Ricominciare a sognare

Bởi teieaprile

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TRAMA. Due passati pieni di sofferenze. Due infanzie rovinate. Due anime angosciate destinate ad incontrarsi... Xem Thêm

Prologo.
.Capitolo 1
.Capitolo 2
.Capitolo 3
.Capitolo 4
.Capitolo 5
.Capitolo 6
.Capitolo 7
.Capitolo 8
.Capitolo 9
.Capitolo 10
.Capitolo 11
.Capitolo 12
.Capitolo 13
.Capitolo 14
.Capitolo 15
.Capitolo 16
.Capitolo 17
.Capitolo 18
.Capitolo 19
.Capitolo 20
.Capitolo 21
.Capitolo 22
.Capitolo 23
.Capitolo 24
.Capitolo 25
.Capitolo 26
.Capitolo 27
.Capitolo 29
.Capitolo 30
.Capitolo 31
.Capitolo 32
.Capitolo 33
.Capitolo 34
.Capitolo 35
.Capitolo 36
.Capitolo 37

.Capitolo 28

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Bởi teieaprile

2 giorni dopo.

Ethan's Pov.

"Sono a casa" grido per farmi sentire mentre mi chiudo la porta alle spalle.

"Ethan, diamine, mi hai fatto prendere un colpo" sobbalza mia madre portandosi una mano al petto e facendo cadere il cucchiaio che aveva tra le mani.

I capelli neri sono raccolti in una coda poco sistemata, il maglione color senape ricopre maggior parte del suo esile corpo e il pantalone nero le sta fin troppo largo.

"Scusami mamma" sogghigno togliendomi la felpa sudata, restando in canottiera.

Ah le mie povere spalle, sono distrutto. L'intenso allenamento di basket mi ha stremato.

"Lascia fare a me" le dico togliendole una scatola di pomodorini dalle mani per poi iniziare a preparare la cena.

Seguono attimi di profondo silenzio che avvolgono la casa in un ampio manto, prima che il cigolare della poltrona interrompa quella pace.

"Allora figliolo" sospira la donna adagiandosi in maniera comoda sulla poltrona. "Cosa hai da raccontare alla tua anziana madre?" chiede con tono investigativo.

"Anziana?" mi giro a guardarla con un sopracciglio alzato.

"Sì" sospira affranta "purtroppo non sono più bella e pimpante come una volta. Ma comunque questo non c'entra, ti ho fatto una domanda" sorride speranzosa.

"Sì, appunto e non capisco il fine di quella domanda" armeggio con la padella mentre taglio l'aglio in piccoli pezzettini.

"Deve esserci un motivo preciso se una madre chiede al proprio figlio di raccontargli qualcosa della sua vita?" domanda ironica.

"Non dico questo, però-"

"Non l'ho mai fatto" mi interrompe "cercare di capire qualcosa di voi, intendo." lo sguardo perso mentre guarda un punto indistinto della stanza "ma voglio rimediare. Sono sempre stata troppo occupata a preoccuparmi dei miei problemi, trascurando la cosa più bella della mia vita: i miei figli" continua quasi in un sussurro, come se quelle parole dette a voce alta possano rompere i vetri della casa. Ma l'unica cosa che sento rompersi è il mio cuore.

"Non dire così" dico con voce tremante avvicinandomi a lei "I tuoi problemi riguardavano e riguardano tuttora anche noi" continuo più deciso.

"Ciò che è successo con tuo padre, le condizioni patetiche in cui eravamo costretti a vivere, le violenze, i ricatti, la rabbia e, adesso, la mia malattia non sono fatti con cui due bambini dovrebbero convivere" si acciglia.

"Non è colpa tua, mamma" alzo leggermente la voce stringendo i pugni lungo i fianchi mentre il suo sguardo, lo sguardo della donna che più di tutti mi ha amato, diventa triste, malinconico, amareggiato.

Vorrei strapparmi le orbite dagli occhi per non dover essere costretto a vedere quell' espressione. È un'espressione ingiusta che non dovrebbe stare nel suo viso. È un'espressione che si fa spazio tra le parti più insicure e sgretolate del mio essere facendomi sentire una completa nullità.

"Ma comunque, non è di questo che voglio parlare" si riprende sorridendomi debolmente "voglio sapere di più della vita e di ciò che prova il mio bambino."

"Beh" alzo le sopracciglia in uno scatto fulmineo "non c'è molto da dire in verità. Conduco una vita da normale universitario seguendo le lezioni" alzo le spalle.

"Oh, ma questo lo so già" dice mia madre con uno strano ghigno in volto.

"Perché quell'espressione?" domando confuso.

"Mi stai dicendo cose che già so. Raccontami dei tuoi amici, che tipi sono, cosa fate insieme e cosa fai durante il tuo tempo libero oltre ad occuparti di me"

Come faccio a dirgli che non ho amici al di fuori di Liam? Le uniche parole che scambio con le altre persone sono per informarmi dell'orario quando mi si spegne il cellulare o per farmi passare gli appunti da qualche compagno di corso. Stop.

"Beh i miei amici..mh.. loro sono tipi okay?" quasi domando non sapendo cosa dire.

Vorrei dirle la verità, sul fatto che mi stanno tutti sulle palle per diventare miei amici, ma non voglio rovinare il suo entusiasmo e non voglio aprire discorsi psicologici con mia madre sul perché non ho una vita sociale.

"Tipi okay?" si acciglia.

"Sì, tipi okay. Ridiamo e scherziamo insieme, sai le cose che fanno in maschi" cerco di sfruttare la mia fottuta fantasia ma non sembra aiutarmi molto.

"Mh non sono sicura di aver capito bene, ma sono contenta che tu sia circondato di persone gioiose e che ti vogliano bene" mi sorride.

Certo, come no.

"Certo" le faccio un sorriso falso.

"E poi? Cosa ti piace fare quando sei libero?" domanda guardandomi.

"Giocare a basket e scrivere" rispondo.

"Già, quando eri piccolo avevi la mania di strappare dei fogli a caso dai quaderni per scrivere ciò che ti passava per la testa. Scrivevi per botte di ore, ma non ho mai potuto capire cosa dato che appena finivi accartocciavi il foglio e lo buttavi nel camino" sorride ricordando vecchi aneddoti.

Annuisco sorridendo debolmente. Mi è sempre piaciuto scrivere. Buttare giù lì a caso ciò che mi passa per la mente. Unire le parole e dare vita ai miei pensieri. I miei testi non hanno mai seguito una forma ordinata, perché la mia stessa mente è un caos total. Prendere una penna e un foglio per me è sempre stato una sorta di sfogo, oltre al basket. Un modo per estraniarmi da ciò che avevo intorno e sfogare la mia rabbia e le mie frustrazioni scrivendo per ore. Ad essere sincero è da un bel po' che non scrivo nulla. Le pagine del mio diario in cuoio nero sono perlopiù vuote e devo ammettere che mi manca marchiare con l'inchiostro il bianco delle pagine.

Con la scusa che il cibo si bruci mi alzo dalla sedia in cui mi ero seduto e mi precipito ai fornelli sperando che questa discussione finisca. Sono contento di parlare con mia madre, ma odio il fatto che l'argomento debba essere io.

"E hai una fidanzata?" chiede ingenuamente dopo un lasso di tempo interminabile.

Il coltello che avevo in mano e che stavo usando per affettare le cipolle finisce improvvisamente in mezzo al mio dito procurandomi un profonda ferita da cui inizia a fuoriuscire del sangue.

"Cazzo" sussurro impercettibilmente.

"Come?" domanda accigliata.

"Cosa?" faccio il finto tonto.

"Ti ho chiesto se hai una ragazza."

Il mio cuore inizia a battere così forte che sembra voglia uscirmi dal petto mentre le mie gambe fanno fatica a reggere il peso del mio corpo.

"N-no, non ce l'ho" balbetto come un idiota.

Perché deve tirar fuori questo argomento?

"Oh. E perché un bel ragazzone come te non ha trovato nessuno a cui affidare il suo cuore?" chiede mia madre con tono poetico.

"Mamma, per favore" alzo gli occhi al cielo e lei se la ride beatamente sotto i baffi. È bello vederla sorridere così, anche se sono costretto a subirmi domande inopportune che mi fanno girare la testa.

"Sta' tranquillo amore mio, la persona giusta arriverà, prima o poi, e ti travolgerà come un mare in tempesta" mi dice sorridendo "mi è piaciuta molto questa piccola discussione, dovremmo farla più spesso. Adesso vado a stendermi un po' e grazie per aver pensato tu a preparare la cena" mi dà un bacio in guancia per poi dirigersi in camera.

La persona giusta arriverà, prima o poi, e ti travolgerà come un mare in tempesta.

Le parole di mia madre riecheggiano nella mia testa e io non posso fare a meno di darle ragione.

Madison è così per me: un mare impetuoso e tempestoso che si è intrufolato nella mia vita scompigliando i miei pensieri e ribaltando le mie emozioni. Un'onda anomala che si è schiantata contro lo scoglio del mio cuore producendo un gran rumore e sgretolandolo in migliaia di frammenti capaci di ricomporsi con un suo solo sorriso. Un'anima dolce e bianca in contrasto con la mia, nera, angosciata, dannata. Un cuore rotto che combacia allam perfezione con il mio in ogni punto. Madison è la persona giusta; lei è la mia persona.

Sono passati due giorni da quella discussione fuori dall'università e ho la netta sensazione che tenta di sfuggirmi. Alla fine delle lezioni, ieri, stavo andando da lei, ma appena mi ha visto ha frettolosamente salutato la ragazza con cui stava parlando ed è corsa via. Mi sta evitando. Le mie parole non hanno avuto nessuno effetto su di lei? Non lo so dannazione, non so niente. E anche se volessi avere delle risposte, Madison continua a scapparmi. Scivola via dalle mie mani come granelli di sabbia. Quella ragazza prima o poi mi farà impazzire, ne sono certo, ma sono disposto ad uscire fuori di testa se questo vorrà dire averla al mio fianco. Sono pronto ad aprirle il mio cuore e a dimostrarle che la voglio nella mia vita. Sono pronto per lei e glielo voglio urlare mentre la guardo negli occhi. Perché Madison è l'unico mio raggio di sole in questa tempesta tenebrosa che oscura il mio cuore.

Madison's Pov.

...Mi sei mancata tu.

"Ordinazione al tavolo 4"

Non voglio chiuderti in nessuna trappola se non in quella della mie braccia che ti stringono forte e ti proteggono da tutto.

"Tavolo 8"

Io ho bisogno di te. Ho bisogno che curi le mie feriti e mi salvi dal casino che ho dentro.

"Devi essere più veloce, i clienti cominciano a spazientirsi"

Sei la ragazza che mi ha rubato il cuore. Resta. Non andartene anche tu.

"Madison al tavolo 1 chiedono di te"

Basta! Sento che da un momento all'altro impazzirò. Oggi la confusione al locale mi sta opprimendo, impedendomi di respirare.

Inoltre, nella mia mente continuano a vorticare le parole di Ethan. Non riesco a togliermi la sua voce dalla testa mentre pronunciava quelle parole che, con il passare dei giorni, hanno scavato dentro di me per trovare le parti più deboli del mio essere. Le sue parole sono rimaste incastrate in ogni crepa del mio cuore. Il motivo per cui è da due giorni che lo evito? Non lo so. Sono rimasta di sasso dopo che ha pronunciato quelle frasi e sono scappata. E' la cosa che mi riesce meglio fare.

"Madison, è tutto okay? Ti vedo un po' pensierosa" si avvicina Paul mentre mi guarda.

"Oh sì, scusa. È che sono solo un po' stanca" sorrido debolmente.

"Va' pure a casa allora" mi sorride.

"Oh no, non fa niente" non posso tornarmene a casa solo perché un ragazzo fa vacillare la mia incolumità mentale.

"Va' a casa ho detto e riposati. Vedrai che con una bella dormita ti sentirai meglio" mi accarezza una guancia.

"Dico davvero, Paul. Non ho voglia di andare a casa e poi al locale c'è ancora bisogno di me, non mi sembra giusto andarmene e lasciarvi in mezzo alla confusione. Due braccia in più aiutano" spiego.

"D'accordo, allora visto che ti ostini tanto a non ascoltare le mie parole adesso io e te finiamo il turno e andiamo a cenare insieme da qualche parte" dice togliendosi la giacca da lavoro.

"E chi lo dice che io e te finiamo il turno adesso?" mi acciglio.

"Io, non dimenticarti che sono il capo" sorride strizzando l'occhio.

"E chi ha deciso che cenerò con te?" alzo un sopracciglio.

"Sempre io. Dai va' a cambiarti, così andiamo."

"Sai, ho l'impressione che questa cosa di dare ordini al locale ti stia sfuggendo un po' di mano" sorrido.

"Per favore" mi fa la faccia da cucciolo e io non posso fare a meno di ridere.

"Va bene, ma solo per questa volta."

"Certo" dice con tono poco credibile.

Mi dirigo verso lo sgabuzzino per togliermi la divisa e darmi almeno una sistemata. Lo specchio riflette una ragazza con i capelli ricci disordinati, il viso sciupato e due occhiaie scavate a circondarle gli occhi.

Sei orribile.

Lo so.

Gli incubi la notte non fanno altro che aumentare la loro tortura. Anche il mio stomaco si è chiuso e si rifiuta di mangiare da diversi giorni ormai. L'unica cosa che sono in grado di ingerire e di tenere in corpo è il the.

"Madison, sei pronta?" bussano alla porta e per poco non cado all'indietro per lo spavento.

"S-si, arrivo subito."

Apro la porta e un Paul preoccupato investiga sul mio viso.

"Non guardarmi con quell'espressione. Sto bene. Dai, andiamo prima che cambi idea" rispondo e a passo svelto mi dirigo verso l'uscita del Fred's bacon.

***

"Due hot dog" dice Paul al tizio del camioncino dei panini.

Il freddo pungente di fine novembre mi entra fin dentro le ossa mentre nuvolette di vapore fuoriescono dalla mia bocca per mischiarsi al cielo grigio di New York.

"Hai freddo?" si avvicina Paul mettendomi un braccio intorno al collo mentre con l'altro fa dei movimenti irregolari lungo la mia schiena.

Mi irrigidisco all'istante e sono grata all'uomo di mezza età che ci richiama dandoci i nostri rispettivi panini. L'odore delle patatine fritte fumanti mischiate al resto del contenuto del panino mi fa venire il voltastomaco, ma per non dare nell'occhio mi sforzo di dargli almeno due piccoli morsi.

"Che ne dici se ci sediamo in quella panchina?" mi chiede Paul e io annuisco.

Il posto in cui ci troviamo è poco distante dal centro, gli alberi sono in pochissime quantità mentre alti pali della luce costeggiano le strade. Il piccolo piazzale di fronte a noi è animato soltanto dal passaggio di qualche foglia spinta dal freddo vento che le fa muovere qua e là.

"È tutto apposto?" mi chiede il ragazzo al mio fianco.

"Sì, perché me lo chiedi?"

"Il tuo panino. È ancora intatto."

"Oh, è che non ho molta fame" sussurro abbassando lo sguardo "mi dispiace."

"Non dire fesserie, Madison. Non c'è nessun bisogno di scusarsi" mi alza il viso premendo due dita sotto il mento.

Paul prende delicatamente il panino dalle mie mani e lo avvolge nei tovaglioli che ci sono stati dati poco fa per poi buttarlo bel secchio dell'immondizia accanto a lui.

"Ecco fatto" mi sorride.

"Grazie."

"Allora, perché non mi parli un po' di te?" dice dopo attimi di silenzio e nuovamente mi irrigidisco.

"Perché non inizi tu?" svio il discorso.

"Oh beh, come vuoi. In realtà, non c'è molto da dire su di me. Sono nato a Boston, ma per motivi economici mi sono trasferito a New York con la mia famiglia quando avevo dieci anni. Con il passare degli anni, il lavoro di mio padre andava sempre meglio, così ci siamo stabiliti qui definitivamente. I miei genitori stanno insieme da più o meno trent'anni e hanno litigato sì e no cinque volte. Sono una coppia davvero fantastica. Ho una sorella più grande sposata e con un bellissimo bambino di nome Marcus. Al liceo ero un tipo abbastanza popolare, per il fatto che in giro si sapeva che mio padre possedeva molti capitali; infatti gli amici con cui uscivo a quei tempi miravano soltanto ai miei soldi per poi rivelarsi dei falsi amici. Sono appassionato di musica, arte e fotografia, non sono mai stato bravo a scuola, anzi la maggior parte delle volte venivo sbattuto fuori dalle classi e finivo sempre per combinare qualche cavolata, prendendomi un sacco di espulsioni e sospensioni. Non sono mai stato innamorato, ho paura delle montagne russe, il mio piatto preferito è la pizza, ho paura degli squali, anche se non ne ho mai visto uno, e il mio colore preferito è il rosso" conclude con un sorriso.

"W-wow e per fortuna che non c'era molto da dire su di te" sghignazzo un po' sbalordita.

"Beh sì, ma sono cose superficiali" ride incastrando la lingua tra i denti.

Non ha mai provato a fare il modello? Io direi che farebbe successo!

"Tu, invece? Parlami di te" mi rivolge un'occhiata investigativa.

Odio quando mi guarda così! È come se volesse leggermi dentro e io non lo sopporto.

"Beh.. ecco" cerco di ricordare qualcosa al di fuori dei tragici avvenimenti avvenuti, ma niente da fare. È come se la mia memoria sia centrata sulle cose brutte piuttosto che su quelle belle.

Non ricordo un sorriso di mio padre, ricordo solo le sue lacrime. Non ricordo le sue gioie, ricordo solo le sue sofferenze. Non ricordo una carezza di mia madre, ricordo solo le sue parole di disprezzo. Non ricordo felicità nella mia infanzia, ricordo solo dolore.

"Allora?" mi risveglia Paul dai miei pensieri, incitandomi a parlare.

"Io-"

Vengo interrotta dalla suoneria del telefono e mi prometto di fare una festa di ringraziamento al mio amico Matthias per avermi salvata da questa discussione fatale.

"È Matthias, il mio amico. Sarà preoccupato dato l'ora. È meglio che vada" sputo tutto velocemente.

"Okay, ti accompagno" si alza dalla panchina.

"Oh non preoccuparti. Abito qui vicino posso anche andare a-"

"Madison è buio, e poi non lascerei mai che andassi a piedi quando ho qui la macchina" mi interrompe "dai sali" dice sbloccando l'auto con la chiave.

In macchina il silenzio regna sovrano e per quanto la cosa non mi dispiaccia, è un silenzio scomodo e ingombrante. Dopo dieci minuti che sembrano infiniti l'appartamento in cui abito ci appare in vista e Paul arresta la macchina. Scendiamo dall'auto blu elettrico e Paul si avvicina a me.

"Sono stato davvero bene con te, oggi" sorride.

"Lo stesso vale per me."

"È da rifare" assottiglia lo sguardo avvicinandosi ancora.

"Certam-" Vengo interrotta dalle sue labbra che si poggiano sulle mie. Sorpresa sgrano gli occhi restando pietrificata. Paul posa le mani sui miei fianchi mentre picchietta con la lingua sulle mie labbra per avere maggiore acceso. Mi riprendo subito e mi stacco bruscamente dal ragazzo che mi guarda confuso e mortificato.

"Madison mi disp-"

"No" lo interrompo "avevamo passato una bella serata, come ti è venuto in mente di baciarmi? Io pensavo.. aaah" sono infuriata "non sono interessata a te in quel senso, per me sei un amico oltre che il mio datore di lavoro" inveisco contro il ragazzo che mi guarda in silenzio. Sospiro frustrata "Senti facciamo finta che non sia successo niente, per favore. Adesso devo proprio andare, buonanotte"

Gli volto le spalle lasciandolo senza la possibilità di darmi una spiegazione o di aprire bocca. Dannazione a Paul! Che motivo c'era di baciarmi?

Arrivo di fronte il portone del mio appartamento e cerco le chiavi nella borsa. Dopo un tempo interminabile, finalmente le trovo e non appena sto per inserire la chiave nella serratura il mazzo mi scivola di mano.

"Cazzo" impreco.

"Giornata stressante? " chiede una voce alle mie spalle facendomi sobbalzare e urlare dallo spavento.

Aspetta. Io conosco quella voce. È la sua voce. Subito mi volto.

Un Ethan tranquillo e spensierato se ne sta beatamente sul ciglio della strada appoggiato ad un palo della luce con le braccia conserte. I ricci sono tenuti ben saldi dalla solita bandana nera anche se alcuni boccoli gli finiscono comunque davanti agli occhi. Gli zigomi pronunciati e le labbra carnose sono arrossati per il freddo pungente. Lo sguardo incastrato nel mio e anche da questa distanza posso notare quel verde cristallino che mi ricorda il colore dei prati bagnati dalla rugiada mattutina. Un verde meraviglioso come le distese dei campi della Scozia. Un verde capace di inebriare i miei sensi e sconfiggere la mia incolumità mentale.

"Da quanto tempo sei qui?" non posso fare a meno di chiedere.

"Da tanto" afferma lanciandomi un'occhiata glaciale. "Troppo tempo" continua. "Quel fottuto cameriere da quattro soldi me la pagherà" sussurra impercettibilmente tanto da farmi credere di essermelo immaginato.

"M-mi dispiace" sussurro abbassando lo sguardo.

Il rumore dei suoi passi diventa sempre più forte, il suo profumo, acqua di colonia e menta, inonda la mia mente come un mare in preda ad una tempesta di fulmini e saette e il tocco delle sue dita poggiate sotto il mio mento manda una scarica di adrenalina a percorrere tutto il mio corpo.

"Per cosa?" sussurra a pochi centimetri dal mio viso. Il suo alito mi investe ed è come se accarezzasse dolcemente il mio viso.

Già Madison, per cosa?

"Per tutto" sussurro confusa dalle mie stesse parole. Non so quale sia il vero motivo, ma sentivo la necessità di scusarmi.

"Oh piccola, vieni qui" sussurra.

Improvvisamente compie un gesto che non mi sarei mai aspettata da lui. Mi tira velocemente per un polso, rinchiude con le sue enormi braccia il mio corpo, le sue mani finiscono tra i miei capelli e poggia il mento sulla mia testa. E mi abbraccia. Mi abbraccia forte. Mi abbraccia bisognoso di conforto. Mi abbraccia come se fossi la cosa più preziosa che abbia. Mi abbraccia come se avesse paura che da un momento all'altro mi stacchi da lui, rompendo queste catene che ci tengono legati. Ma lui non sa che adesso non lascerei per nessun motivo al mondo questa protezione, questo scudo creato dal calore del suo corpo. Per questo motivo, lo abbraccio anche io. Lo abbraccio forte. Lo abbraccio come se io fossi una nave che affonda e Ethan fosse la mia ancora di salvezza. Lo abbraccio forte perché le sue braccia sono il perfetto ossimoro di una gabbia che mi fa sentire libera; una gabbia che mi isola dal resto del mondo. E mi sento viva mentre mi perforo i polmoni con il suo profumo che sa di casa. Sono fuggita dall'Inghilterra e mi sono stabilita a New York con la speranza di poter trovare un po' di stabilità e un posto da poter chiamare casa. E adesso, stretta nella sua morsa, posso finalmente dire di aver trovato un rifugio. Le braccia di Ethan sono la mia casa. Ethan è la mia casa.

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