Más que nunca - Paulo Dybala

By DybalasPap810

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La storia di un viaggio. Di un incontro casuale ed inaspettato. La storia di Beatrice, che realizza un sogno... More

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Forza Italia
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21 Marzo 2022
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Nota
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35 - Epilogo
Ringraziamenti II
15 novembre 2022
18 dicembre 2022 Campione del Mondo 🇦🇷💎
Missing moments: 1
15 novembre 2023
Missing moments : 2

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By DybalasPap810


Erano poche, le volte in cui mi fossi sentita interdetta.

Pochissime, le volte in cui si fosse fatto vivo quel leggero fastidio, sulla bocca dello stomaco.

Perché non ce n'era mai stato modo, né motivo.

Eppure, in quel momento, l'impeto della gelosia mi aveva portato ad agire prima del tempo.

Chi diavolo era Oriana Sabatini?

Portava il nome di una delle giornaliste e scrittrici più arroganti e antipatiche degli ultimi decenni.

E anche la migliore, una delle mie preferite.

La cosa mi infastidiva ancora di più, perché adoravo quel nome.

Quasi quattro milioni di seguaci su Instagram, qualche comparsa in alcuni film argentini, qualche soap opera sud americana da protagonista in età adolescenziale, qualche canzone propria in inglese e spagnolo e qualche cover.

Sotto le luci delle telecamere da età infantile, per via dei suoi genitori, amati in Argentina come Albano e Romina in Italia.

Una figa da paura, di quelle di fronte alle quali non puoi davvero nulla.

La tipica ragazza dalla bellezza disarmante e anche inconsapevole di averla, e per questo sempre pronta a portare in alto la bandiera della semplicità, mostrando il proprio corpo seppur imperfetto e accettandosi e amandosi per come si è.

Facilissimo, certo.

Un esercito di fan ad idolatrarla, su ogni piattaforma social possibile, una famiglia a supportarla in ogni scelta di vita, una madre sempre pronta a vantarsela, spifferando anche aneddoti che sarebbe meglio tenersi per sé.

La tipica persona che non fa per Paulo.

Ma con la quale ha avuto un flirt, quando aveva deciso di fare la testa di cazzo, un paio di anni fa.

Ecco perché mi ricordava qualcosa, questa ragazza.

Alcune pagine Instagram tifavano ancora per loro due, unendo in un'unica parola i loro cognomi per creare la ship.

Che patetici.

Perché gli aveva commentato la foto?

Sa che le menti delle persone cominciano a viaggiare, e parlare, e fare cose esagerate, oltre la realtà delle cose.

Gli argentini, poi.

Era già successa una cosa simile, quando, durante un ritiro estivo, Gonzalo Higuain, scherzando, l'aveva nominata durante una diretta Instagram di Paulo, senza che tra i due ci fosse stato nulla.

La mattina dopo, i giornali argentini li davano già per sposati e chissà, forse di quella diretta continuavano ancora a parlarne in qualche programma a cui lei decideva di partecipare insieme alla madre, e durante il quale nessuno confermava o smentiva quel che ci fosse tra loro.

Anche quando non c'era effettivamente nulla.

Paulo, per contratti stipulati con la società, non poteva intervenire in questo genere di cose, come un qualunque tronista appena venuto fuori da Uomini&Donne e spiegare i fatti suoi, e, come mi aveva detto tante volte, neppure gli interessava più di tanto.

"Tanto oggi parlano di una cosa, domani ne verrà fuori un'altra. L'importante è che chi mi conosce sa il vero", mi diceva sempre.

Questa clausola, però, lo portava ancor di più a stare nel mirino del ciclone, oltre che per il suo lavoro, anche per la vita privata.

Decido di lasciar perdere, e lascio la stanza un attimo prima che Paulo rientri dal bagno.

Avrebbe sicuramente controllato tutte quelle notifiche.

Chissà se me ne avrebbe parlato.


Passo il resto della giornata in studio, cercando di concentrarmi sulle pagine di fronte a me, e ignorando i suoi messaggi a metà pomeriggio, quando aveva deciso di distrarmi, dato che era a casa per la giornata di riposo concessa dal mister.

Ma lui si era allenato lo stesso, in palestra, pranzando poi fuori con qualche compagno di squadra.

Quando raggiungo la cucina nel tardo pomeriggio, lo trovo seduto sullo sgabello della penisola, impegnato a giocare con l'iPad e con il solito mate quotidiano.

Mi stava disturbando, il fatto che fosse lì a fare niente, senza un motivo in particolare, e come se improvvisamente lui ne avesse qualche colpa.

Afferro una mela dalla dispensa della frutta, controllando il cellulare e gli ultimi aggiornamenti, appoggiandomi con i gomiti sul marmo del piano cottura, poco distante dal suo posto.

"Vedo che stai usando il tuo cellulare, ma continui ad ignorare i miei messaggi", annuncia, dandomi la sua attenzione proprio nel momento in cui, la mia, invece, si posa sulla sua risposta al commento della ragazza.

"Gracias Ori", aveva scritto, con tanto di cuore verde e l'emoji con l'occhiolino.

Gracias.

Ori.

Occhiolino.

Cuore verde.

Il cuore della speranza.

Cosa diavolo significava quel cuore verde.

Quella faccina.

Quel cazzo di commento e quella confidenza di una persona di cui non mi aveva mai parlato.

Strano, dato che mi parlava perfino della donna delle pulizie di casa di Douglas Costa che gli rivolgeva particolari attenzioni ogni qual volta andasse a trovarlo, perché era l'idolo dei suoi figli juventini.

"E vedo che fai anche finta di non sentirmi", lo sento dire, mentre cerco di contare fino a dieci prima di urlare.

"Chi è Oriana Sabatini?", gli chiedo, posando con finta calma il telefono sul marmo e dandogli finalmente tutte le attenzioni che desidera.

Aggrotta un sopracciglio, facendosi immediatamente serio e seguendo il movimento della mia mano con il cellulare.

Poi collega i punti, come quel gioco della settimana enigmistica che amavo fare d'estate quando ero bambina, e scoppia a ridere.

Vuole che gli lanci la mela addosso?

"Cos'hai da ridere? E' quella che penso? E fa ridere, quindi?", continuo, sentendo un'improvvisa ventata di aria calda salirmi in viso.

Devo essere diventata viola.

"Chi pensi che è?", mi chiede, scendendo dallo sgabello per venirmi incontro.

E sbagliando il verbo in italiano, come non faceva da tempo.

E come faceva soltanto quando era nervoso e poco concentrato sulle cose da dire.

"Mh?", continua, fermandosi sui suoi passi e fissando lo sguardo nel mio.

"Se non te lo fossi già dimenticato, te l'ho chiesto io, chi sia", ribatto, rimarcando il giusto verbo da utilizzare e osservandolo mentre si morde il labbro, infastidito dalla mia correzione.

"Importa qualcosa?"

"Non dovrebbe importarmi, dal momento che vi scambiate complimenti e commenti con cuori e cose – comincio, prendendo il cellulare per mostrargli la fatidica foto – Ah, e vedo che non ti perdi nemmeno un suo post. Gesù, nemmeno uno", commento, sfogliando il suo profilo con il doppio tocco di Paulo Dybala su tutte le sue ultime foto.

Torno a guardarlo, osservandolo scuotere la testa e sospirare, come se cercasse di calmarsi, o se pensasse a come calmare me, che penso di stare per picchiarlo.

Osserva la mela, che stringo tra le mani talmente forte che quasi potrebbe sgretolarsi, e la butto via, scaraventandola sul marmo della cucina.

"A che gioco stai giocando? E' quella che penso che sia. E tu lo sai, lo sai che in Argentina viaggiate un po' troppo con la mente. E tu cosa fai? Dai adito ai loro pensieri. Non mi piace, cazzo. E faccio un casino, Paulo, giuro. Faccio un casino", concludo tutto d'un fiato, scaraventando via anche il cellulare, stanca di constatare ancora di avere un fidanzato idiota.

"Calmati, Kill Bill", mi dice lui, venendomi incontro, e non resisto dall'avvicinarmi ancor più nervosa e spintonarlo.

Mai dire ad una donna di calmarsi quando è nervosa.

Afferra le mie mani per fermarmi, mentre io cerco di colpirgli il petto, ormai senza alcun freno, né allarmi nel cervello per darmi un contegno.

"Ehi, niña – dice, con voce pesante – Bea, fermati, carajo!", continua, strattonandomi leggermente per fermarmi.

"Che cazzo fai?", gli ripeto, arrendendomi alla sua forza e guardandolo in faccia, in attesa di risposte.

Constatato che non voglia ancora picchiarlo, mi lascia andare, sistemandosi la maglietta che si era stropicciata sulle spalle.

"E' un'amica. Ci conosciamo da anni ormai. Che problemi hai?", chiede, con un'alzata di spalle.

"Un'amica? – chiedo sarcastica – E da quando? Un'amica che nel tuo paese pensano che ti fai, quando torni a casa? Stai scherzando?"

"Da quando ti importa di quello che dicono i giornali? Ne abbiamo già parlato. Sai che per quelle persone flirto anche con le addette allo Stadium", afferma, non avendo tutti i torti.

Ma non c'entrava nulla.

E non giustificava il suo comportamento.

"Loro non conoscono le ragazze che lavorano lì. E nemmeno interessa a loro. Questa ragazza è venerata, nel tuo paese. E puntualmente, non smentisce le cavolate che raccontano su di voi. Chissà perché".

"Dio, Bea. E' solo un commento", la butta giù, dandomi le spalle per lasciare la stanza.

"Dove vai? E la chiudi così? – quasi urlo, andandogli dietro e superandolo per riaverlo di fronte.

Se pensava solo minimamente di poter avere un comportamento di totale indifferenza nei miei confronti, non aveva capito davvero nulla.

Ma era esattamente quello che intendeva fare.

"E' un commento che non serviva. E che non scrivi, se non frequenti quella persona. E non mi pare che possiate vedervi tanto spesso, o sbaglio?"

Sospira, arrendendosi.

"Lo ha fatto perché abbiamo confidenza. E quel commento ne è la prova. Non è l'unico. Così come non è l'unica cosa che facciamo – comincia a dire, fissando lo sguardo nel mio.

Ricambio, seria, e riprende subito a parlare.

"Mi ha scritto qualche settimana fa, e abbiamo semplicemente parlato del più e del meno. Cosa sta facendo, cosa sto facendo io. Le solite cose. E' tornata in Italia e voleva consigli su alcuni posti da visitare. Fine della storia", conclude sbattendosi le mani le une con le altre come per togliersi il problema di dosso.

"Fine della storia? – chiedo, ridendo sarcasticamente – Sei serio?"

"Dio, Bea – sbuffa, stanco della discussione – Si. Cosa devo dirti?"

Resto interdetta, aprendo la bocca per dire qualcosa, ma bloccandomi, impaurita dalla risposta.

Voglio saperlo davvero?

"Cosa c'è stato tra voi?" chiedo a bassa voce, incapace di fermarmi.

"Cosa c'entra questo?", chiede, nervoso, riprendendo a camminare per raggiungere il salotto e cercando di sviare ancora la conversazione.

Lo blocco per un braccio, fissando in cagnesco il mio sguardo nel suo.

"Cazzo, Paulo, rispondi alla mia domanda prima che mi metta a urlare"

Sospira, sconfitto, togliendosi le mie mani di dosso e facendo un passo indietro, più lontano da me.

"Siamo stati insieme un paio di volte, circa due anni fa. L'estate in cui ho rotto con Antonella. La prima volta che ci siamo lasciati", ammette, portando il peso del corpo tutto su una gamba e guardando un punto indistinto alle mie spalle.

"Un paio – balbetto – un paio di volte? E poi? Parla", lo incito, sbattendo le palpebre un paio di volte, perché la vista mi si sta annebbiando un po'.

Non piangere. Non farlo.

"E poi cosa, Bea? Cosa vuoi sapere? Niente. E' finita lì. Perché non ci andava. Io mi stavo divertendo, e di certo non cercavo un'altra relazione a distanza, e lei anche, perché non le interessava intraprendere una relazione seria con me. Fine. Della. Storia", ripete, citando in modo più canzonario le parole dette pochi minuti prima.

"Fine della storia? – ripeto, furiosa – Cristo, Paulo. Dimmi perché allora questa persona che ti sei scopato continua a scriverti perché altrimenti ci sarà la fine solo di una storia", dico, con la voce che mi si spezza nelle ultime parole dette quasi in un sussurro.

Non piangere.

"Cosa ne so? E perché dovrebbe interessarmi? E non dovrebbe interessare nemmeno te", ribatte, stanco e pronto a mettere fine alla discussione.

Non ha capito nulla.

Mi porto una mano sugli occhi, strizzandoli e cercando di bloccare il bruciore.

"Posso leggere questi messaggi?", chiedo poi in un sussurro, allungando una mano verso di lui per avere il suo telefono tra le mani.

"Cosa? Perché?", chiede, inclinando la testa di lato.

"Hai detto che non vi siete detti niente di che. Perciò, posso leggere questi messaggi?", ripeto, cercando di mantenere la calma.

"Stai scherzando?", chiede, stupito, un sorriso nervoso ad increspagli le labbra.

"Ti sembro una che stia scherzando, Paulo? Dammi questo telefono", ribadisco, aprendo la mano ulteriormente verso di lui.

"Vuoi controllarmi il telefono? E da quando sei diventata mia madre? Non mi credi? Io non controllo il tuo cellulare. Non mi permetterei mai", parla velocemente, cercando il più possibile di esprimersi perfettamente.

Ed è furioso.

Completamente furioso, mentre stringe la mano destra in un pugno, per cercare di calmarsi.

"Oh, per favore. Se sapessi che mi scambio messaggi con un ragazzo con cui sono stata a letto insieme non ci dormiresti la notte, Paulo", gli spiego, sul punto di scoppiare.

Non piangere.

"Non vuoi farmi leggere questi messaggi. Come posso crederti, allora?", chiedo, con un filo di voce.

Porto velocemente una mano ad asciugarmi una lacrima, osservando lui che rimane impassibile.

"Se non ti fidi di me, io non ti devo alcuna spiegazione", ribatte, freddo.

Raddrizza la schiena, portando le mani lungo i fianchi e mantenendo uno sguardo di sfida su di me, che credo di poter perdere i sensi.

Distolgo lo sguardo da lui, per non permettergli di vedermi crollare, mentre stringo le labbra tra i denti talmente forte da sentire dopo un po' il sapore del sangue, pur di non permettere al labbro di tremare.

Mi guardo intorno, cercando di pensare a cosa fare.

"Ho bisogno – balbetto, improvvisamente stanca – ho bisogno di prendere aria", comincio a dire, muovendomi per il salotto.

Raggiungo la finestra, aprendola e sporgendomi qualche secondo per respirare profondamente.

Mi giro verso l'interno, tornando a guardarlo.

Lui sta facendo lo stesso. 

Nemmeno un cenno di cambiamento nel suo ciglio arrabbiato.

Non cederà, ed io sto per sentirmi male.

Devo allontanarmi da qui.

"Credo che andrò da Simona – dico, afferrando la borsa all'ingresso e cominciando ad infilarci cose a caso – Credo, credo che non tornerò a dormire qui, stasera".

Mi guarda, impassibile.

Una vena gli si gonfia sulla fronte, come tutte le volte in cui qualcosa lo infastidisce, ma non può scoppiare quanto vorrebbe.

Poi sembra risvegliarsi dal suo stato di trance.

Fa qualche passo avanti, senza dire una parola, e superandomi di qualche metro, andando verso il tavolo del salotto, dandomi le spalle.

Sobbalzo, nel momento in cui con un calcio scaraventa a terra una sedia del tavolo da pranzo.

Si gira a guardarmi, sul viso sempre la stessa espressione impassibile.

Porta una mano nella tasca dei suoi pantaloncini di jeans, estraendo il suo cellulare.

"Questa volta ti sei davvero superata, Beatrice. Brava", commenta sarcastico e con un sorriso amaro.

Poggia malamente il suo telefono sul tavolo, per poi tornare a guardarmi.

"Guarda pure, ma una cosa veloce, perché devo uscire. Anzi no sai cosa? Non me lo porto, perché non ho nessuna con cui mi interessa parlare. Ho il compleanno di Douglas. Ha invitato anche te, ma non mi sembra il caso di andarci insieme. Non credo tu voglia venirci con me. O forse è il contrario", dice sbrigativo.

Fa qualche passo avanti raggiungendomi quasi vicino la porta d'ingresso e superandomi per raggiungere la camera da letto, per cambiarsi.

"I messaggi sono su Instagram, perché il mio numero ce l'ha soltanto chi voglio io – puntualizza - Ma tu guardati tutto, tienimi sotto controllo", continua, camminando avanti e dandomi le spalle.

Poi si ferma, e si gira a guardarmi, alzando un dito, come se si fosse ricordato di un'altra cosa da aggiungere.

"Sono d'accordo con la tua decisione. Va' da Simona, e magari restaci fin quando non ti passa", aggiunge, per poi darmi di nuovo le spalle e sparire in fondo al corridoio. 



Sia chiaro, non ho nulla contro Oriana, ma, ahimé, mi dispiaceva mettere in mezzo sempre Antonella Cavalieri nelle tragedie amorose. 
E' semplicemente una descrizione fatta dagli occhi di una donna innamorata del suo ragazzo e che vede questa gran figa come un pericolo per la loro storia. 
Ho augurato a Paulo una storia come quella che sta vivendo, e una serenità come quella che gli sto vedendo, ed è la cosa più importante. 

Tornando alla storia, spero vi sia piaciuto questo mini dramma.
A presto, con un po' di problemi ;)

M.

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