Más que nunca - Paulo Dybala

By DybalasPap810

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La storia di un viaggio. Di un incontro casuale ed inaspettato. La storia di Beatrice, che realizza un sogno... More

Mas que nunca - Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
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Capitolo 6
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Capitolo 56
Capitolo 57
Capitolo 58
Capitolo 59
Capitolo 60 - Epilogo
Ringraziamenti
GRAZIE
Classifiche
II parte - Nada màs - Prologo
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15 novembre 💎✨
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Forza Italia
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21 Marzo 2022
33
Nota
34
35 - Epilogo
Ringraziamenti II
15 novembre 2022
18 dicembre 2022 Campione del Mondo 🇦🇷💎
Missing moments: 1
15 novembre 2023
Missing moments : 2

21

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By DybalasPap810


Tornare a casa significava sempre felicità, per me.

Sarei potuta essere sposata.

Mamma.

Nonna.

Ma mettere piede a casa mia, frequentare i posti in cui sono cresciuta, passare giornate intere con la mia famiglia e i miei amici, avrebbe sempre rappresentato la mia felicità.

Mia madre aveva lucidato la mia stanza e rimesso le lenzuola con il piumone del mio cartone preferito, Toy Story.

Probabilmente pensava avessi ancora 15 anni, se mi immaginava dormire nel mio storico letto.

Aveva gentilmente buttato fuori mio fratello che, da quando non vivevo più con loro, usufruiva del mio materasso, che trovava cento volte più morbido e comodo del suo.

Mi aveva accolta tra quelle mura con un sorriso grande quanto l'intera casa, per poi cominciare a svuotare la mia valigia dopo pochi secondi e sistemare le cose nell'armadio affinché non si rovinassero.

Non aveva fatto domande.

Non aveva un viso preoccupato.

Non aveva fatto niente.

Aveva semplicemente capito il mio bisogno di tornare a casa.

Così come lo aveva capito Paulo.

Mi mancava, e tanto anche.

Eppure lasciare quell'atmosfera che stavo vivendo in quelle settimane senza di lui mi era davvero difficile.

Mi mancava, anche se lo sentivo spesso, e lo vedevo molte più volte su uno schermo della tv, sul campo, che su quello di un cellulare in videochiamata.

E lo vedevo molte più volte di quanto probabilmente riusciva a vedermi lui.

Mi mancava, e ogni volta in cui, nel corso di una partita, lo intravedevo, in panchina o in campo, il mio cuore perdeva un battito.

Stava continuando con i suoi alti e bassi, con il suo lavoro.

A volte viveva serate da protagonista, altre volte nemmeno ci si rendeva conto fosse in campo con gli altri.

A volte era sereno, scherzava, sorrideva, mentre ci sentivamo, altre volte riusciva a malapena a rispondermi.

Ma non potevo affatto biasimarlo.

Mi stava supportando, e soprattutto sopportando.

E non era una cosa facile, stare dietro questa mia decisione.

Perché stavamo così bene, e perché negli ultimi mesi starci lontano ci era diventato davvero difficile, perché eravamo capaci di mancarci anche in quei pochi giorni di separazione durante le trasferte.

Mi mancava, non potevo affatto negarlo.

E questo era decisamente un buon segno.


Un rumore di vetri sbattuti mi distrae dai miei pensieri, riportandomi alla realtà.

Mia nonna posa il vassoio con le tazze del the di nuovo sul marmo della sua cucina, sospirando disturbata.

Lo faceva sempre, quando non riusciva a portare a termine qualcosa.

Perché non sopportava, non riuscire più a fare alcune cose semplici.

Le vado incontro, invitandola a sedersi e afferrando io tutto ciò che serviva.

Quella mattina era particolarmente stanca.

"Non mi piace essere servita dalla mia nipote preferita", mi dice un po' stizzita, quando la raggiungo al tavolo del suo salotto per portarle la tazza di the caldo.

"E a me non piace essere servita da mia nonna", ribatto, sedendomi di fronte a lei e passandole lo zucchero.

"Non hai detto 'nonna preferita', non va bene", mi dice, facendomi ridere piano.

Non avevo mai avuto una nonna preferita.

Non avrei mai potuto farlo, né ne avrei avuto motivazioni valide.

Le mie due nonne erano l'una l'opposto dell'altra.

Mia nonna paterna era una donna incapace di tenersi un pensiero per sé, era una di quelle persone alla quale se non piacevi te lo diceva in faccia e senza vergogna.

Non amava le effusioni, l'affetto, la dolcezza, le frasi fatte e le parole dolci da scambiarsi fintamente.

L'amavo per questo, perché mi aveva buttato giù tante volte con le sue parole, che poi mi avevano resa più forte.

Così come altrettante erano state le volte in cui mi aveva tirata su, con le sue parole semplici, ma forti.

Quelle giuste.

E probabilmente tutti gli aspetti negativi del mio carattere li avevo presi da lei.

E questo me lo aveva fatto notare Paulo che, dopo averla conosciuta, mi sussurrò che l'affetto l'avevo sicuramente ereditato da lei.

La nonna che avevo di fronte in quel momento era l'amore, nel vero senso della parola, in persona.

Amava, amava tanto i suoi nipoti, amava me e lo dimostrava sempre con parole, effusioni, e regali spediti a Torino quando semplicemente le mancavo e voleva semplicemente farmelo sapere.

Paulo la adorava quasi quanto me, perché era l'unica persona lontana che avevo, per la quale il sorriso mi spuntava al solo pensiero.

"Lo sai che sei tu la mia preferita", le dico a bassa voce.

Stessa frase che dicevo sempre anche all'altra.

Mi sorride, innamorata, portando alla bocca la tazza calda, per poi portare lo sguardo sullo schermo illuminato del mio cellulare per l'arrivo di un messaggio.

"E' lui?", chiede curiosa, facendomi ridere.

"Chi lui, mio fratello, nonché l'altro tuo nipote preferito?", scherzo, rispondendo velocemente ad un messaggio della mia migliore amica.

"No, non è più lui il mio preferito, perché non viene più a trovarmi come una volta. Il mio preferito è un altro, ormai", continua poi, guardandomi attentamente in viso.

"Ah sì, e chi?" le chiedo, curiosa, bevendo un po' di quel liquido caldo.

"Paulo", dice, tranquilla, e facendomi quasi strozzare.

Tossisco malamente, e lei si fa leggermente avanti per colpirmi piano la schiena e passarmi gentilmente un tovagliolo.

"Cos'è, credevi che non sapessi che tu sei qui per i tuoi problemi di cuore?", mi chiede poi, tornando al suo posto e riprendendo a bere.

"Io – balbetto, riprendendomi – Io non ho problemi di cuore, nonna...", mi giustifico subito.

"E come mai torni a casa per più di due settimane, senza scappare per tornare subito a Torino per 'lo studio'?", chiede ancora, muovendo le dita per segnare le virgolette per le ultime due parole.

Lo studio.

La scusa che usavo maggiormente per quando mi trattenevo a casa solo per pochi giorni.

Che poi non era così tanto una bugia.

Finché non si aggiungeva il fatto che arrivasse a mancarmi il fiato, per la mancanza di Paulo, e quindi tornavo subito a Torino.

Come stava accadendo negli ultimi giorni.

Rimango interdetta, e incapace di rispondere.

Non c'erano altre scuse, e con lei non avrebbe nemmeno funzionato.

"Perciò, vuoi dire alla tua nonna cosa ti sta succedendo? Devo ritenerlo ancora il mio preferito, o devo diventare una sua nemica?", mi chiede, facendomi ridere, e allo stesso tempo trattenere un singhiozzo.

"Non sono qui per problemi di cuore... lui – balbetto – lui è perfetto, nonna", comincio, sentendo l'improvviso bisogno di buttare fuori tutto quello che sento.

Nemmeno con le mie amiche, ero riuscita a sfogarmi.

Perché tendo a tenere tutto per me.

Perché tendo a far finta di nulla, cercando di tenere tutto ciò che più somiglia al buio, soltanto dentro, così da non farlo vedere fuori.

E questa era una cosa che tendevo a fare anche con Paulo, affinchè tra di noi non potesse rovinarsi nulla.

Perché in una giornata nera e schifosa, il momento con lui era l'unico stralcio di luce, e tendevo a godermelo sempre.

Mi mancava.

"Lui è perfetto, nonna. Si impegna affinchè tutto vada sempre bene, tra di noi. C'è sempre, e trova sempre il modo di farmi sentire a casa, nella sua casa, che è diventata anche mia. Ha comprato una caffettiera, e poi anche una macchinetta del caffè. Nella sua cucina c'è sempre una dispensa piena di pasta, soltanto per me. Qualche settimana fa è tornato a casa con una libreria da montare nello studio per poter sistemare tutti i miei libri. Mi ha praticamente regalato una delle sue auto, ha preso un nuovo decoder per la tv con tutti i canali per le trasmissioni in italiano e probabilmente se gli dicessi di voler imparare a suonare il pianoforte, me lo farebbe trovare a casa al mio ritorno con un insegnante pronto a darmi lezioni private", le spiego.

Paulo non era legato alle cose materiali, e non erano di certo quelle il mezzo per dimostrarmi quanto ci tenesse.

Semplicemente erano piccole cose, a detta sua, con le quali cercava più di tutto di farmi immergere completamente in quella nuova vita con lui, insieme.

Perché sapeva di avermici buttato senza che ne fossi realmente pronta.

Perché si, non lo ero.

Affatto.

Ma era lui, e il suo modo di stare insieme con me, e il modo in cui mi faceva sentire, che avevano smesso di spaventarmi, e mi ci avevano fatta buttare.

E non me ne sarei mai pentita.

Solo che, a volte, mi sentivo soffocata, da tutto quello che lui faceva per me. E da quella vita improvvisamente fin troppo da adulta.

"E allora perché sei scappata via?", mi chiede, allungando una mano per accarezzarne dolcemente il dorso della mia.

"Perché... perché a volte mi sembra di non respirare più, in quella casa con lui. E allora mi allontano. Ma non fisicamente, mi allontano, estraniandomi da alcune situazioni con lui. E lui non lo merita. Perché sono io quella imperfetta. E lui non merita di stare male perché io, a volte, non mi sento pronta e all'altezza", continuo, incapace di tirare indietro una lacrima.

Perché mi sentivo in colpa.

E perché mi mancava, così tanto.

"E lui come si comporta, di fronte a questo? Ti ha mai fatto pesare questi tuoi comportamenti?"

"No, perché si accorge dei miei problemi ancor prima di me, e rimedia ancor prima che io possa respingerlo, in qualche modo. Perché per qualche strano motivo lui..."

"Ti ama", mi precede.

"Si..."

"E tanto, anche... e la paura di perderti perché tu non ti senti all'altezza o pronta per lui è più grande di quella che tu possa stancarti di lui, e cerca di non farti sentire come tu, invece, arrivi a sentirti, e non per colpa sua", mi spiega, meglio di come sarei mai riuscita a farlo io.

Perché, dopo Paulo, soltanto lei era capace di capirmi allo stesso modo.

Sempre.

Rimango in silenzio, annuendo semplicemente e asciugando una seconda lacrima dalla guancia ormai bagnata.

"E come ti stai sentendo in questo periodo lontana da lui?", mi chiede ancora, questa volta prendendo la mia mano per intrecciarla dolcemente alla sua.

"Io sto sempre bene, quando torno qui. Rivedere voi, stare con le mie amiche, essere a casa, sto benissimo, ma lui..."

"Ti manca", mi precede, ancora una volta.

"Come l'aria! E' come se, nonostante tutto, sentissi che manca qualcosa, che mi faccia sentire bene del tutto"

"E come fa a farti sentire bene, lui?"

"Non lo so, nonna. E' lui. E sa esserci in ogni momento. Sa tranquillizzarmi in un attimo di ansia, nel panico prima di un esame, nel nervosismo per la stanchezza. Sa farmi ridere anche nei momenti più assurdi, e sa rendere minuscoli problemi che vedo, un attimo prima, grandi quanto una casa", le dico, fissando un punto della stanza della sua casa ed immaginando Paulo al mio fianco, capace di calmarmi con le sue parole dolci.

"Mi rende debole, e dolce... Dio, mi rende dolce e amorevole anche nei giorni del ciclo", ammetto, facendola ridere dolcemente.

"Mi rende felice e io... io non me lo merito, comportandomi così", le confesso a bassa voce.

Mi sorride ancora, avvicinandosi con il busto per essere più vicina, portando poi entrambe le mani sul mio viso.

"Paulo ti ha reso una donna, amore mio... E io sarò per sempre grata a lui per averti resa così innamorata di nuovo, dopo quello che ti è successo", confessa, parlando piano.

Mia nonna non aveva mai superato, la questione di Andrea.

Perché per lei era inaccettabile, lasciare il mondo così presto. O provare così tanto dolore.

E ogni volta che sentiva parlare di cose del genere, ne usciva di testa, per la rabbia.

Avrebbe dato la sua vita, affinchè non succedesse a gente così giovane.

"E se non ti ha ancora lasciata andare, dopo tutto quello che gli fai passare – continua, ridendo leggermente – ci tiene davvero. E tu ne meriti ogni briciola, di questo folle amore" sussurra, infine.

"Dici?", le chiedo, ormai in una valle di lacrime.

"Non farmelo ripetere. E ora alza quel bel fondoschiena e fa quel che devi. Non devi aspettare ancora", mi incita, mettendo fine al contatto tra di noi.

"Va' a casa. Io sono stanca e tu hai delle valigie da preparare", continua, alzandosi dalla sua sedia e invitandomi a fare lo stesso.

La seguo all'istante, alzandomi di rimando e fiondandomi su di lei per abbracciarla forte.

Ricambia la mia stretta, tanto forte, come facevo quando dovevo salutarla prima di entrare all'asilo da bambina, quando mia mamma o mio padre non potevano accompagnarmici, o come facevo quando veniva a prendermi, a volte a sorpresa, al posto dei miei.

E ne ero così felice, che a volte restavo abbracciata a lei per minuti interi.

E lei ricambiava con la stessa forza.

Come se, per un modo o per un altro, quello sarebbe potuto essere l'ultimo abbraccio.

E in quel momento mi abbracciò allo stesso modo.

Come se, in qualche modo, se lo sentisse, che sarebbe stato l'ultimo.


Tornando a casa, ero passata a prendere la mia migliore amica, che per tutto il tragitto aveva continuato a ripetere quanto amasse mia nonna, l'unica persona al mondo capace di tirarmi fuori le parole di bocca riguardo ai miei sentimenti.

Le avevo chiesto se, anche se ne avrebbe odiato il motivo, avesse voluto aiutarmi a preparare le valigie per partire, il prima possibile.

Aveva accettato subito, felice nel vedermi felice, decisa, serena.

E perché probabilmente Paulo non l'aveva lasciata stare un singolo giorno, in quelle settimane lontani, chiedendo di me.

"Hai avvisato quel gran figo del tuo ragazzo del tuo ritorno?" mi chiede, seduta a gambe incrociate sul mio letto, e anche su alcuni miei vestiti, mentre osserva una cornice proprio di fronte a letto con delle foto con le persone a me più care.

C'erano la mia famiglia, lei, una foto di gruppo con le amiche di una vita, e l'ultima con Paulo, tra le prime scattate insieme, quasi un anno fa.

"No, lo chiamerò stasera, quando sarò sicura che è a casa da solo", le spiego.

"Peccato, avrei voluto assistere alle sue lacrime di gioia", ribatte, facendomi ridere di cuore, ma veniamo interrotte dalla porta della mia stanza, che viene spalancata senza che qualcuno prima bussi.

Mia madre irrompe, invadendo il nostro spazio e bloccando all'istante il nostro dialogo allegro.

Non proferisce parola, con lo sguardo stravolto e incapace di parlare.

Ci osserva, fissando poi lo sguardo nel mio, e i suoi occhi pieni e tristi sono capaci di spiegare tutto da soli.


Mia nonna. 

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