I ricordi degli specchi - L'i...

By SusannaRaule

18.4K 1.9K 905

È una notte umida e Sensi sta scendendo per una delle molte scalinate della parte collinare della città, quan... More

Per chi non ha letto le storie precedenti...
-
CAPITOLO 1
2.
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
CAPITOLO 7
CAPITOLO 9
CAPITOLO 10
CAPITOLO 11
CAPITOLO 12
CAPITOLO 13
CAPITOLO 14
CAPITOLO 15
CAPITOLO 16
CAPITOLO 17
CAPITOLO 18
CAPITOLO 19
CAPITOLO 20
CAPITOLO 21
CAPITOLO 22
EPILOGO
Ringraziamenti

CAPITOLO 8

644 69 19
By SusannaRaule


Sensi non capiva perché fosse così preso da Fiorella, ma doveva ammettere di esserlo. Era attratto da lei in modo irragionevole. Se avesse posseduto un cervello lineare e analitico, avrebbe detto che era un insieme di fattori. Era brillante, era incasinata, sprecava il suo potenziale e aveva un profilo sexy.

Ma Sensi non aveva un cervello lineare e analitico, per cui si limitava a constatare che, per qualche motivo, quella tizia lo prendeva al punto da spingerlo a comportarsi in modo insolito.

Non che, strettamente parlando, fosse insolito che lui si allontanasse dal lavoro per motivi non-lavorativi. Quello era piuttosto normale. Per di più gli avevano tolto il caso, quindi se si allontanava era particolarmente scusabile. Quello che era insolito era che corresse dall'amante di turno non appena aveva cinque minuti liberi, come un cane in calore.

Comunque, dato che lo stava già facendo, era inutile starci a rimuginare troppo.

Questa volta lasciò la macchina in piazza Beverini, nella sua zona, e andò verso l'appartamento di lei a piedi. Se l'avesse fatto anche il giorno prima avrebbe risparmiato almeno venti minuti.

Non che nella sua zona i parcheggi abbondassero. Solo, Sensi conosceva più posti dove mollare la jeep in divieto.

Naturalmente, non si era fatto dire quale fosse il nome giusto a cui citofonare, per cui si trovò di nuovo a fissare una pulsantiera ostile.

Sospirò e tirò fuori il cellulare, ma a quel punto notò che uno dei nomi sui cartellini era 'Alba'.

Non mi dire, pensò, suonandolo.

Rispose Fiorella e lui prese l'ascensore fino al quarto piano. Gli aprì con addosso un pigiama di raso bianco e con una sigaretta in bocca.

«Non dovevamo vederci stasera?» gli chiese, facendogli cenno di entrare. A piedi scalzi, si muoveva sul tappeto un po' logoro come un gatto.

«Non so se stasera potrò» disse. Poi scosse le spalle. «Mi andava. È un problema?»

Lei sorrise e si accoccolò nella poltrona rosa antico spaiata che era nel soggiorno. Sensi si lasciò cadere sull'altra. «Non è un problema» confermò lei, dando un tiro dalla sua sigaretta. «Sono contenta che tu sia qua. Ti ho pensato».

Diede un ultimo tiro e spense la sigaretta in un posacenere pulito. Lo guardò un istante e iniziò a slacciarsi la blusa del pigiama.

Sensi allungò i piedi e si rilassò sulla poltrona. Non si tolse nemmeno la giacca. Poteva guardare e basta, al resto avrebbe pensato dopo. Poteva guardare qualcosa di gradevole, dopo tutte le cose sgradevoli che aveva visto quel giorno.

Fece un gesto vago a indicare quello che li circondava. «È di tuo marito? L'appartamento, intendo».

Le mani di lei si fermarono. Fiorella socchiuse gli occhi. «Hai qualche file riservato a mio nome?» chiese, vagamente ironica.

«No, è... bah, una storia senza importanza. Mi chiedevo se questo posto fosse di Goffredo Alba».

Fiorella gli lanciò un'occhiata divertita. «Sì, lo è. Ora, possiamo parlare di Goffredo Alba... e io perderò tutto il mio buon umore... oppure possiamo non parlare per niente. A te la scelta».

Sensi non aveva alcuna voglia di parlare di Goffredo Alba, in ogni caso, quindi le disse che restare in silenzio gli sembrava l'alternativa migliore.

Fiorella finì di slacciare i bottoni del pigiama e si alzò dalla poltrona, andando verso di lui. La sua pelle scura spiccava tra i lembi di raso bianco della blusa. Il ventre snello, i piccoli seni, coperti solo in parte, tra cui dondolava l'ankh di osso dal quale Fiorella sembrava non separarsi mai.

Si inginocchiò tra le sue gambe e gli slacciò gli anfibi. Si rialzò e si sedette sulle sue cosce. Sensi le appoggiò le mani sulla pelle nuda dei fianchi, poi ne fece scivolare una su un seno.

«Sai che cosa mi disorienta?» le mormorò.

Lei si appoggiò a lui e lo baciò. «Che cosa?»

«Dovrei scappare alla velocità del fulmine».

«Oh, intendi... ecco una tizia con l'infanzia incasinata, che ha fatto un errore dietro l'altro e continua a vivere una vita chiaramente sballata? Una che alle tre del pomeriggio è ancora in pigiama, che vive nella casa dell'ex marito e che è troppo coinvolta in tutto...»

«Sembra una descrizione di me stesso, se escludiamo quella faccenda dell'ex marito» sorrise Sensi, continuando ad accarezzarla. «E anche quella faccenda del coinvolta... io non sono coinvolto, io sto per venire».

Fiorella gli infilò una mano nella tasca interna del giubbotto, trovò un pacchetto di preservativi e ne tirò fuori uno. Gli slacciò la cintura, strappò la bustina del preservativo, si sfilò i pantaloni del pigiama e si sedette sopra di lui.

Molto velocemente, dato che Sensi non aveva l'aria di poter durare molto.

«Che smacco» sorrise lui, poco dopo, inumidendosi le labbra con la lingua.

Lei restò lì, seduta su di lui, con le gambe intrecciate dietro la sua schiena. Gli posò la testa su una spalla. «Saranno i preservativi tropical. Sono una scelta interessante, tra l'altro».

Sensi rise in silenzio. «Questa mattina il mio capo mi ha ordinato di continuare a scoparti. La sorveglianza costa e, sai, c'è stata la spending review. Così ho pensato di infilare i profilattici tra le spese a rimborso. Ma non potevo comprare dei banali Durex ritardanti per lui, anche se forse avrei fatto bene. Salvemini sarebbe stato deluso».

«Quindi, come dire, sei in missione, eh?»

Sensi sorrise e iniziò ad accarezzarla di nuovo. «Magari lo fossi. Sarei durato almeno cinque minuti. Ti ho già detto che di solito non mi capita?»

«Sembra una frase di circostanza» rispose lei. Iniziò a sfilargli il giubbotto, operazione non facile, nella posizione in cui erano. Sensi se lo scrollò via, poi si liberò anche di maglione e maglietta. Infine le tolse la blusa del pigiama. Lei si appoggiò contro il suo petto.

«Potrei rimanere così un secolo o due» disse lui, infilandole una mano tra i capelli.

«Non esattamente così, pare».

Sensi la baciò. «È una questione di amor proprio. Anche questo di solito non mi succede, se mi passi la frase di circostanza».

«Se continui, posso passar sopra a un bel po' di cose» gli assicurò lei.

Sensi continuò. Non avrebbe potuto fermarsi nemmeno volendo, quella era l'impressione che aveva. Gli sembrava di essere nato per stare lì, con lei seduta sopra, a riutilizzare preservativi.

Appoggiò la testa contro la spalliera della poltrona e fermò lo guardo sulle gocce antiquate del lampadario sopra di loro, senza vederle davvero.

Fiorella oscillava piano, come un'onda lunga, come fosse su un'altalena.

La luce filtrava dalle tende tirate, grigiastra.

Qualcosa si mosse in fondo allo specchio, ma Sensi non vide neanche quello.

***

... Wang Xifeng sa che dovrebbe esserci abituata. Jia Zheng la penetra a ritmo costante, ogni colpo una fitta di dolore. Xifeng è abituata al dolore, non dovrebbe farci caso. È la prima concubina di Zheng da tre anni, da quando ne aveva quindici, e Zheng non è mai cambiato, se non nel peso. È diventato più grosso. Xifeng si appoggia sui gomiti per non venire schiacciata. Zheng continua e continua. Non è mai stato veloce. Non è più giovane.

Poi Xifeng lo sente emettere un suono roco. Le stringe i fianchi con le mani, una stretta convulsa e dolorosa. Xifeng sa che ha finito e che ora se ne andrà, lasciandola all'ennesima nottata fatta di nulla. Domattina la servitrice la aiuterà a prepararsi con cura perché possa ricominciare ad attendere il suo signore, bella, fresca e invitante come sempre. Sorridere e non parlare.

Ma Zheng non la lascia e Xifeng si chiede che cosa stia facendo. Emette dei suoni strozzati, difficili da interpretare. Non è mai riuscita a decifrare i suoi ansiti. Non ha mai capito se esprimano appagamento, stizza o semplicemente fatica.

I suoni gorgoglianti continuano, mentre Zheng la ghermisce. Contravvenendo all'etichetta, Xifeng si volta per guardare. Suo marito ha il viso congestionato, la bocca semi-aperta, gli occhi sgranati come quelli dei dipinti antichi che colleziona. Xifeng si rende conto che sta male, che forse sta morendo. Vorrebbe urlare, ma non può. La servitù accorrerebbe e li troverebbe così. In quanto a Zheng, Xifeng sa che sta morendo e sa che non è padrone di ciò che fa, ma sembra proprio che con le sue ultime forze voglia dimostrare ancora una volta alla sua concubina di essere un uomo.

Xifeng non si divincola, anche se la stretta di suo marito la fa soffrire. Lo osserva emettere un rantolo disperato, con il viso che si fa sempre più scuro, finché le sue mani non lasciano la presa. Il suo corpo le grava sulla schiena e Xifeng si contorce lentamente per liberarsi. Zheng sembra ancora più pesante, ora.

Riesce a scivolare via e indossa più alla svelta che può tutti gli strati di vestiario che sono considerati rispettabili. Poi cerca di rivoltare il corpo di suo marito per provare a vestire in modo più appropriato anche lui, ma è troppo pesante.

Esce dalle sue stanze barcollando sui suoi piedini di nove centimetri, il 'loto d'argento', non d'oro, che le ha impedito di avere un marito più altolocato. Non le fanno più male da molti anni: non li sente più, com'è giusto che sia.

Si avvicina con tutta la compostezza necessaria alla sua servitrice e le sussurra: «Jia Zheng non sta bene. Non riesco a spostarlo, devi chiamare qualcuno».

La servitrice le rivolge un'occhiata spaventata, ma non dice nulla. Si allontana a passo veloce. Naturalmente Jia Zheng non sta bene, pensa Xifeng, piena di amarezza: è morto.

E, forse, è morta anche lei. Come sua prima concubina dovrebbe immolarsi per lui.

Non è giusto. È la sua prima concubina, ma non è più la favorita da qualche mese, da quando ha dato alla luce una femmina.

Arrivano i servitori di Zheng, veloci e silenziosi. Hanno un'espressione preoccupata.

Anche Xifeng è molto preoccupata.

La grande casa si sveglia, tutti sembrano correre qua e là. Tutti tranne lei. Lei resta seduta e composta come ci si attende che faccia.

Arriva il padre di suo marito, che non le rivolge neanche un'occhiata. Non l'ha mai perdonata per non aver fatto il suo dovere di concubina e aver partorito una femmina.

Xifeng si estranea da tutto. È molto brava a farlo.

Le sembra di non accorgersi di niente per le ore successive, mentre anche gli ospiti si svegliano e il corpo di suo marito viene rivestito e portato via. Subito prima che avvenga, un ospite riesce a penetrare nelle sue stanze. È un erudito, così dicono. Forse è stato chiamato per attestare al di là di ogni dubbio che Zheng sia morto a causa sua.

Zhen Ruhai è vestito in modo impeccabile, quando le passa davanti senza vederla. Quando esce la sua espressione è severa. Sposta lo sguardo su di lei e Xifeng ha l'impressione che i suoi occhi abbiano dei riflessi rossastri...

***

Il dottor Balestrieri la chiamò verso le quattro del pomeriggio. L'ispettrice Riu prese l'ombrello – aveva ricominciato a piovere – e andò all'ospedale. Non aveva particolarmente voglia di parlare con quella donna. La disturbava.

Si rendeva conto di essere ingiusta, ma non poteva fare a meno di chiedersi come fosse arrivata a vivere con un uomo che la incatenava nello sgabuzzino.

Eppure aveva conosciuto tante vittime di violenze domestiche. Aveva provato a capirle e a sostenerle, ma forse non ci era mai riuscita. La verità era che, con il suo stile di vita autonomo e la sua rigida autostima, si sentiva migliore di loro.

Si arrampicò per il parco dell'ospedale, bagnato e fragrante, e si immerse negli ambienti troppo caldi del padiglione due. Balestrieri era in un piccolo ufficio subito dopo l'ingresso al reparto.

Quando la vide, si alzò in piedi e le andò incontro.

«È in grado di parlare» le disse, ripetendo quello che le aveva anticipato al telefono, «ma è molto debole. Mi rendo conto che è importante che la... interroghi? Si dice così, no?»

L'ispettrice sorrise. «Già. Si dice così. Ha detto qualcosa?»

«Il suo nome: Aida Neri. A parte questo, quasi niente. Abbiamo pensato che fosse meglio non farle domande, anche perché tecnicamente è nella stanza rosa. Nello stesso tempo...»

La Riu annuì. Il progetto Codice Rosa era un progetto antiviolenza. Se al Pronto Soccorso arrivava una vittima di violenza di genere non riceveva uno dei normali codici bianco, giallo e così via, ma un codice rosa. Veniva portata in un luogo apposito, la stanza rosa, dove veniva seguita da un operatore appositamente formato.

Ovviamente, la loro 'paziente' era arrivata al Pronto Soccorso in stato di incoscienza, quindi era stata portata solo in rianimazione, ma come vittima di violenze era stata segnalata agli operatori del progetto Codice Rosa. In teoria avrebbe dovuto avere un colloquio con un operatore ancora prima che con la polizia, ma il dottor Balestrieri aveva contravvenuto a quella regola, senz'altro per un motivo.

La Riu socchiuse gli occhi e aspettò che lui le dicesse qual era quel motivo. Tentennava.

«Sì?» lo incoraggiò, in tono gentile. «Le avete chiesto qualcosa, vero?»

«No, non si tratta di questo. Stavo pensando. Lei ha un mandato?»

L'ispettrice cercò di non mostrarsi divertita. «Un mandato per chiedere a una persona se vuole parlare con me? Non le sembra un po' eccessivo?»

Di nuovo, il medico tentennò. La Riu si fece attenta. «Lei sta parlando della sua cartella clinica, vero? L'avete visitata, ma non potete divulgare le informazioni contenute nella cartella per via delle leggi sulla privacy».

Balestrieri annuì. Aveva un viso mite, ma deciso.

«E lei pensa che quel mandato dovrei chiederlo ora, prima di parlare con Aida Neri?»

«Forse non dovrei dirglielo, ma credo che sarebbe meglio».

L'ispettrice tirò fuori il cellulare. «Avete un numero di fax, qua?»

*

Sara lasciò vagare lo sguardo sui mobili spaiati del salotto. Sui buffi lampadari a goccia, sulle due poltrone, una rosa scuro e l'altra verde salvia, di due fogge diverse, sul vecchio televisore impolverato, sulla minuscola libreria piena di romanzetti: gialli, vincitori di premi prestigiosi, chick-lit. Per lei erano tutti la stessa cosa. Li aveva comprati usati, perché fossero i libri di Fiorella. Poi, affamata di parole scritte, li aveva letti tutti. Alcuni non erano neanche male, ma non erano i suoi libri. I suoi libri erano nel suo tablet, ma non poteva averne di nuovi, finché restava lì.

Sensi, steso in parte sotto di lei, era caldo e pensieroso. L'aria dell'appartamento, però, era umida, fredda. Sara iniziò a cercare qualcosa tra le pieghe del divano.

«Cerchi questo?» disse Sensi, facendole penzolare davanti agli occhi un paio di slip. Lei glielo strappò di mano, ridendo. «Mi sta venendo freddo» spiegò.

«Oh, quello ti scalderà tantissimo» sbadigliò lui. Si coprì con un lembo del copridivano. «Quanto si impasticcava Riccardo Belfiori?» aggiunse, distratto.

Sara aggrottò le sopracciglia. «In che senso?» Quella era la giornata delle sorprese, apparentemente. Prima scopriva che Goffredo Alba era il suo ex marito e ora... che cosa?

«MDMA, ecstasy, non so» spiegò lui.

«Non so neanch'io» disse Sara. Non si era davvero interessata a Riccardo. Si era limitata a farsi rimorchiare e, qualche volta, a farsi scopare. Nessuna delle due esperienze era stata il massimo della vita. «Voglio dire... boh? Non me ne ha mai parlato. Non ne ha mai prese davanti a me. Aveva il mal di schiena».

Sensi sorrise con aria cupa. «Già. E anche un paio di MBT nuove. Quelle scarpe costano un sacco di soldi. Anche Strina aveva dei vestiti costosi, ma più da hipster».

Di nuovo, Sara aggrottò le sopracciglia. «Hipster? L'ho già sentito. Non ho ancora capito che cosa significhi».

Sensi si strinse appena nelle spalle. «Un saputello pieno di sé, finto alternativo, con i mobili di design e la libreria piena di roba intellettuale. Ma Riccardo non era così».

Sara sorrise lievemente. «Direi. Riccardo leggeva muovendo le labbra, o quasi».

«Andava a puttane?»

«Che cosa c'entra, scusa? Be', spero di no. Ma come forse avrai capito, non è stata una relazione lunga e intensa. Non ho idea di che cosa facesse. Sport, credo. E poi aveva quel cazzo di cane puzzolente, un bulldog. Ma, per lo più, non ho idea di che cosa facesse e non ho idea di che cosa ci facessi io con lui».

«Che musica ascolti?» saltò di palo in frasca Sensi, abbandonando l'argomento 'Riccardo Belfiori' alla stessa velocità con cui l'aveva introdotto.

Sara socchiuse gli occhi, sorniona. «Musica che non mi porto addosso».

Sensi ridacchiò. «Sono stato un po' troppo sprezzante con gli hipster, vero? No, dai, sul serio. Se venisse fuori che hai ucciso Belfiori potrei tollerarlo, ma se scoprissi che ascolti Laura Pausini...» rabbrividì platealmente.

«Ascolto Rachmaninov» disse lei, in tono un po' difensivo. «E Mendelssohn, quando sono di buon umore. A volte Borodin, ma non così spesso, e naturalmente Paganini».

«Oh, cielo. Anche Paganini, eh?»

Sara sbuffò. «Se proprio devo venirti incontro, non mi dispiacciono gli Stones. Così va meglio?»

«No, no... anch'io posso sopportare una mezz'ora di Rachmaninov, se prendo prima i miei farmaci».

Sara gli piantò un gomito nello stomaco. «Che buzzurro. Credi che senza classica sarebbero mai esistiti i Craddle of Filth? O i Within Temptation? O anche gli Stones, se per questo?»

«Mi inchino alla tua saggezza» ridacchiò Sensi, accarezzandole una guancia. «E al tuo magnifico profilo, è chiaro. A tutto il tuo profilo» aggiunse, percorrendola con la punta dell'indice dalla fronte ai primi riccioli del sesso. «Un giorno mi racconterai la storia del tuo sfortunato incontro con i Within Temptation».

Sara la stava elaborando proprio in quel momento, dato che, per l'ennesima volta, aveva parlato troppo. «Un giorno?» chiese, inarcando le sopracciglia.

«Un altro giorno» chiarì Sensi, allungandosi sopra di lei.

*

Il fax era arrivato. A quel punto Balestrieri sembrò fin troppo felice di condividere le proprie informazioni con lei. Per prima cosa, le portò la cartella clinica, che poi era un insieme di documenti dalla provenienza disparata, dal certificato del pronto soccorso a quello di ricovero, dalle stampate del diario clinico a quelle delle analisi del sangue. Curiosamente, c'era anche il referto di una TAC.

«Mi scusi, che cosa significa una TAC in cui 'non si evidenziano ostruzioni del tratto intestinale'?» chiese l'ispettrice. Luui sembrò deliziato dalla sua domanda.

«Che non ha niente nell'intestino» sorrise.

«Be', questo l'avevo capito, ma perché dovrebbe avere... oh-oh. Come le è venuto in mente?»

Balestrieri cercò di fare il modesto. «Quando le sue condizioni si sono stabilizzate, abbiamo fatto delle indagini di routine. Abbiamo anche fatto un kit antistupro, che è risultato negativo. Ma aveva dei segni cicatriziali sull'addome che facevano pensare a una laparotomia e a una cecostomia. Non avevo mai visto un caso simile, ma ho letto la letteratura sull'argomento. La cecostomia è un'operazione che viene eseguita per liberare l'intestino da uno o più corpi estranei posizionati piuttosto in alto e che la persona non riesce a espellere per via rettale».

L'ispettrice continuava a guardare il referto. «Come degli ovuli, giusto?»

«Be', può essere qualsiasi cosa. A volte, al pronto soccorso, capita di dover estrarre dei giocattoli erotici, o altri oggetti che sono stati introdotti nel retto a scopo... ehm, ricreativo. Ma se questa paziente ha subito una cecostomia, significa che i corpi estranei erano più in alto, ossia che erano stati ingeriti e digeriti. Probabilmente erano ovuli».

«Ma a quando risale quest'operazione, secondo lei?»

Balestrieri fece una smorfia pensierosa. «Mah... circa un anno fa, forse. Le ho fatto fare una TAC per essere sicuro che non avesse degli ovuli nell'intestino ora. Ma non ne ha. Non è detto che li abbia mai avuti, in effetti, ma date le circostanze in cui è stata... ritrovata...»

La Riu distolse finalmente lo sguardo dal referto. Balestrieri sembrava davvero felice di essere stato utile.

«Lei è stato eccezionale, dottore» lo gratificò. Poi si alzò e andò verso il corridoio. «Devo fare un paio di telefonate, ma più tardi vorrei porle delle altre domande».

Soprattutto non doveva più parlare con una vittima di violenze domestiche, pensò, tra sé e sé.

Per primo chiamò Mainardi.

«Roberto... ho una cattiva notizia per te».

Lui gemette. «Guarda che sono già in un appartamento che puzza di cacca e di piscio ogni secondo di più, non credo che tu possa peggiorare ulteriormente la mia giornata. Sensi ce la farebbe, ne sono sicuro, ma tu hai ancora molto da imparare».

«Sai, è buffo che tu abbia parlato dell'odore, perché dovresti ispezionare le deiezioni della signora Neri, adesso».

Ci fu un istante di silenzio.

«Deiezioni?» disse Mainardi, alla fine.

«La cacca, Roberto. Dovresti frugare nella cacca per vedere se ci sono degli ovuli di cocaina o di qualche altra sostanza stupefacente».

Di nuovo, Mainardi restò in silenzio. «La signora Neri sarebbe la donna incatenata, giusto?»

«Già».

«E questo lavoro non dovrebbe farlo, tipo, il patologo?»

La Riu sospirò. «Abbiamo un cadavere?»

«Be', no. Dovrebbe farlo un tecnico, allora».

«Di certo puoi dare una controllatina di persona, però».

«Oh, sì! Non vedo l'ora di infilare le mani nella m...»

«Ora chiamo Sensi» lo interruppe l'ispettrice. «Puoi dimostrare buona volontà e seguire il mio suggerimento o aspettare che te lo ordini lui» tagliò corto.

Mainardi borbottò qualcosa e chiuse la comunicazione.

*

«Quindi che cosa faceva Belfiori, posto che non leggeva, non aveva svaghi intellettuali e lavorava il meno possibile?» chiese Sensi, voltandosi a pancia in su. Nel frattempo lui e Fiorella si erano trasferiti sul letto.

«Te l'ho detto. Non l'ho conosciuto così bene» disse lei, pensierosa. Aveva un'espressione vagamente assonnata che a Sensi faceva tenerezza. Era quello il problema, pensò. Gli faceva tenerezza e gli faceva venire pensieri di tutt'altro tipo nello stesso momento. Forse era pericoloso.

Fiorella si strinse nelle spalle, come a dire che non le sembrava importante. «Non so. Ci sono uscita per caso. Di base, non mi sembrava temibile». Fece un lieve sorriso, autoindulgente. «Che cosa vuoi farci? Certe abitudini sono dure a morire. Tu costituisci un'eccezione, in effetti».

Sensi arricciò il naso. «Naa. Sono una mezza sega».

Lei lo guardò, seria. «Hai una pistola, tanto per cominciare. L'ho vista, prima. Magari è scarica, però...»

«Non è scarica. Non ci pensavo» disse lui. «E ho anche una bella mira. Eccellente, l'hanno definita. Detto questo, probabilmente riuscirei a ucciderti anche a mani nude, quindi non scherzerò più e, invece, ti ringrazierò per aver fatto un'eccezione».

Fiorella lo guardò in silenzio per qualche secondo, pensierosa. «Prego». Gli si avvicinò un po'. «Comunque, uno che usa dei preservativi ai frutti tropicali non può essere tanto pericoloso» lo sfotté.

«Oh, via, ti ho detto che di solito...»

«... 'Non lo faccio', lo so. Ci sono un bel po' di cose che non fai, di solito».

Sensi sbuffò.

«Ci siamo frequentati per un po'. Io e Riccardo, dico. Non era poi così interessante, ma io ero sola e mi faceva piacere passare il tempo con qualcuno. Non aveva gusti particolari o strani. Poi abbiamo litigato e sai com'è andata a finire».

«Raccontami del litigio».

Sulla fronte di lei si disegnò una piccola ruga. «Eravamo andati al cinema. Un film di von Trier, questo te l'ho già detto. Riccardo non era un intellettuale, anche questo l'abbiamo già chiarito. Si è annoiato e se n'è andato. L'ho seguito nell'atrio. Non so... gli ho chiesto se non poteva proprio resistere, qualcosa del genere. Si è scocciato e mi ha accusata di fare troppe storie. Io ho ribattuto... non mi ricordo nemmeno, in realtà. A un certo punto credo di aver alzato il tono di voce. Eravamo nell'atrio del cinema. Lui mi ha detto di non urlare e... be'...»

«Ci sono poche cose più irritanti di uno che ti dice di non urlare, lo so» sorrise Sensi.

«Già. Non so bene come sia successo, sul serio. Mi ha preso per un braccio... e io gli ho tirato un calcio nelle palle. Il resto lo sai già».

«Era possessivo?» chiese lui.

Lei ci pensò. «Non particolarmente. Voglio dire, non mi ha mai detto 'copriti, donna!' o roba del genere. Ma credo che gli sarebbe scocciato se fossi andata a letto con qualcun altro. Non ne abbiamo mai parlato, però... be', normalmente è così, no?»

Sensi diede una scrollata di spalle. «A me non importa» specificò.

«Vorrei ben vedere! Hai un'amante segreta!» rise lei. «Però ti sei informato sul mio ex marito...» continuò maliziosa.

Sensi scosse la testa. «No. No, no. Io non mi sono informato proprio su nessuno, piuttosto...» Si interruppe. Nell'altra stanza, il suo cellulare aveva cominciato a suonare.

«Scusa» borbottò, e saltò giù dal letto.

Dove cavolo... iniziò a cercare il maledetto telefono tra i suoi vestiti sparpagliati per tutto il salotto.

Alla fine lo trovò. Il display diceva 'Rompipalle num 1'.

'Sì?» rispose.

«Sei solo?» chiese l'ispettrice.

«Fiorella è nell'altra stanza e ora come ora non posso uscire sul balcone» spiegò Sensi.

Si lasciò cadere sulla poltrona rosa, rassegnato. Era giovedì, e per essere una giornata che secondo i Cure non era nemmeno iniziata, era iniziata di merda.

*

Dopo aver chiamato Mainardi, la Riu chiamò anche Sensi.

Lui rispose al tredicesimo squillo.

«Sei solo?» esordì l'ispettrice. Era uscita dal padiglione e si era trovata un posticino isolato. Per di più, pioveva, quindi in giro non c'erano molte persone.

«Fiorella è nell'altra stanza e ora come ora non posso uscire sul balcone» rispose Sensi.

L'ispettrice fece una smorfia. «Be', fai in modo che non ascolti la mia metà di discorso, quanto meno».

«Okay. Che succede?»

«La donna incatenata si chiama Aida Neri. Devo ancora controllare nel database, sono in ospedale. Il dottor Balestrieri pensa che fosse una body packer. Ha subito un tipo di operazione che fanno ai corrieri di droga per estrarre gli ovuli dall'intestino. È successo circa un anno fa, secondo lui. Le ha fatto una TAC e in questo momento è pulita, ma ho chiesto a Mainardi di guardare nelle feci».

Sensi ridacchiò. «Te ne sarà stato grato».

Anche l'ispettrice sorrise. «Enormemente. In ogni caso, ho aspettato a interrogarla. Voglio prima saperne un po' di più sul suo conto. Se ha subito un'operazione del genere, dovrebbe essere stata arrestata, non credi?»

«A meno che non sia stato fatto in un ospedale privato».

«Sì, ci ho pensato. Be', ora vado a controllare se ha dei precedenti, okay? Tu quando torni?»

«Mm... voglio passare da casa mia, ora. Poi ti spiego. Potrei rinunciare alla doccia e... be', insomma, non mi starai chiedendo di diventare organizzato, vero? Arrivo appena posso».

«Okay, sbrigati» concluse lei.

Mise via il cellulare e guardò l'orologio. Erano le cinque e un quarto. Per qualche motivo, l'idea di Sensi che, nudo, parlava al cellulare con lei mentre nell'altra stanza c'era una donna, ugualmente nuda, che lo aspettava non la faceva essere ottimista sulla velocità con cui sarebbe tornato in questura.

Né su quello, né su tutta una serie d'altre cose alle quali, francamente, non voleva pensare.

*

«Ah, ma questa era l'amante segreta, giusto?»

Sensi, con il cellulare ancora in mano, si voltò. Sara era in piedi sulla porta della camera da letto, nuda tranne che per il suo ciondolo.

«A dire il vero...» iniziò, ma poi si strinse nelle spalle. «Sì, a volte. Comunque devo andare».

Sara era incuriosita. Una telefonata e lui scattava, così? Era un peccato. La giornata stava andando proprio bene. «E immagino che sia improrogabile» disse.

Sensi sorrise con aria un po' colpevole e iniziò a cercare qualcosa. Forse le mutande, pensò lei. Sara non era molto portata per le scenate di gelosia, anche perché non era gelosa, ma questa tizia la impensieriva. Decise di fare un tentativo. Aveva provato a farlo chiacchierare della sua amante, ma l'unica informazione che aveva ottenuto era un'inutile notazione sul salutismo di lei.

«Cavoli, ma guardati... la ami, almeno?»

Sensi si infilò la maglietta dei New Order. «Se ti dicessi di sì saresti più contenta?»

«No!» sbottò Sara, istintivamente. «Be', forse sì» ritrattò.

Lui saltellò dentro ai propri pantaloni. «Mi dispiace, ma no. Non sono innamorato di nessuno, te l'ho già detto. Però devo andare. Ho delle cose da fare, prima».

Sara rientrò in camera da letto, prese il pacchetto di preservativi e tornò in sala. Glieli tirò sulla testa.

«Questi ti serviranno» gli spiegò, gelida.

Sensi li raccolse. «Be', forse. Mai porre limiti al destino» commentò, intascandoli.

Sara gli diede un pugno sulle costole, non proprio per finta. Sensi la prese per la vita e la baciò. «Ti prego, non colpirmi...»

Sara lo colpì di nuovo.

«Be', okay, colpiscimi pure. Hai mica visto dov'è finito il mio calzino sinistro?»

«Ah, adesso dovrei pure aiutarti a farti bello per l'amante segreta!»

Sensi si grattò una guancia, guardandosi attorno. «Certo che all'amante segreta basta proprio poco, eh. Basta che io abbia entrambi i calzini. Donna di poche pretese».

«Uffa, dimmi chi è, almeno!» Così poteva funzionare, pensò. Una donna gelosa si può permettere domande che una donna nel pieno possesso delle sue facoltà non può nemmeno iniziare a porre.

Finalmente, il commissario individuò ciò che cercava. «Non penso proprio. Se no che cavolo di amante segreta sarebbe?»

Si sedette sul divano e iniziò ad allacciarsi gli anfibi.

«Allora non il suo nome, ma tipo... chi è, no?» provò a contrattare Sara. Non sapeva quanto oltre potesse spingersi. Sensi sembrava estremamente riservato, in merito, ed era probabile che avesse un buon motivo per esserlo.

Lui rise. «Una top model ucraina... una contorsionista cinese... una ginnasta congolese... qualcosa del genere?»

Sara incrociò le braccia, consapevole del fatto che, se fosse stata vestita, sarebbe sembrata più minacciosa. «Sì, una descrizione del genere» confermò. «Non te ne vai finché non me lo dici».

Sensi si rialzò e le andò di fronte, con una vaga aria divertita in viso. «Allora... una tizia qualunque, salutista, cocciuta e pure un po' inibita. Ma mi è cara. Se mi chiedessi di scegliere, come in un melodramma, sceglierei lei. E viceversa, se mai dovesse chiedermelo lei. Sono fatto così».

Sara sbuffò. «Sei fatto male».

Sensi si limitò a sorridere di più. 

Continue Reading

You'll Also Like

341 62 4
𝘌 𝘴𝘦 𝘴𝘢𝘱𝘦𝘴𝘴𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘧𝘪𝘯𝘪𝘵𝘢 𝘭𝘢 𝘮𝘪𝘢 𝘷𝘪𝘵𝘢 𝘭𝘢 𝘵𝘶𝘢 𝘱𝘳𝘰𝘴𝘦𝘨𝘶𝘪𝘳𝘢̀ 𝘴𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘪𝘮𝘱𝘦𝘥𝘪𝘮𝘦𝘯𝘵𝘪, 𝘵𝘰𝘳𝘯𝘦𝘳𝘦...
2.5K 402 20
Victoir Evans è un cacciatore di teste della Black Court, corte di giustizia dell'Overworld. Caustico e pungente, schietto ben oltre il necessario e...
58.3K 3.1K 27
Eleanor Donato è riuscita a fuggire dalla buia dimora di Evan Woods, con l'aiuto di una misteriosa carrozza. È tornata nella residenza della madre, c...
110K 4.8K 25
Nelle campagne londinesi dell'ottocento vive Eleanor Donato, figlia di un noto membro dell'aristocrazia. All'età di diciassette anni, viene promessa...