata a scuola dopo il suo meraviglioso scherzo nella piscina dei Case e passare del tempo con lui non mi rendeva esattamente entusiasta

Lo vidi grattarsi il mento con fare pensieroso, come se fosse indeciso su qualcosa. «Senti, volevo dirti che mi dispiace per l'altra sera. Sai, il tuffo in piscina.» Fece un movimento confuso con la mano, come a non voler aggiungere altro, tanto sapeva che avevo già capito.

Oh. Strabuzzai gli occhi. Io e Philip non eravamo esattamente amici, ma apprezzavo il suo tentativo di scusarsi. Credo che anche lui avesse intuito la mia sorpresa, perché si guardò attorno un po' a disagio, come se non vedesse l'ora di andarsene. Anzi, a osservarlo meglio in effetti, non sembrava particolarmente convinto.

«Uhm, tranquillo» risposi torturando le pellicine attorno alle mie unghie, come ogni volta che ero nervosa.

Mi aspettavo che a quel punto si sarebbe allontanato e invece rimase ancora lì impalato, tamburellando con le scarpe da ginnastica sul pavimento.

«Sì, insomma, mi hanno detto che avevi la febbre» continuò senza guardarmi.

A quel punto, ero ancora più confusa di prima. Dean? Alice? Chi poteva aver detto a Philip che fossi a casa malata?

«Sto bene» stroncai la questione, decisa. Volevo mettere fine a quella conversazione imbarazzante il prima possibile. «È tutto okay, davvero.»

Sembrava che lui non aspettasse altro e, a quelle parole, venni liquidata a una velocità impressionante. «Beh, figo. Buona giornata, Cassandra.»

Mi guardò in faccia per la prima volta, da quando si era presentato di fronte a me, e mi fece un cenno con la mano un po' in imbarazzo. Forse perché i suoi piedi si stavano già muovendo all'indietro, verso il lato opposto della stanza, occupato da un altro paio di giocatori della squadra di football.

Lo osservai allontanarsi, pensando che quella doveva essere stata la conversazione più veloce e inutile di tutta la costa est degli Stati Uniti. Sbattei gli occhi un paio di volte, perplessa, prima di tornare a girarmi verso il piccolo palco sul lato lungo della stanza. Non avevo capito le sue intenzioni, ma avrei comunque cercato di prendere il buono di quello scambio: ora Philip non avrebbe più avuto ragioni per parlarmi.

Inaspettatamente però, quando mi voltai verso la Davis, qualcun altro attirò la mia attenzione. Gli occhi chiari di Alex mi osservavano annidati di un fastidio latente che non riuscivo a interpretare, ma sempre in quel modo diretto e sfacciato che inspiegabilmente riusciva a mettermi a disagio.

Aveva sentito anche lui quella conversazione? Beh, certo che lo aveva fatto. Le nostre sedie erano divise solamente una manciata di centimetri. Prima però che potessi aprire bocca, lui mi fece un breve cenno con il mento e si voltò nuovamente verso la lavagna.

Mi ritrovai ad osservare la linea dei muscoli del suo collo tuffarsi sotto la trama della maglietta scura, con una consapevolezza: perché era arrabbiato con me? Non avevo avuto il tempo di chiederglielo, però, perché non appena si era voltato, aveva preso a scrivere qualcosa sul suo quaderno, e io finii per rimanere ipnotizzata dal movimento ritmico delle sue scapole che creava una serie di increspature sul tessuto scuro.

Non riuscivo a inquadrarlo, non riuscivo a capire il suo comportamento e se la Cassie razionale e posata mi ricordava che fosse del tutto normale, dato che lo conoscevo appena, c'era una parte di me che sembrava particolarmente infastidita da quella situazione.

Aprii nuovamente il libro, provando a concentrarmi a mia volta sulla lezione. Hegel non mi piaceva. Lo avevo già studiato a Los Angeles e lo avevo trovato di una negatività pazzesca. Forse era l'unico uomo in grado di farsi più paranoie di me. Provai comunque a impegnarmi sul quel paragrafo, lo feci davvero, rileggendo quelle poche parole che tentavano di dare una definizione di idealismo e provando a ripeterle nella mia testa. Qualcosa però mi impediva di concentrarmi davvero sulle parole della Davis. Non sapevo bene neppure io cosa fosse. Una sensazione, forse. Avevo come un tarlo che continuava a distrarre la mia mente.

Mangiucchiai la sommità della matita che tenevo tra le mani, ricacciandola poi immediatamente nell'astuccio, non appena mi resi conto di ciò che stavo facendo. Sentivo la professoressa che continuava a parlare, ma i miei occhi vagavano sul resto della classe; la mia mente distratta dai pensieri che continuavano ad affollarsi al suo interno. A un certo punto, però, notai che neppure Alex sembrava più interessato alla lezione. Come me, si stava guardando un po' attorno e, quando lo vidi osservare la zona dove era seduto Philip, un terribile dubbio colpì il mio cervello.

Mi sporsi in avanti, picchiettando piano la sua spalla. Non lo avevo programmato, lo giuro. La mia mano si era mossa ancora prima che potessi razionalizzarlo. Quando però si voltò, e mi inchiodò con i suoi occhi azzurri, mi sentii improvvisamente una sciocca per quello che stavo per dire. Ormai, però, non potevo più tirarmi indietro.

«C'entri qualcosa con questo?» Indicai Philip seduto qualche fila più in là. Sapevo che avesse seguito il nostro scambio e non c'era bisogno di specificare ulteriormente a cosa mi stessi riferendo.

Alex però si limitò ad osservarmi senza esternare alcun tipo di emozione. Non vidi la sua fronte incresparsi e neppure qualsiasi altro minimo segnale di indecisione. Al contrario, i suoi occhi, limpidi e distanti, resero chiaro che non avesse dovuto rifletterci neppure per un istante.

«Perché dovrei?». Sillabò quella risposta con una lentezza e un'indifferenza che mi fece sentire profondamente offesa.

Prima che potessi anche solo accennare a una risposta, lo vidi girarsi nuovamente verso la Davis, sottolineando chiaramente che non avesse alcuna intenzione di proseguire quello scambio.

"Perché avrebbe dovuto?" mi ripetei con una punta di vergogna. Odiavo il modo in cui era riuscito a farmi sentire una stupida con solo due parole.

A disagio, feci scivolare gli occhi sul resto della stanza. Temevo che qualcuno si fosse accorto del nostro scambio, ma tutti i nostri compagni di corso erano impegnati a seguire una serie di ipotesi ed esempi che la Davis stava spiegando. Tutti, eccetto uno.

Philip si era voltato nella nostra direzione e, quando i nostri occhi si incrociarono, spostò immediatamente lo sguardo, come se fosse stato colto in flagrante.

Che problema aveva quel ragazzo?

Con uno sbuffo, tornai a fissare la schiena di Alex, rinunciando del tutto a seguire la lezione. La mia mente non riusciva ad accantonare del tutto quel pensiero, ma in fondo Alex aveva ragione. Perché avrebbe dovuto intromettersi?

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