GLENVION

By alefalzani

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Cosa si cela nel sangue di Patrich Martens? Quale oscuro segreto custodisce la sua memoria? La misteriosa mor... More

Parte 1
Parte 2
Parte 3
Parte 5
Parte 6
Parte 7
Parte 8
Parte 9
Parte 10
Parte 11
Parte 12 ( FINALE)

Parte 4

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By alefalzani

capitolo 10

«Dottor Hans, l' attendono in sala. Tutti gli azionisti di maggioranza sono riuniti.»

Il dottor Hans Martens si rimirava allo specchio chiudendo i gemelli. La postura fiera, il fisico slanciato e longilineo, nel suo completo grigio con cravatta lilla immaginava l'espressione che avrebbero assunto gli altri vedendolo entrare.

«Arrivo subito Rita. Mi annunci, io La seguo.»

Non era sufficiente aprire la porta e attendere che questi entrasse, tra i suoi capricci l'essere annunciato era uno dei maggiori, per attenzioni di questo tipo, più che per la preziosa assistenza nella pianificazione dei suoi impegni, Rita veniva pagata profumatamente. La segretaria attraversò l'ampio corridoio, le pareti decorate da imponenti fotografie che ritraevano il dottor Martens e il suo socio il dottor Ludwig Batsleer intenti a firmare qualche contratto importante o a presentare un nuovo farmaco di rilevanza mondiale. La grossa porta in legno massello si aprì, al suo interno gli undici azionisti più importanti della M&B Medipharm, il primo produttore di medicine in Belgio e terzo al mondo. Si trattava dell'unica riunione annuale che riguardasse i dividendi, durante l'incontro venivano inoltre ribaditi e puntualizzati i progetti di sviluppo per l'anno a venire. Hans aveva imparato da Ludwig a gestire con maestria riunioni di quel tipo, due anni prima il caro socio era venuto a mancare, stroncato da un infarto, era quindi giunto il momento di decidere, dopo ventiquattro mesi di rispettabile attesa, cos'era necessario per il bene della casa farmaceutica. Hans aveva chiaro in mente l'obiettivo e in qualità di amministratore delegato possedeva i mezzi per raggiungerlo.

«Cari signori, miei fidati soci, anche quest'anno abbiamo raccolto i frutti del nostro impegno. Siamo qui per dirci solo cose positive. La prima è che l'utile dell'ultimo trimestre è cresciuto del quattro percento in più rispetto a quello dello stesso trimestre dell'anno precedente, di conseguenza il prezzo medio del nostro titolo in borsa è salito di quasi uno virgola sedici centesimi di euro in quest'anno con un incremento medio da inizio anno del sedici virgola undici percento. Da ciò derivano gli utili a voi spettanti che la mia segretaria sottoporrà alla vostra attenzione.»

Quindi la signora Rita porse un piccolo fascicolo ad ogni soggetto, ciascuno riportante una diversa intestazione e diverse cifre. Tutti, una volta ricevuti i fascicoli sembrarono entusiasti dei risultati e alcuni calcolarono i propri proventi usando i tablet a disposizione sulla lunga tavola. Hans osservò le persone sedute quasi con aria di commiserazione: era incredibile come un essere umano sapesse accontentarsi di così poco, di una sola fetta senza pensare a quanto fosse grande la torta. Certo, purché la fetta fosse buona e abbondante, così come Hans l'aveva servita.

«Detto ciò, penso di poter passare direttamente al secondo punto del giorno, che, forse, per voi non è altrettanto importante, ma lo è per me» terminò seccamente Hans dando alla notizia una parvenza di poco conto.

«Come sapete, tra poco introdurremo sul mercato un farmaco rivoluzionario, in grado di curare, se non debellare completamente la maggior parte di forme tumorali. Attualmente sono necessari ancora alcuni test, lunghi e complessi ma vi assicuro che a breve, in pochi mesi questo miracolo sarà possibile. Tuttavia vi chiedo un gesto di estrema intelligenza» Hans fece un leggero sospiro, quindi si sedette al suo posto in capo al lungo tavolo, incrociò le mani sotto il mento, nascose un accenno di sorriso.

«Alla luce dei proficui risultati a cui vi ho condotto, siete disposti a conferirmi il ruolo di presidente e amministratore unico, figura assolutamente necessaria e che solo io posso ricoprire? In fondo io e Ludwig fondammo insieme questa società ma oggi, senza di lui, seppur i risultati economici siano sorprendenti essa non è più la stessa. Egli certamente avrebbe desiderato che ricoprissi tale ruolo e io mi affido a voi, che avete contribuito con i vostri investimenti a fare di questa società la terza al mondo. Vi chiedo di assecondare tale scelta che in alcun modo inficerà le vostre rendite. Dunque e con ciò oggi ho concluso, chi di voi si trova in accordo con me voti per alzata di mano, liberamente. Se mi concederete la maggioranza, come io sono sicuro, vi posso assicurare che i prospetti che avete di fronte presto saranno solo un ricordo e dovrete abituarvi a ben altre cifre. A voi il voto.»

Nessuno rispose. Nessuno si aspettava una simile mossa. Probabilmente alcuni dei presenti ambivano a quel ruolo e questo fu chiaro quando due di essi abbassarono lo sguardo sul tavolo. Hans li teneva d'occhio da parecchio e sapeva che volevano fregarlo. Ma ora, davanti a tutti, il loro potere non serviva a niente e se ne resero conto nel momento in cui nove mani erano alzate.

«Bene, vi ringrazio amici, la vostra fiducia è ben riposta e vi assicuro che sarà ben ricompensata. Questo giorno mi riempie di orgoglio, mi rincresce che Ludwig non possa essere qui, oggi, a festeggiare insieme a noi.»

Il nuovo amministratore unico si espresse con un velo di finta commozione, mentre osservava i due soci che gli avevano negato il voto seduti a pochi metri da lui. Si schiarì la voce delicatamente riportando l'attenzione a se.

«Se mi è permesso chiedere, visto che qui siamo legati da un rapporto di assoluta fiducia, in cosa vi trovo in disaccordo con i miei risultati, signori De Voogth e Prook?»

Emmanuel De Voogth e Tim Prook gestivano una società di trading e il loro talento li aveva portati ad investire enormi somme sulla M&B, facendone in breve due degli azionisti di maggior rilievo. Erano tuttavia estremamente giovani e Hans non tollerava insubordinazioni da parte di due stronzetti. Sapeva che avrebbero voluto esserci loro al suo posto ma li aveva fregati.

«Nulla, assolutamente nulla, Dottor Hans» fece Emmanuel, tra i due il più schietto e aperto.

«Semplicemente pensiamo che una figura, diciamo più giovane possa garantire migliore continuità e dia un'immagine più dinamica della società ma è solo un nostro punto di vista. La maggioranza decide.»

Si alzò prima di terminare la frase, si diresse verso la porta mentre la signora Rita entrava con un vassoio di flûte e dello spumante. L'amico poco dietro lo seguiva. Prima di uscire, Tim si avvicinò al nuovo amministratore, sussurrandogli all'orecchio «Puoi fregare questi scemi con quella merda ma di certo non te la cavi così!»

Quindi andarono.

Hans rimase seduto, strinse forte i pugni, quindi riprese il controllo di se.

«Allora, gentili signori, la riunione è conclusa, riceverete ulteriori istruzioni nei prossimi giorni e pazienza, non tutti ragioniamo sempre nel modo giusto. Lasciamo che questi giovanotti facciano la loro esperienza. A volte bisogna sbagliare.»

Ad uno ad uno i soci si congratularono, con vigorose strette di mano e lusinghiere pacche sulla spalla, quindi abbandonarono la sala. Sorseggiando ancora lo spumante assaporavano la vittoria. Rimasto solo si sedette di nuovo a pensare. «Bastardi...adesso ne sono certo, siete anche voi dei...»

«Dottor Hans, La cercano in laboratorio» squillò Rita bussando alla porta.

Hans si alzò senza guardarla in viso, uscì, andò verso l'ascensore, premette il tasto meno tre, entrò e guardò fisso a terra, la porta si richiuse. Rita osservò la scena e si chiese per quale motivo fosse così contrariato; in fondo sarebbe dovuto essere un giorno importante, ne aveva parlato con entusiasmo per settimane, quell'espressione l'aveva vista una sola volta e non voleva assolutamente ricordarla.

capitolo 11

I signori De Voogth e Prook presero il primo taxi che riuscirono a fermare.

«Alla cattedrale di Mechelen» ordinò Emmanuel, quindi Tim gli si rivolse, mentre lo osservava comporre un numero sul palmare.

«Stai avvisando Johan che arriviamo, vero? Se ci presentiamo senza preavviso. . .»

«Certo, che vuoi che faccia? Sapeva che se le cose si fossero messe male lo avrei avvisato. È da un po'che non lo sento ma credo sia appena tornato dall'Italia.»

Tim non rispose, continuava a scuoteva la testa, non riuscendo a rassegnarsi per la disfatta.

«E dai, che ti aspettavi? Sapevamo che sarebbe stata dura, in fondo quei maiali pensano solo ai soldi. Hai visto come è mutata la loro espressione quando sono arrivati alla voce dividendi di spettanza? A loro non serviva altro, ciò nonostante neppure io avevo previsto un esito così monarchico.»

«Pensi a qualche intimidazione?» chiese Tim senza mezzi termini.

«No, non proprio, piuttosto qualche mazzetta. Credo li abbia comprati.» concluse Emmanuel.

«Ok, sarà certamente così, ma possibile che abbiano tutti le bende agli occhi? Eppure hanno visto gli esperimenti quella volta in laboratorio.»

«Se ripenso all'espressione di Hans mi passano i brividi! Per poco non ammazzava tutti e due i ricercatori.»

Si fissarono per un attimo negli occhi senza aggiungere altro.

La dimostrazione a cui avevano assistito due anni prima aveva lasciato una impressione in entrambi, per varie ragioni non potevano né volevano dimenticare. Il 13 Novembre in occasione della chiusura annuale, Hans aveva condotto il consiglio di amministrazione e gli azionisti di maggioranza nel laboratorio secondario dell'azienda che per ragioni mai esplicitate ma facilmente deducibili si trovava su una collina, tra campi coltivati, lontano dagli indiscreti occhi cittadini. Lo stabile era sorto sulle rovine di un mulino in disuso. La ruota era l'unico elemento conservato al fine di sfruttare l'energia del torrente, gli infissi e le porte di accesso erano stati sostituiti e modernizzati, sul tetto pannelli fotovoltaici aumentavano l'energia disponibile. Le piante da frutto che delimitavano la proprietà erano state tagliate e sostituite da un muro in pietra che seguiva il corso del fiume. In più punti alcune telecamere sorvegliavano il perimetro.

La struttura a due piani aveva dimensioni modeste tuttavia il battuto di cemento che circondava l'edificio indicava le dimensioni reali del laboratorio che si trovava in realtà sotto terra, in pieno stile Hans Martens, e si componeva di 3 livelli di 500 mq ciascuno. Hans teneva particolarmente alla segretezza dei suoi esperimenti e per l'occasione aveva allestito al piano terra un piccolo laboratorio medico, impiegando un designer e uno psicologo per renderlo il meno inquietante possibile e garantire il consenso degli azionisti. Nella stanza, che ricordava quella di un ospedale, un uomo in camice era intento a controllare i parametri vitali del paziente. L'uomo indossava un camice del tipo utilizzato durante le operazioni, non aveva effetti personali, solo un paio di pantofole erano nascoste grossolanamente dietro una cassettiera, l'etichetta ben celata dal mobile. Il paziente aveva un aspetto gravemente malato, i capelli radi, la pelle del volto e delle altri parti visibili del corpo disidratata, sottile, quasi trasparente, rigida. Lo sguardo provato incorniciato da profonde occhiaie e schermato da una patina opaca, come cataratta, la sclera tendente al giallo.

Il dottor Hans aveva preannunciato ai partecipanti che avrebbero assistito ad un miracolo, l'uomo che ora vedevano dal vivo era la stessa persona che gli aveva mostrato poco prima nelle slide. Quantunque fosse gravemente malato, l'aspetto attuale era completamente diverso dallo stato precedente, il miglioramento ad ogni dose del farmaco era innegabile e ben documentato da fotografie e registrazioni dei valori prese ad intervalli regolari. Sebbene avrebbero stentato a crederlo, quell'ultima somministrazione a cui avevano l'onore di assistere avrebbe guarito completamente l'uomo, il nuovo farmaco avrebbe guarito milioni di persone, garantendo fama e prosperità alla M&B Medipharm.

Tutto era andato storto. Una volta iniettato il farmaco il paziente aveva in 10 minuti riacquistato un aspetto e dei valori normali, la pelle si era reidratata, le occhiaie riassorbite e la sclera aveva nuovamente un sano colore bianco. Al quindicesimo minuto l'incarnato aveva perso di nuovo tutto il colore, come se il sangue fosse stato richiamato dal corpo per riversarsi negli occhi dell'uomo, la sclera era irrorata di sangue. L'ossatura appariva più spigolosa. Il paziente si era divincolato dalla flebo e dai misuratori, aveva spinto il medico a terra, si era arrestato davanti ad Hans, lo sguardo smarrito era stato attraversato da un lampo di odio che aveva rivolto al dottor Martens il quale aveva risposto con un'espressione che aveva fatto indietreggiare tutti gli azionisti: odio, determinazione, follia.

Il paziente si era svegliato qualche ora dopo in isolamento, in una stanza simile, accanto alla sua, il medico che l'aveva seguito stava forzatamente riflettendo sui suoi errori. Hans era già rientrato in ufficio. Era impietrito alla sua scrivania, lo sguardo fisso nel vuoto, intensamente concentrato su un qualcosa di invisibile. Il laboratorio secondario andava chiuso e trasferito nella sede principale, sotto il suo diretto controllo. Rita raccoglieva tremante i cocci di un vaso antico e prezioso che le aveva lanciato contro, alcuni dipendenti portavano via le cornici frantumate dei quadri senza distogliere lo sguardo dal pavimento.

Non si erano accorti di essere praticamente arrivati. Scesero dal taxi, Tim pagò il conto e si diressero al portone principale. Entrarono e si portarono al primo confessionale sulla sinistra, padre Johan sedeva già al suo posto. Emmanuel si accomodò e attese che fosse lui il primo a parlare.

«C'era proprio bisogno che venissi qui? Non vi ho ancora convocati tutti! Non è ancora il momento!» sbottò il prete con tono arrogante.

«Smettila di rompere Johan! È andato tutto a puttane! Adesso ha il controllo totale e tira i fili dei suoi burattini! Da quanto ci risulta nei suoi laboratori si lavora a pieno regime. Non passerà molto e quella merda verrà somministrata a qualche speranzoso malcapitato e poi distribuita su scala internazionale. Come ci muoviamo? Cosa si fa adesso?»

Se non ne avesse udito il respiro, Emmanuel avrebbe concluso che l'altro se la fosse svignata.

«Nulla» la risposta di Johan giunse dopo svariati secondi «senza di lui non si fa nulla. Aspetteremo che arrivi da noi. Non abbiamo altra possibilità. Pazientate, se le mie sensazioni sono esatte ci raggiungerà presto.»

Emmanuel rimase in silenzio, sebbene non digerisse troppo Johan e i suoi modi di fare spicci, sapeva al contempo che difficilmente si sbagliava, fra tutti era lui il più scaltro. Abbandonò il confessionale e si diresse verso l'uscita, mentre l'amico lo seguiva a pochi metri di distanza. Quando furono entrambi all'esterno Tim non seppe trattenersi.

«Allora? È incazzato vero?»

Emmanuel provava un affetto sincero per Tim. Alcune volte sembrava un bambino impaziente ma possedeva una gran forza d'animo, questa gli conferiva statura.

«No, non più di tanto, ma lo conosci, è una sfinge. Però a giudicare dall'aroma di sigaro che sento non deve averla presa troppo bene, me lo vedo a boccheggiare...Comunque dice che il ragazzo sta arrivando.»

Emmanuel strinse i pugni mentre camminava senza un apparente meta di fianco all'amico.

«E comunque perché dovrei dargli retta? La nostra è una missione, non è lui che decide, te la senti di continuare?»

Tim era dubbioso, non voleva rispondere alla sua domanda, lo conosceva da sempre, sapeva che in un modo o nell'altro l'avrebbe convinto. Sorrise flebilmente. «E me lo chiedi? Se posso salvarne anche solo un altro di certo non mi tiro indietro. Chissà magari la storia della saturazione è una trovata di Johan per tenerti a bada.» «Certo, una bella storiella per spaventare le reclute» aggiunse Emmanuel scompigliando i ricci dell'amico.

«Ok, allora i prossimi due in lista, chiamali e digli che li riceviamo oggi alle tre.» Tim si allontanò un attimo, estrasse il cellulare da una tasca e dall'altra un foglio malamente ripiegato. Se lo si osservava con attenzione era possibile notare che la carta nei punti in cui piegava si era notevolmente assottigliata, tante volte questo era stato aperto. Aveva perso il suo candore originale, recava invece traccia degli indumenti con cui era stata a contatto, in particolare la giacca più indossata da Tim vi aveva lasciato dei pigmenti azzurri condensati quasi in delle chiazze. All'interno una mano svelta e nervosa aveva tracciato un elenco di nomi corredato da alcune informazioni. La calligrafia ricordava vagamente quella di un medico su una prescrizione. Le voci erano numerose, le prime sbarrate con una linea decisa, quasi a suggerire una certa soddisfazione di chi le avesse depennate. Tim lo esaminò rapidamente ignorando le voci sbarrate.

«Allora, questa donna...cancro al seno e. . . poi un ragazzo con tumore al fegato, te la senti?»

Emmanuel fece una smorfia di sufficienza, per lui non era niente di nuovo. Il compagno compose un numero sul cellulare, chiamò la donna, poi il ragazzo; le telefonate durarono pochi secondi. Quando rialzò lo sguardo era già sul ciglio opposto della strada, lo raggiunse dinanzi ad una grande palazzina, Emmanuel estrasse le chiavi dalla tasca, il loro appartamento era al secondo piano, sulla porta una piccola targa affissa "T. E. Trading s. r. l. ". Entrarono. L'agenda prevedeva solo due appuntamenti, alle tre di pomeriggio. Il campanello suonò puntuale, Tim accolse la donna e il ragazzino nell'appartamento. La porta si chiuse ad attutire lamenti e grida di dolore che nella mezzora successiva saturarono l'aria. La facciata dell'edificio cadente e trascurata aveva per lungo tempo scoraggiato potenziali inquilini e forse non era un caso che solo l'appartamento numero due fosse occupato. A poco a poco i lamenti si dissiparono, l'uscio si aprì permettendo alla donna e al ragazzo di allontanarsi a passo svelto. Le espressioni indecifrabili: paura, incredulità, forse sollievo. Emmanuel li seguì barcollando, giunto all'uscio si arrestò.

«Non. . . non preoccupatevi, già da domani. . . vedrete. . . andrà molto meglio» li rassicurò appoggiandosi allo stipite quasi volesse recuperare le energie.

La donna si voltò e mormorò una flebile risposta che non poté udire. Si girò accostando un fazzoletto alle labbra; le asciugò cautamente dalla sostanza viscosa che iniziava a scolargli lungo il mento.

Il ragazzo osservava l'edificio che aveva appena lasciato, le lacrime lentamente iniziavano a rigargli il volto, fissò intensamente una finestra al secondo piano: per la prima volta da tanto tempo si sentì pieno di vita, i suoi occhi accesi di gratitudine, come una fiamma che divampa e dissipa la disperazione. Questo era il compenso più grande per Tim e per il compagno. Emmanuel si chiuse la porta alle spalle, subito dopo il rumore nitido di una caduta.

capitolo 12

L'attesa l'aveva innervosito. Nonostante la sala fosse praticamente vuota non era riuscito a chiudere occhio. Era la seconda volta che si trovava nell'aeroporto di Bologna, per la seconda volta avrebbe viaggiato in aereo. Rifletté sulla ragione che lo aveva portato lì in entrambe le occasioni: la morte di suo padre. Sorrise amaramente all'ironia della cosa, Marc odiava volare. Stava seduto con le gambe divaricate, il busto in avanti, in appoggio sui quadricipiti reggeva la testa con le mani, lo sguardo fisso sul pavimento, il pensiero altrove. Se nei due anni precedenti aveva dissimulato la sofferenza con l'apatia, arginato il dolore con un'apparente tranquillità, l'indifferenza di un tempo ora lasciava spazio ad un bisogno incontenibile di vendetta. Aveva preso finalmente atto dei propri sentimenti, era in grado di controllarli, convogliarli verso un obiettivo e non si sarebbe fermato finché non l'avesse raggiunto. Una voce si insinuò nei suoi pensieri, l'hostess annunciava l'apertura dell'imbarco. Prese la valigia e si diresse velocemente al gate, pochi minuti dopo era sull'aeromobile insieme a circa 40 passeggeri. Ripose il bagaglio nel vano di fronte, si sedette accanto al finestrino e allacciò la cintura, quindi chiuse gli occhi.

Aveva dormito profondamente, fu svegliato dalla voce che annunciava l'imminente atterraggio e invitava i passeggeri ad allacciare nuovamente le cinture di sicurezza. Guardò l'orologio. Le 05:21. Si sentiva rigenerato, pronto. Dopo tanto nessun incubo aveva disturbato il suo sonno, aveva dormito in pace. Si chiese quale fosse la causa di quel cambiamento e seppe darsi la risposta più logica: il lavoro di Sara era stato perfetto, la sua mente aveva portato alla luce tutto quello che nascondeva e che per settimane aveva restituito frammentariamente negli incubi che l'avevano tormentato. Tuttavia, alcuni dati mancavano ancora, particolari dei suoi ricordi che non riusciva a mettere a fuoco: cosa c'era nella cattedrale che gli sfuggiva? Cosa si celava dietro quel grosso portone nero, solo uno specchio? Perché l'emblema d'oro gli si ripresentava costantemente? Le domande lo assalivano ma sapeva che solo lì avrebbe trovato le risposte. L'aereo atterrò, stavolta Patrich fu sorpreso dalla brusca toccata a terra e dall'applauso dei passeggeri. Pensava fosse stupido applaudire, in fondo il pilota faceva il suo lavoro, certo la responsabilità che aveva era enorme, le vite di decine di persone dipendevano dalle sue azioni. In quel preciso istante ricordò le parole che il nonno gli aveva rivolto prima che partisse. Anche lui aveva una tremenda responsabilità: le sue decisioni, le sue azioni si sarebbero ripercosse sulla vita di molti altri, questo lo sentiva. Non appena la spia delle cinture si spense, scivolò fuori dal suo posto, estrasse il bagaglio dal vano e si mise in fila per scendere. L'aria gli sfiorò il viso, fu inebriato da un sapore strano, diverso. L'aeroporto di Bruxelles era perfetto in ogni dettaglio. Decine di aerei erano in fila per decollare e in pochi minuti altrettanti sarebbero atterrati. Chissà quante persone avrebbero applaudito il loro pilota. Patrich cercava di immaginare la gratificazione che un comandante di aerei potesse avere, al di là dei soldi, dalla passione per il volo. Ciò che più lo affascinava era il potere, l'unicità, tutto era nelle mani del pilota, condurre i passeggeri alla meta, definirne il destino, sull'aereo il pilota era l'unico a decidere. Essere insostituibile e infallibile, Patrich ambiva a questo. Fino ad allora la sua vita era stata vuota, da quando suo padre era venuto a mancare aveva perso la voglia di vivere, non si era mai sentito partecipe di qualcosa di importante, non aveva mai compiuto azioni degne di lode, nessuno si era complimentato con lui o ne aveva apprezzato i risultati. Per lungo tempo era rimasto chiuso in sé stesso non permettendo agli altri di entrare, ora tuttavia aveva un'ambizione, provava dei sentimenti, agiva con uno scopo preciso. Per un attimo sorrise all'idea poi uno spintone lo riportò alla realtà. Alle sue spalle la fila si era accalcata, non si era accorto di essersi piantato come un palo proprio su un gradino mentre scendeva. Si voltò e guardò in faccia il ragazzo che l'aveva strattonato, era il tipo che volentieri avrebbe preso a pugni; si trattenne a stento dall'avviare una rissa, non aveva il tempo, ecco tutto. Gli rivolse uno sguardo sprezzante e minaccioso, poi come guidato da una forza estranea e invincibile si voltò a destra. Tutti i passeggeri scesi dall'aereo accanto atterrato poco prima erano saliti sulla navetta eccetto uno, un uomo in giacca e cravatta, occhiali neri, e ancora, un volto tremendamente pallido lo osservava. Patrich incrociò il suo sguardo, non esitò un solo attimo, accelerò il passo, poi prese a correre lungo la pista. Inutile aspettare sperando di non dare nell'occhio e rischiare di essere raggiunto dal tipo. Sapeva che in un modo o nell'altro non sarebbe sfuggito alla polizia; se a Modena un ex poliziotto molto influente gli aveva consentito di imbarcarsi, qui la calibro nove non sarebbe passata inosservata, era solo questione di tempo. Dalla navetta gli altri passeggeri li osservavano sbigottiti. Affannati passarono correndo gli arrivi, Patrich voltandosi di scatto notò come il suo inseguitore colpisse con violenza le persone scagliandole a parecchi metri di distanza. La sua forza era sbalorditiva. Ancor più la sua velocità; nonostante le persone gli fossero da ostacolo sembravano trasparenti, come banchi d'aria solo più densa. Ormai rischiava di essere raggiunto. Un colpo di pistola prese l'individuo alla spalla, una pallottola gli sibilò vicino l'orecchio. L'inseguitore tuttavia sembrò non farvi caso, fu allora che Patrich si convinse: l'uomo non era normale. Un altro proiettile lo colpì alla gamba, quindi uno allo stomaco. La polizia non si era di certo risparmiata e mirava ora alla sua persona. Si rese conto che per le forze dell'ordine non c'era differenza tra lui e l'individuo da cui fuggiva: due persone sospette, armate, scese da un aeromobile avevano attraversato la pista correndo, senza prendere la navetta, due criminali, due mafiosi, di certo non onesti cittadini. Ormai la folla si disperdeva in preda al panico; Patrich doveva approfittare del caos e uscire, attraversò svelto la porta automatica. Una volante gli tagliò di netto la strada, era finita, pensò. Invece il poliziotto da dentro gli fece cenno di entrare in fretta. Patrich ubbidì, anzi, fu la sua mano a muoversi senza ordine, era rassegnato, sapeva che in un modo o nell'altro la polizia lo avrebbe preso. Appena entrato nell'abitacolo la vettura partì, il conducente non disse una parola, raggiunsero con estrema calma l'uscita principale. La guardia aprì il passaggio a livello «Sergente Van Maelee.» L'autista rispose con un sorriso. La vettura lo aveva condotto fuori da quel casino ma Patrich sospettava di essere entrato in uno ben più grosso. Rifletteva guardando fuori dal finestrino, l'ambiente gli sembrava familiare e nel contempo estraneo. L'autista non gli rivolgeva parola colse tuttavia più volte il suo sguardo nello specchietto retrovisore, lo stava osservando, ne testava le emozioni. Dopo circa un'ora l'auto si accostò al ciglio della strada, Patrich la riconobbe subito: era dinanzi la sua vecchia casa, lì dove il padre era morto. Sgranò gli occhi rivolgendosi alla guida spazientito.

«Chi cazzo sei? Non sei uno sbirro vero?»

L'altro spense la vettura, scese e invitò Patrich a fare lo stesso. Lo raggiunse sul marciapiede e lo colpì con uno schiaffo sonoro.

«Sei proprio un idiota! Ti rendi conto che hai attirato un casino di gente su di te? Possibile che tu non sappia ragionare?! Potevi rimetterci la pelle! Fortuna che ero già in macchina ma pensavo di prenderti in tutta calma appena sceso dall'aereo, invece che cazzo fai? Inizi a correre come un cretino! Incredibile!»

Patrich restò di sasso. La guancia gli faceva tremendamente male eppure percepiva l'ansia di quella persona per lui, lo stava aspettando, probabilmente da molto tempo. «Guarda, io...ho capito, ma. . . lo hai visto anche tu quello, no?! Non sembrava umano, correva come un pazzo e gli hanno sparato almeno tre volte... Secondo te cosa avrei dovuto fare? Aspettarlo a braccia aperte? Quello era lì per me! Lo so che vogliono prendermi!»

«Vogliono?» indagò sorpreso il poliziotto, s'interruppe, poi continuò.

«Non è la prima volta che vedi quel...tipo, vero?»

«Assolutamente! Non so se fosse proprio lui, però in Italia ne avevo due alle calcagna la scorsa notte. Ero da una amica e loro mi attendevano fuori dall'appartamento per prendermi. Sono riuscito a fregarli passando dal tetto della palazzina e adesso che ho visto cosa sanno fare ho davvero paura per la mia amica» si sfogò Patrich con il groppo in gola.

Il sergente Van Maelee rifletté adirato: quei bastardi lo tenevano d'occhio da parecchio e in Belgio non ne sapeva niente nessuno. Questo significava che ormai erano circondati.

«A questo punto è il caso che mi presenti; sono il sergente Eddy Van Maelee, della polizia aeroportuale di Bruxelles» sorrise cercando di smorzare la tensione.

«Patrich Martens.»

Eddy rabbrividì al solo sentir pronunciare quel nome, avrebbe tanto voluto confortarlo e metterlo al corrente di cosa stava accadendo ma Johan aveva dato disposizioni precise: spettava solo a lui informarlo dei fatti.

«Senti Patrich, adesso devo andare, io non posso restare qui. Torno all'aeroporto, quel tipo non è ancora sistemato, sono piuttosto difficili da stendere.»

«E tu come fai a saperlo? Li hai già visti prima?» chiese Patrich mentre il suo sguardo si faceva sempre più confuso.

«Senti il mio compito era di portarti qui, punto. Il resto devi farlo da solo. Spero vivamente tu sappia cosa fare per rimanere vivo. Cerca di non crepare.»

Il sergente era già salito in macchina, fece frettolosamente inversione e accelerò, i lampeggianti accesi. Il giovane seguì con lo sguardo l'auto sin dove l'occhio poteva arrivare, quindi voltò le spalle alla strada. Nel prato ingiallito era ancora piantato il cartello Vendesi. Nessuno voleva sapere di quella casa dopo gli eventi che vi erano accaduti. Ora era solo e spaventato. Patrich forzò la porta incurante dei passanti, era casa sua, semmai si sarebbe giustificato dicendo che aveva smarrito le chiavi. Entrò. L'aroma dei mobili antichi e la leggera penombra che le persiane creavano lasciando penetrare esili raggi di luce; tutto simile a come lo ricordava. Amava quell'atmosfera, così come suo padre. Procedette a piccoli passi, lentamente, tralasciando cucina e sala, si diresse verso lo studio di Marc. Di nuovo gli tornavano alla mente ricordi, taluni confusi altri nitidi. Era a casa, il padre gli faceva l'iniezione, questa volta accanto a loro c'era un altro uomo. Era come si fosse materializzato dal nulla. Molte volte aveva rivissuto quello stesso episodio, tante che aveva messo a fuoco tutti i particolari, dalla posizione degli oggetti nella stanza, al periodo dell'anno, alla temperatura; avrebbe potuto persino tracciare il ritratto di suo padre marcando nella sua espressione ogni sentimento. Di quell'uomo però non si era mai ricordato, né aveva sospettato vi fosse qualcun altro: a parte lui e suo padre la stanza era sempre stata vuota. Si concentrò sul nuovo elemento, un uomo in giacca e cravatta. Non riusciva a vedere altro. Aprì senza esitazione la porta dello studio, ogni cosa sembrava al suo posto, nulla era stato toccato. Accarezzò lievemente il legno della grande scrivania e gli sembrò per un attimo di posare le dita sul viso dell'amato padre. Si sedette alla poltrona di pelle e assaporò il silenzio. Chiuse gli occhi. Ancora un'immagine: un prete parlava con suo padre. Patrich si alzò di scatto, adesso non aveva più dubbi, la cattedrale di Mechelen sarebbe stata la sua prossima meta. Lì qualcuno lo stava aspettando, ne era sicuro. 

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