Más que nunca - Paulo Dybala

By DybalasPap810

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La storia di un viaggio. Di un incontro casuale ed inaspettato. La storia di Beatrice, che realizza un sogno... More

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Capitolo 9
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Capitolo 11
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Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Capitolo 56
Capitolo 57
Capitolo 58
Capitolo 59
Capitolo 60 - Epilogo
Ringraziamenti
GRAZIE
Classifiche
II parte - Nada màs - Prologo
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15 novembre 💎✨
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Forza Italia
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32
21 Marzo 2022
33
Nota
34
35 - Epilogo
Ringraziamenti II
15 novembre 2022
18 dicembre 2022 Campione del Mondo 🇦🇷💎
Missing moments: 1
15 novembre 2023
Missing moments : 2

Capitolo 37

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By DybalasPap810

Avrei dovuto avvisarvi alla fine del capitolo precedente, ma ero troppo presa dal ringraziarvi per gli infiniti commenti e messaggi, che mi è sfuggito.
Volevo dirvi di prepararvi, a questi capitoli, che saranno mooolto delicati, o forse delicati non è l'aggettivo giusto. Magari lo troverete voi. Vi ho avvisati, buona lettura :)





"No, non mangerai un'altra insalata. Stasera pizza e partita!" comincia ad urlare Simona dal bagno della sua casa a Torino, mentre raggiunge la cucina, poggiando le buste con la spesa e il regalo per il piccolo Leo, che avevamo deciso di fare insieme.

"Sei dimagrita un casino e troppo presto. Ora non torni a casa tua finché questi chili non li riprendi tutti, a costo che ti imbocchi a forza" continua lei, mentre io la seguo in silenzio.

In fondo, aveva ragione. In poco meno di un mese avevo perso qualche chilo, tra lo studio, le lezioni, il lavoro e la poca fame in generale.
A volte facevo talmente tante cose in una giornata, che dimenticavo di mangiare ed arrivavo a casa con la sola voglia di buttarmi a letto e dormire.
Ma non avevo intenzione di riprenderli, perché credo che, se mi fossi impegnata, non sarei riuscita a perderli così facilmente.

"Credi che piacerà il regalo a Leo?" le chiedo, ignorando le sue parole e aiutandola nel sistemare la spesa, fatta insieme poco prima.

Una volta arrivata alla stazione di Torino, insieme io e Simona avevamo cominciato a girare vari negozi di giocattoli per trovare il regalo giusto.

Ma cosa compravi ad un bambino che a sei anni era già più ricco di te e aveva qualsiasi tipo di giocattolo possibile? E soprattutto, come potevi competere con i regali degli altri, miliardari come suo padre?


Non avresti di questi problemi, se solo non avessi lasciato Paulo... mi sento ripetere da troppe volte in queste ore nella mia testa, che però continuo tranquillamente ad ignorare.

"Spero di si, dai. Non è né troppo tecnologico, e sai che Roby odia le cose elettroniche, né troppo antico. Sono costruzioni lego, piacciono a tutti, anche a Paul.." si blocca a metà nome, rendendosi conto della grande gaffe, e poi si mette una mano davanti alla bocca.

Faccio una piccola risata, rendendomi conto che le è venuto davvero spontaneo, ed era la prima volta che ci vedevamo dopo la mia rottura con Paulo.
Non era abituata a non poterlo nominare più.

"Dio, scusa, sono una stupida" mi dice subito, mentre già la mia mente vaga a quella determinata zona della sua casa in cui, come un bambino che conserva le sue cose nella sua cameretta, lui aveva i suoi "piccoli gioiellini", come li chiamava lui, tutti in ordine su una mensola del mobile bianco del salotto.

"Tranquilla... e poi hai ragione!" le dico subito, facendola tranquillizzare e facendole scappare una piccola risata di sollievo.


"Quindi, sai cosa si sono detti lui e Alessia, a Firenze?" mi chiede, mentre ci sediamo a tavola a mangiare la pizza calda che avevamo ordinato e che era appena arrivata a casa, e accendiamo la tv per vedere il posticipo della domenica: Juventus – Udinese.

Dopo questa partita, e soprattutto se avessero fatto un buon risultato, la squadra avrebbe sicuramente avuto una giornata di riposo, per questo Claudio e Roberta ne avevano approfittato per fare una mega festa di compleanno per il loro bambino, nel giardino della loro casa, con gonfiabili e palloni da calcio.
Ci sarebbero stati anche i figli di vari compagni di squadra, almeno i più stretti, e sicuramente non sarebbe potuto mancare Paulo, che adorava i bimbi di Claudio tanto quanto loro adoravano lui. Ma a questo non ci volevo ancora pensare.

"Ha chiesto di me. Come stessi, cosa facessi, se vedevo qualcuno, se mangio", le elenco, addentando il primo pezzo di pizza e alzando il volume della tv.

Un piccolo sorriso le spunta spontaneo sulle labbra nel sentire le ultime parole, rincuorata dalla sua preoccupazione per la mia salute.
Ma a me, invece, fa arrabbiare ancora di più.
Se tengo ad una persona e penso di vederla in difficoltà, mi precipito da lei, e lui non lo aveva fatto.

"Se vedi qualcuno? - mi chiede corrugando la fronte

"Beatrice... devi dirmi qualcosa?" chiede ancora, facendomi scoppiare a ridere.

"Beh, diciamo che potrei aver conosciuto meglio qualcuno... di cui non mi interessa assolutamente niente e con cui non voglio avere niente se non una grande amicizia" le dico subito, riferendomi a Matteo e alla sua vicinanza sempre maggiore, da quando aveva saputo dai vari social che tra me e Paulo era finita.

"Ma daii... Perché no? Lui è così carino, e tu ne hai bisogno" continua lei, in un tono dolce e lamentoso, da farmi alzare ancor di più il volume della tv.

Le avevo parlato qualche volta di lui e lei da brava stalker lo aveva trovato su Instagram, studiato, guardato dalla prima all'ultima foto e approvato all'istante.

In realtà, anche a me all'inizio intrigava.
Barba corta, occhi chiari, capelli castano scuro e un po' ricci, studente di economia, un anno più grande di me.
Non era proprio il tipo che sognavo, ma faceva la sua bella figura.

"Perché non mi va, adesso" le dico, velocemente e con un tono che non vuole portare avanti ancora questo genere di conversazioni.

E perché non è lui.. perché nessuno è lui, avrei voluto aggiungere, ma credo che lo abbia letto nei miei occhi, visto come continua a guardarmi, seria.

"Oh, guarda, Claudio!" urlo, indicando la tv e facendola girare di scatto.

Eravamo diventate sue amiche, ma in fondo rimanevamo sempre sue grandi tifose.
Ci stava, guardare incantate lo schermo della tv che lo riprendeva riscaldarsi per la partita.

Dopo un po' di tempo, torno a guardare le partite con la stessa foga che non avevo da un po'.
Da vera tifosa, cosa che avevo un po' smesso di fare da quando avevo conosciuto Paulo e avevo cominciato a frequentare lo stadio con Roby, da lì ero diventata più contenuta.

Quella sera, invece, ero di nuovo la tifosa che sbraita ad un'azione sbagliata, urla ad un palo, incita a segnare, e farlo insieme ad una delle mie migliori amiche mi faceva stare così bene, che non mi aveva pesato nemmeno la doppietta del numero 10.
Avevamo esultato insieme, abbracciandoci al gol, così come facevano i ragazzi in campo, felici di aver guadagnato quei punti che gli avrebbero permesso il sorpasso in classifica.

Avrei dovuto odiarlo, eppure vederlo così felice, circondato da tutti i suoi compagni che lo abbracciano e gli danno pacche sulla testa e sulla spalla, che lo prendono in braccio come fosse un bambino, poteva farmi scoppiare il cuore, ancor di più vederlo abbracciarsi così forte con Claudio, quello si, il cuore me lo faceva scoppiare davvero.

Ancora una volta, lo vedo portare alle labbra la parte del polso destro ricoperta dal nastro adesivo nero, che copriva a sua volta il mio bracciale e perdo un battito, sperando Simona non abbia notato il mio cambiamento d'espressione.

Non mi andava di raccontarle ora la storia del bracciale, e ricordare un bel momento che adesso era così lontano e irraggiungibile.

Aspettiamo con ansia il triplice fischio, alzandoci in piedi e avvicinandoci alla tv, sorridenti.
Alcuni compagni di squadra hanno già smesso di correre, hanno le braccia alzate in segno di vittoria, altri sorridono dalla panchina, pronti a raggiungere il centro del campo per esultare insieme, l'arbitro ha il fischietto tra le labbra, ma a mettere fine a tutto non sono i suoi fischi, ma un evento inaspettato e indesiderato.

Il tutto dura pochi secondi, secondi che però lasciano tutti a bocca aperta e senza parole, scossi e increduli, perché davvero non sembra possibile possa essere successo davvero.

Paulo si accascia a terra privo di sensi, mentre un mucchio di giocatori, compagni ed avversari, si precipitano a circondarlo e smuoverlo, posizionandolo supino e poi di lato.
Lo staff medico corre verso di lui, mentre l'intero stadio si ammutolisce in un silenzio davvero assordante, di quelli che fanno paura.
Non dovrebbe accadere, ma ringrazio che le telecamere riprendano ogni movimento e facciano vedere tutto, ma è difficile capire cosa succede, perché i medici inginocchiati su di lui sono coperti e completamente circondati da tanti ragazzi in divisa da gioco e da panchina.
Ma sono i loro volti a spaventarmi ancor di più, sono spaventati, attoniti, increduli e alcuni si coprono la faccia con la maglietta.

"Dio, ti prego. Fa' che stia bene. Dio, ti prego, farò tutto quello che vuoi, tutto quello che serve. Ma ti prego, ti prego, lascialo qui con me" mi dico nella testa, mentre continuo a fissare seria e completamente nel panico la scena che mi si sta parando davanti.

Nelle teste di tutti risuonava lo stesso pensiero, e lo stesso nome.
Davide.
Tutti erano ancora fin troppo scossi. Me compresa.
Era inevitabile non pensarci.

Viene portato via in barella e ancora con gli occhi chiusi, mentre nello stadio scoppia un applauso, ma non è il solito applauso di quando si incita a non mollare un giocatore che si è fatto male.
E' un applauso smunto, perché sono convinta che quelle mani che battono tremino di paura a tutti.
Tutti i ragazzi lo accompagnano fino a bordo campo, accolto poi da un mister bianco in faccia che fissa il suo giocatore privo di sensi a pochi passi da lui.
Pochi secondi più tardi sparisce tra i corridoi degli spogliatoi, la squadra si rimette in campo, ma l'arbitro fischia la fine della partita, nonostante ci fossero ancora due minuti di recupero da giocare.
I ragazzi spariscono dal campo, correndo nel tunnel, e come alla fine di ogni partita parte l'inno che rimbomba nello stadio, ma nessuno sbandiera le sciarpe, sorride o esulta, e nessuno si muove dai propri posti.

Sentendomi mancare, mi lascio cadere malamente sulla sedia della cucina, seguita da Simona che mi si avvicina porgendomi dell'acqua.
Smanetta al cellulare alla ricerca di notizie il prima possibile da Roberta o chiunque possa farci sapere qualcosa di più e subito.
Anche il mio cellulare comincia a squillare imperterrito, sicuramente qualche mio familiare o amico vorrà sapere qualcosa, ignari di tutto quello che mi era successo nelle ultime settimane.
O forse lo avevano saputo e intuito dai giornali, ma non avevano osato parlare con me.

Il mio pensiero va a chi di più vicino ha al mondo e alla paura che li starà assalendo.
I suoi migliori amici, i fratelli, la sua ragazza, sua madre... Dio, Alicia, immagino quel che provi, perché sto sentendo la stessa e identica paura anch'io, e ci sono già passata.

<<Roby... Roby ci sei? Dimmi qualcosa ti prego!>> sento urlare al telefono Simona, ma io non riesco nemmeno a girare lo sguardo verso di lei a guardare il suo volto e la sua espressione preoccupata.

Non riesco a fare nulla, vorrei piangere dalla paura, tremare, alzarmi e correre a piedi fino a qualunque luogo in cui possa trovarsi adesso, ma sono totalmente bloccata e incapace di muovere alcuna articolazione del corpo.

<<Si... si va bene! Ti prego avvisaci subito... Si, è qui... si ci penso io>> continua lei, prima di staccare e avvicinarsi a me.

"Sta raggiungendo il J Medical in cui è stato portato, ci farà sapere il prima possibile. Sta' calma, andrà tutto bene Bea" dice, accarezzandomi la spalla con la mano, ma lo sento nelle sue parole che non lo pensa davvero.

"Devo... devo chiamare qualcuno" balbetto, chiedendole con le mani il mio cellulare, che mi viene dato in pochi millisecondi.

Lo sblocco e comincio a scorrere nella rubrica ed è solo in quel momento che mi rendo conto di star tremando.
Simona mi ferma le mani, prendendole nelle sue e guardandomi negli occhi, ma io non la sto guardando, perché ho in testa un solo pensiero.

Dio, fa che stia bene, ti prego.

E ora chi chiamo? Perché Roby non ci fa sapere nulla?
Comincio col chiamare lei, ma non risponde.

<<Ti prego, dimmi
che va tutto bene>>

le scrivo.


Poi scorro la rubrica, trovando il suo numero.
Lo fisso per qualche minuto.
Sono certa che non risponderà, o almeno che non sarà lui a farlo, ma potrebbe rispondere qualcuno per lui, come suo fratello, o Nahuel, o sua madre... Dio, sua madre, chissà come sta.

Poi, risponderebbero a me? E se dovesse esserci Antonella?

"Stai seriamente valutando se chiamare al suo numero o no? Lo stai facendo seriamente?!" mi chiede Simona, infastidita e togliendomi il telefono tra le mani, facendo partire la chiamata e riportandolo al mio orecchio.

Non dico nulla e la lascio fare, sentendo i primi squilli.

Non mi risponde, non mi risponde nessuno, così attacco e faccio ripartire.

Non mi importa se non ci parliamo, se non stiamo più insieme ed è finita male.

Ho bisogno di sapere che sta bene, ho bisogno di sentire la sua voce.

Dopo il quinto squillo parte la segreteria, e incapace di chiudere, comincio a balbettare qualcosa.

<<P-Paulo, sono Bea... richiamami appena puoi, per favore, non farmi preoccupare ancora... per favore... grazie>>.

Attacco al telefono e mi alzo dalla sedia, raggiungendo il bagno per lavarmi i denti e mettere qualcosa di più comodo e delle scarpette.

Posso arrivare a piedi al J Medical? O allo stadio? O forse casa sua è meglio, in fondo non è molto lontana da casa di Simona.

"Devo... devo andare... non so... dove si trova lui... o forse devo aspettarlo a casa sua. Io... io devo... devo vederlo" comincio a dire, respirando a fatica mentre metto il necessario nella mia borsa e Simona mi raggiunge come un fulmine, mettendosi davanti a me.

"Bea, Bea ehi. Sì, forse a casa sua è meglio. Ti ci accompagno io, però. Da sola non vai da nessuna parte. Non in queste condizioni" mi sussurra con le sue mani sulle mie spalle, prima di avvolgermi in un abbraccio di compassione, che non riesco a ricambiare, ma che assaporo, perché sento freddo.

Dio, fa che stia bene.


Una volta sotto casa di Paulo, ancora non abbiamo alcuna notizia, ed io sento davvero di poter impazzire.
Dovremmo entrare nel palazzo, lo aspetterei nel pianerottolo, sicura che ora non sarà ancora arrivato a casa, ipotesi di cui ho la conferma citofonando un paio di volte e non ricevendo alcuna risposta.
Ma fuori fa così freddo, e fin troppe macchine scure sicuramente con giornalisti all'interno si stanno appostando sotto casa sua, per potersi conquistare la prima pagina il giorno dopo.
Decido di citofonare alla signora Marina, una ricca donna torinese che vive con suo marito sullo stesso pianerottolo di Paulo.
Ci siamo conosciute una di quelle poche volte in cui sono stata da lui, e lui me ne aveva parlato più volte, descrivendo con dolcezza quanto spesso si fosse preoccupata di cucinargli qualcosa nel rientro da alcune partite, sapendo che dopo la rottura con Antonella fosse spesso solo.

Mi aveva presentato a lei una mattina quando ci siamo incontrati all'ascensore, e non mi ci volle molto per capire quanto fosse buona d'animo e totalmente innamorata del ragazzo che le viveva di fronte, a cui dedicava le cure di un figlio.

Mi apre subito e con gentilezza, probabilmente ignara della nostra rottura e di ciò che ora sta succedendo a Paulo, poiché non ha mai seguito il calcio, a differenza dei suoi nipoti, che invece Paulo lo adorano e non si capacitano ancora che sia il vicino della loro nonna.


Venti minuti più tardi, io e Simona siamo ancora in attesa di notizie, mentre sediamo sulle scale del pianerottolo che portano al piano superiore a quello di casa di Paulo, ma di fianco alla sua porta di ingresso.

<<Scusa, ho letto
     tutto adesso>>

<<Sta bene>>

<<Lo hanno visitato
    a lungo, ma sta bene>>

leggiamo entrambe sul cellulare il messaggio di Roberta, che ha mandato identico a tutte e due.


Sta bene.
E' vivo.
Sta bene.
Sta tornando a casa.
Sta bene.

Ancora con gli occhi sul telefono, il suono dell'ascensore che raggiunge il piano attira la nostra attenzione, e lentamente vedo venir fuori Alicia, con delle buste gialle, probabilmente i risultati delle visite, tra le mani, poi Nahuel, Mariano... e infine lui.

Ha lo sguardo basso, il telefono tra le mani, i capelli un po' spettinati e cammina piano, probabilmente molto stanco.

Sta bene.

Cammina sulle sue gambe, respira, ha gli occhi aperti, sta tornando a casa.
Non riesco a trattenermi e mi lascio andare sulle scale, coprendomi la faccia con le mani e cercando di trattenere rumorosi singhiozzi.

Dio, grazie, grazie davvero.

I miei sussurri attirano la loro attenzione, e tutti gli sguardi si puntano su di me.

Mi alzo, cercando di calmarmi e ricambio i loro sguardi.
Alicia nasconde un sorriso dolcissimo, come se fosse soddisfatta nel vedermi lì, al posto della sua ragazza, che solo ora mi viene in mente e mi chiedo dove possa trovarsi.
Nahuel e Mariano si scambiano uno sguardo complice, per poi spostarlo su Paulo.
Lui alza gli occhi dal telefono a me, ed è sorpreso di trovarmi lì, ma la sua espressione rimane seria, e sembra così stanco.

Una mano di Simona sulla spalla mi fa sobbalzare.

"E' davvero lì, Bea", mi dice, accarezzandomi piano e spingendomi in avanti.

Lo osservo. Mi osserva. Attentamente.

E d'istinto, comincio a muovermi verso di lui.
Come se a tirarmi ci fosse un filo, che termina esattamente a pochi centimetri da lui.

Mentre avanzo, sempre più veloce, balenano in me domande su domande.

Perché non mi ha chiamata?
Perché ha il telefono tra le mani e non si è degnato di dirmi niente?
Come ha potuto?

"Perché non hai risposto alle mie chiamate?" comincio ad urlare, scendendo velocemente le scale su cui ero seduta.

"Perché non mi hai chiamata? Ti rendi conto di cosa ho passato?" continuo, facendo passi più lunghi delle mie gambe e raggiungendolo velocemente.

"Come hai potuto?" gli grido in faccia, spingendolo piano sul petto, per poi fiondarmi tra le sue braccia e abbracciarlo fortissimo.

Lo stringo a me, accarezzando la sua schiena in modo quasi possessivo, e il suo odore, il suo profumo, il suo calore, mi fanno venir fuori un singhiozzo.

Lui ricambia, interdetto forse dal gesto improvviso, solo qualche secondo dopo, senza dire una parola, e mi accarezza piano la schiena per rassicurarmi e in segno di scuse.

"Sono morta cento volte stasera!" continuo a dirgli con la bocca sul suo maglione e tra i singhiozzi.

"Mi... mi dispiace, scusa" dice, portando una mano sui capelli e accarezzando anche quelli.

Anche la sua voce è stanca, e capisco che forse avrebbe aspettato di mettersi a letto per rispondere a tutti e avvisare il web della sua salute.

Mi stacco velocemente da lui, che invece continua a tenere le sue braccia intorno alle mie.

"Come stai? Cosa è successo? Stai bene ora?" comincio a chiedergli, toccandogli le spalle, il petto, le braccia, poi il viso, come se lo stessi visitando.

A lui scappa un sorriso, mentre continua a seguire con gli occhi ogni mio movimento, ma non risponde.

"Sta bene adesso, Bea. E' stato solo un mancamento", mi informa Mariano, mentre si avvicina all'ingresso per aprire il portone.

A quelle parole riporto lo sguardo su di lui, che continua a fissarmi senza dire niente.
Abbozza un sorriso, forse intimidito e un po' imbarazzato da me che continuo a guardarlo seria e ancora preoccupata.

"Sto bene", dice a bassa voce poi.


Dio, quanto cazzo mi manchi.

"Quando sei tornata a Torino?" mi chiede Alicia, con la sua dolcissima voce con la cadenza argentina, facendomi rilassare subito.

Quanto mi manchi, Alicia.
Mi manca sentir parlare di te dal tuo figlio prediletto, totalmente, completamente, follemente innamorato della sua mamma.

"Sono arrivata stamattina e sono da Simona, per il compleanno del bimbo di Claudio di domani", le rispondo, mentre mi avvicino per salutarla, staccandomi - con qualche difficoltà - dalle braccia di Paulo. 

Lei annuisce semplicemente, senza aggiungere altro, in riferimento al fatto che ormai sa che, quando sarò a Torino, non starò più a casa di suo figlio.

Nel frattempo Simona si avvicina a Paulo e lo saluta con un abbraccio.
Talmente impegnata a pensare a lui e ai brutti pensieri che mi si creavano in testa, non avevo fatto caso alla sua paura e ansia, quasi come la mia.

"Ci hai fatto prendere un bello spavento" gli sussurra, dandogli un piccolo colpetto sulla spalla e facendolo ridere piano.

"Non farlo mai più..." continua lei, con voce rauca, mentre anche lui la circonda con le braccia, cercando di tranquillizzarla.

"Mi dispiace, ora avviso tutti" le risponde, per poi riportare lo sguardo su di me, che sto raggiungendo l'ascensore per andare via.

"Potete restare" butta fuori, probabilmente d'istinto e senza pensare che in casa non riuscivamo a stare così in tanti.

E non potevamo stare lì a prescindere.

"Bueno... è tardi, e dovete tornare a casa da sole" aggiunge, giustificandosi.

"Non preoccuparti, Paulo. Torniamo a casa mia, tranquillo", gli dice subito Simona.

"Le accompagno io" dice subito Nahuel, avvicinandosi a me e all'ascensore, che nel frattempo è arrivato al piano.

"Grazie... grazie per essere venute qui", dice lui ad entrambe, ma guardando me.

"A domani" è l'unica cosa che riesco a rispondere, prima di nascondermi in quel piccolo cubo che mi avrebbe allontanato ancora da lui.

Una volta dentro, cala un silenzio assordante, riempito solo dal mio lungo sospiro di sollievo, mentre riprendo fiato, come se fossi stata in apnea per ore.

E in fondo era proprio quello che avevo provato.
E rivederlo, toccarlo, sentire di nuovo il suo profumo nell'abbracciarlo, pensavo mi avrebbe fatto star male... invece mi aveva riempito il cuore.


Non dite che non vi avevo avvisate ;)
E vi avviso anche per il prossimo, che arriverà non molto tardi.
Cosa pensate accadrà? Cosa pensate di questo strano, ma soprattutto triste incontro tra i due?
Ma soprattutto, dove stracazzo è la sua ragazza?
A presto, vvb e non odiatemi tanto, dai.
M.

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