Raving. Ladro di Cuori

By fiorexstories

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#2 SOSPESA PER IL MOMENTO È difficile comprendermi. Spesso, nemmeno io ci riesco. Sarà perché sono perenneme... More

Prologo
Capitolo uno.
Capitolo tre.
Capitolo quattro.
Capitolo cinque
Capitolo sei.
Capitolo sette.
Capitolo otto.
Capitolo nove.
Capitolo dieci.
Capitolo undici.
Capitolo dodici.

Capitolo due.

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By fiorexstories

Acqua.
Avevo un disperato bisogno di acqua. La mia gola era più arida del Sahara, porca miseria, e nelle mie vene scorreva ancora più alcol che sangue. Non che fosse una novità, comunque.

E non era nulla di nuovo nemmeno il corpo mezzo nudo di fianco al mio. Emisi un mugolio assonato, strofinandomi gli occhi, e cercai di ricordare qualcosa della sera precedente.

Ma nulla. Zero, il vuoto. Avevo a mente solo il momento in cui ero arrivata alla confraternita e mi ero data al gin, poi il buio totale. Dovevo smetterla di massacrarmi il fegato, maledizione.

Girai il volto, puntai al ragazzo che continuava a dormicchiare indisturbato. Ugh, era biondo. Ero davvero messa così male la sera prima? Non mi erano mai piaciuti i biondi.

Senza alcuna delicatezza, gli diedi una botta sulla spalla. «Ehi!».

Niente. Al contrario, il tipo ebbe l'ardire di spalancare la bocca e russare.

Okay. Allora.
Non ci siamo.

«Ehi!», riprovai più forte, le mie corde vocali raschiarono e il cerchio in testa si fece più risoluto. «Svegliati, cazzo!».

All'ennesima manata che gli assestai sul braccio, finalmente, sussultò e spalancò gli occhi. Azzurri. Nel complesso, dopo tutto, era carino.

Impiegò un po' per mettere a fuoco, dovette sbattere le ciglia un paio di volte e stiracchiarsi come un ghiro, poi sbadigliò e sprofondò la testa nel cuscino, mugugnando un: «Che c'è?».

Dio, sempre la stessa storia.

Roteai gli occhi, mi scrollai di dosso le lenzuola e, con le chiappe al vento, scesi dal letto per dirigermi verso l'armadio.

«Woah!», lo sentii esclamare alle mie spalle.

Davvero molto esaustivo, dovevo dargliene atto. Immaginavo che gran discorsi avessimo fatto per finire a rotolarci sul mio materasso.

Spalancai l'anta di legno. «Sì, bravo», sbadigliai, quindi afferrai la biancheria intima abbinata, dei jeans attillati e una magliettina bianca. «Io vado a farmi una doccia...»

«Ce la facciamo insieme?».

Nemmeno lo guardai, tirai dritta verso la porta. «E quando torno voglio trovare questa stanza vuota».

«Ma pensavo...»

Lo scricchiolo della serratura che si chiudeva coprì la voce del ragazzo, per fortuna. Non mi andava proprio discutere anche quella mattina.

A quanto pareva, non esistevano più gli uomini di un tempo o, perlomeno, non riuscivo a beccarli io. All'improvviso volevano tutti intrattenersi e fare conversazione.

Pronto?
Dammi il cazzo e poi dissolviti. Non me ne frega niente di te.

Sotto il getto d'acqua, arricciando la bocca, mi battei la mano sul petto per controllare il mio battito. Sì, avevo ancora un cuore. D'ottone, ma c'era.

Diedi un secondo colpo, giusto perché mi piaceva il rumore che faceva il mio palmo sulla retromarcia che portavo. Non avevo tette, solo capezzoli, e quando mi ritrovavo a guardare i due meloni di Rora ogni tanto mi chiedevo se facesse male la schiena nel portare quel peso.

Però trovavo carina la mia tavoletta da surf. Secondo me era dolce. Mi dispiaceva solo che non avrei mai potuto provare una spagnola. Peccato.

Intanto che mi insaponavo il corpo, ridacchiai alla reazione che avrebbe avuto mio padre dinnanzi ai miei pensieri impuri. O alla vista del ragazzo che, speravo, stava lasciando la mia stanza dopo una notte da sballo.

Povero pastore Sanders, costretto ad avere una figlia simile!

Gne.

Immaginavo fosse una fortuna che avessi abbandonato il nido a Lewisville, in Texas, per trasferirmi a Stanford, ben distante dalla mia famiglia e della vergogna di cui la ricoprivo.

Soppressi l'improvvisa risatina amara che mi si incastrò nella gola, desiderosa di uscire fuori e latrare, fino a scorticare tutti i miei ricordi più bui. Non glielo permisi, la memoria era il fulcro di tutto.

Quando uscii dal bagno, già vestita con i capelli sciolti, appresi di essere rimasta sola, tuttavia scorsi un bigliettino stropicciato abbandonato sulle lenzuola sfatte.

In caso cambiassi idea, tesoro, ecco il mio numero. 
- Sebastian

In allegato delle cifre che mi fecero sbuffare. Riposi il foglietto nel comodino, proprio di fianco alla ciotola dei preservativi, insieme ad altri pezzetti di carta simili.

Non è che li collezionavo, semplicemente era meglio tenersi una scorta per i tempi di carestia. Ero una che giocava d'anticipo, io. O perlomeno ci provavo.

Lanciando un'occhiata al display del mio cellulare, comunque, mi accorsi di due fattori fondamentali: il primo era che dovevo al più presto cambiare sfondo, visto che nell'immagine portavo ancora lo smalto blu — adesso era rosso — e il secondo che ero in ritradissimo.

Ciononostante mi presi lo stesso un momento per dissetarmi. Bevvi due bicchieri d'acqua, emisi un sospiro di sollievo e poi uscii con totale calma. Ormai il danno era fatto, tanto valeva andare allo sbando senza farmi venire una crisi di nervi.

In piedi sulla navetta, sfilai il cellulare dalla tasca per recuperare gli ultimi messaggi arrivati. Me ne ero persi un bel po', tutti provenienti dal gruppo che avevo con le altre.

Rora:
"Sono appena uscita da lezione, sto andando in mensa. Voi dove siete?"

Kris:
"Wow. Oggi ci degni della tua presenza? Che fine ha fatto Athos Rompipalle McDravhion?"

Rora:
"Si sta riposando. Stamattina l'ho spompato ;). Forse ci raggiunge dopo"

Eloise:
"Hahahah. Io due minuti e sono lì"

Chandra:
"Sempre più fiera di te, R"

Evitai di rispondere alle altre o commentare. Kris doveva decisamente risolvere i suoi problemi di inferiorità, mentre Eloise... Eloise avrebbe dovuto guardare qualche tutorial su come farsi una personalità. Era un po' quella inutile del gruppo: c'era o non c'era non faceva alcuna differenza.

Wow. Ero davvero una bella stronzetta. Eppure in teoria studiavo psicologia. Vabbè, deformazione di nascita, immaginavo.

Comunque, non raggiunsi mai il professor Rivers, nonché il mio coordinatore, in tempo. A quanto pareva, il mio ritardo si era dimostrato più tragico di quanto pensassi.

Per fortuna, però, ebbe la brillante idea di lasciare le cartelle che mi servivano in segreteria. Fu una faticaccia attendere la fila e riuscire a comunicare con Stella, nata forse nel Paleolitico, ma alla fine uscii vincente dalla mia missione.

Le cose stavano così: l'indomani avrei iniziato il mio tirocinio al San Quentin, il penitenziario di San Francisco, e dovevo a tutti i costi svolgere il mio compito alla perfezione. Il lavoro mi sarebbe valso il sessanta percento del voto finale.

E per prepararci al meglio, dal momento che ad altri due compagni era stato affidato lì il praticantato, Rivers ci aveva lasciato le cartelle dei detenuti che avevano fatto richiesta di terapia per quella settimana.

I miei giorni erano martedì e venerdì per un totale di cinque pazienti a turno. Considerando che avrei dovuto semplicemente seguire il mio tutor, pensavo che potesse essere fattibile come cosa. Beh, sbagliavo. Ma l'avrei scoperto dopo, questo.

Per il momento, ignara, mi limitai a stringere i fascicoli e incamminarmi verso la mensa, dicendomi che li avrei sfogliati più tardi al dormitorio in totale tranquillità. Speravo solo che mi fossero capitate persone trattabili.

Non appena misi piede nella sala, impiegai ben poco a trovare una testolina rossa. Rora, nonché la mia compagna di stanza dal primo anno, promossa a migliore amica. Cazzo se volevo bene a quella ragazza.

A mio parere, non esisteva persona al mondo che non andasse d'accordo con lei. Aveva una specie di super potere della socialità, attraeva senza neppure rendersene conto e nemmeno doveva impegnarsi.

La raggiunsi giusto in tempo prima che finisse la sua vaschetta di patatine. Non avevo voglia di farmi un'altra fila, così gliele rubai al volo.

«Ehi!», esclamò, presa alla provvista, intanto che me ne ficcavo una manciata in bocca.

«Ciao», mugugnai, masticando, e visto che già c'ero presi in prestito anche la sua bottiglietta d'acqua. Bevvi un sorso generoso.

«Fa' pure con comodo».

«Grazie».

«Tanto per la cronaca, hai un aspetto terribile».

«Ho ancora un po' di postumi, cazzo».

«Sai, è questo il prezzo da pagare quando ti ubriachi quasi ogni sera».

Non dovetti neppure voltarmi. Riconobbi la voce squillante di Kris. Se già da sobria mi faceva venire il mal di testa, quando bevevo mi trapanava le tempie.

Feci una smorfia e la osservai sedersi al fianco di Rora, accompagnata da Eloise. «Almeno io mi diverto».

Le sue sopracciglia castane schizzarono in alto e scoccò un morso vorace alla mela rossa che stringeva. «Vorresti dire che io invece non lo faccio?».

Sollevai i palmi. «Beh, l'hai detto tu, dolcezza».

«Vaffanculo, CeCe. Non iniziare che oggi non sono in vena».

Accennai un sorrisetto dinnanzi alla brace che le riempì le iridi nocciola, mentre Rora mi assestava una gomitata nel fianco per intimarmi di smetterla. Un classico. Pura routine.

«Oh no». Misi un finto broncio e sbattei le ciglia. «Cosa è successo, principessina?».

«Ti importa davvero?».

«No».

Eloise sbuffò, ciononostante restò in silenzio. Non andò in difesa della sua amica. Non lo faceva mai, anche quando era palese la difficoltà di Kris.

L'unica a frapporsi era sempre R, come in quel caso che sospirò e chiese alla ragazza un dolce: «Ignorala e dicci tutto, Kris».

Al che le lasciai ai loro pettegolezzi. Mi premurai piuttosto di finire ciò che ne era rimasto del pranzo della mia amica. Quell'ingorda non aveva lasciato neppure un cucchiaino di budino al cioccolato. Aveva ripulito del tutto la confezione.

Scrollai il capo, scontenta.

Quindi tornai a dedicarmi alle patatine. Non mi andava proprio di ascoltarle parlare di Vergo McDravhion che, sorpresa sorpresa, faceva ciò che gli riusciva meglio: lo stronzo.

A giudicare dagli sguardi di sottecchi che Kris continuava a lanciare oltre le mie spalle, doveva essere lì da qualche parte, probabilmente insieme all'ennesima ragazza di turno.

Non riuscivo proprio a capirla. Ormai si erano lasciati da più di sei mesi, stava insieme a un altro, eppure il suo ex rappresentava la sua più grande ossessione. Si stava ammalando. Sia lei che lui, in realtà, visto che quest'ultimo faceva di tutto per farsi notare da Kris.

Sembravano dei ragazzini di quindici anni che dovevano farsi le ripicche.

Era davvero un peccato che Drew, una delle mie persone preferite e fratellastro della pazza ossessionata, fosse impegnato con Hamish, il suo ragazzo e futuro marito. Eh già, il mio amichetto speciale si sposava.

Ebbi un brivido di ribrezzo. Più pensavo alla vita di coppia e più mi rendevo conto che non era una cosa per me.

«Ieri avremmo fatto un anno. Un anno. E lui ha messo una stupida storia su Instagram mentre era in discoteca a divertirsi e strusciarsi su chiunque. E sapete poi che ha scritto?», sbottò, afferrando i bordi del tavolo di metallo e sporgendosi in avanti. «Love this life».

«Sono d'accordo con lui», bofonchiai.

Mi incenerì con un'occhiata. «No, tu sei contro di me, che è diverso».

«Nah, non darti questa importanza». Agitai la mano pigramente. «Si stava divertendo, cosa volevi che scrivesse? Anzi, buon per lui che ama la sua vita. Magari la pensassero tutti così».

Oddio, se così fosse stato io non avrei mai lavorato.

Fatto stava, però, che tra me e Kris iniziò uno dei nostri tipici scontri: ci fissammo a vicenda, io un viscido serpente e lei una leonessa incastrata dal proprio ruggito. E per quanto mi sarebbe piaciuto aiutarla a liberarsi, doveva prima capire di volerlo.

Non era mai scorso buon sangue tra di noi, tutt'altro. E anche se tutti pensavano che la vera ragione fosse la mia gelosia nei riguardi di Rora, la verità era che non sopportavo vedere qualcuno piangersi addosso e non fare nulla per asciugarsi le lacrime. Al contrario, lei ci sguazzava dentro nel suo stesso pianto.

Difatti eccola lì, che distolse lo sguardo e diede un altro morso brusco al frutto. Tipico.

Un senso di delusione mi oppresse lo stomaco, torse gli angoli delle mie labbra per incentivarmi a premere sulla ferita, a insistere, tuttavia una nuova voce mi distolse dal mio intento.

«Ehi», mormorò il timbro basso e seducente di Athos McDravhion, che si chinò per lasciare un bacio sulla testa di R.

«Ciao, Mac, ci siamo anche noi». Abbozzai un sorrisetto ironico.

Mi ignorò. Restò solo a guardare la sua ragazza.

Avrei sbuffato di fronte a quella dolcezza se solo il volto della mia amica non si fosse aperto in un sorriso così splendente. Non l'avevo mai vista così felice come negli ultimi mesi. Il potere del buon sesso.

«Ehi», disse lei, voltandosi. «Non ti siedi?».

«No, sono passato solo a salutarti prima di andare al colloquio con Raving». Stavolta le lasciò un bacetto a stampo, incurante di tutti noi e gli sguardi che avevano addosso. «Ci vediamo stasera da me?».

Rora rispose qualcosa. Forse di sì, tanto ormai viveva praticamente con lui. Tuttavia non ascoltai granché.

Il mio cervello rimase incastrato sulla menzione di Raving McDravhion, il bastardo che mi ero scopata alla festa di inizio anno alla Phi Sigma Kappa.

In realtà, neppure mi sarei ricordata di lui se solo, a distanza di qualche settimana, non me lo fossi ritrovato a un'altra festa, ad Halloween. A dire il vero, a sua discolpa, era stata organizzata in casa sua dai fratelli, ma io non avevo la minima idea di chi fosse allora.

No. Avevo scoperto il suo nome soltanto perché, dopo averci provato per tutta la serata con una strafiga del terzo anno di medicina, lui aveva ben pensato di soffiarmela da sotto al naso e scoparsela contro la porta del bagno. Mentre io me la stavo facendo sotto dall'altra parte del muro, peraltro.

E si era assicurato di farmi sentire quanto fosse durato quella volta.

Nulla di sconvolgente, comunque, se solo non avesse fatto lo stesso con il ragazzo che avevo trovato in cucina. Lui se lo era limonato sul bancone.

Non importava chi, come o quando. Raving arrivava e si prendeva ciò che volevo io. E più che farmi incazzare, era riuscito a farmi eccitare più di quanto avesse mai fatto chiunque altro.

Peccato che non mi piacesse ripetere giostre che avevo già fatto.

Ma, a parte tutto questo, mi dispiaceva che fosse finito dietro le sbarre solo per aver dato a Rhett Greyson, il coglione che importunava Rora, ciò che si meritava.

Se ci fossimo mai rivisti, gli avrei battuto il cinque. A Raving, intendevo.

L'unica persona in cui mi fossi mai riconosciuta anche solo per un effimero attimo.

Ormai lo sapete che non rispetto mai i countdown 💀

Vabbè non succede niente lol, però ci stiamo per addentrare nella storia.
E abbiamo qualche dettaglio in più su Chandra.

Eh, chissà a chi dovrà fare da psicologa la nostra CeCe... chissà 😂

Comunque spero che vi sia piaciuto.
Vi chiedo solo di lasciarmi una stellina 🙏🏻

Detto ciò, vi aspetto su Instagram dove vi ho lasciato come al solito il box domande per parlare del capitolo.

{fiorexstories}

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