NON SONO UNA SPIA

By lovewillkillus

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Quando la giovane agente Althea Kelley viene improvvisamente trasferita a Boston per una missione di spionagg... More

Anonima
Benvenuta a Boston
Guerra all'ultimo squat
Esclusa
Che panico
Rialzati, agente Kelley
Errore mio
Basta distrazioni
In piedi
Sta' attenta
Non male, agente Kelley
Concentrati
La festa è finita
Torna a casa
Ti tengo d'occhio
Voglio evaporare
I capi sono brutti
Blackout
Oltre l'armatura
Allontanati
Il giardino segreto
Troppe emozioni
Di male in peggio
Tempo scaduto
Il mio posto preferito
Dalla parte giusta
Distrarre e fuggire
Segreto
Sono fottuta
Matthew
Non è un gioco
Ghiaccio al sole
Piano C
Due passi
Arrabbiati
Gelato
Inizia il gioco
Sconveniente
Bacetto
Seccatura
Momento di gloria
Insieme
Senza cuore
Tutto giusto
Scomodo
Non sono una spia

Ingenua

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By lovewillkillus

Mi sono addormentata.
Stento a crederci e mi stupisco di me stessa, ma davvero sono riuscita ad addormentarmi profondamente con Evan sul mio stesso letto. La cosa che più mi sconvolge è che anche lui dorme.
Non è un vampiro.
È una persona normale in grado di addormentarsi. La luce filtra attraverso le tende socchiuse ed il sole inizia a scaldare la stanza. O forse è Evan Royden. Non lo so. Sono confusa.

Lui si è addormentato con una mano ancora poggiata sulla mia fronte mentre l'altro braccio è finito stretto attorno alla mia vita, in una sorta di abbraccio inconsapevole e protettivo.
Il mio corpo così vicino al suo è così piccolo che sembro una bambina stretta tra le braccia forti di suo padre. Le ciglia scure si estendono delicatamente come un ventaglio, folte e lunghe, e si adagiano sulla palpebra chiusa. I capelli neri scompigliati ricadono con leggerezza sulla fronte e gli incorniciano il viso in una sorta di eleganza selvaggia.

Sento il suo respiro sul collo e questa vicinanza mi provoca il disperato bisogno di fiondarmi in bagno e fare una doccia. Fredda.
Calma. Devo rimanere calma.
Chiudo gli occhi e mi fingo morta, ma sono costretta a riaprirli quando il cellulare di Evan vibra sul comodino.
Lui non si accorge di niente. Continua a dormire come un angelo con la guancia poggiata contro la mia spalla.

Per qualche istante nella stanza piomba il silenzio, poi quell'aggeggio maledetto torna a squillare.
«Signor Royden», bisbiglio. «Signor Royden»
«Mmh», non apre nemmeno gli occhi.
«Qualcuno la sta chiamando»
«Mmh», ripete e la sua bocca si muove leggermente. I muscoli della mascella si rilassano e si contraggono in una serie di movimenti automatici. Forse si sta svegliando.

Provo a dare una sbirciata al display e corrugo la fronte nel leggere il nome MATILDA lampeggiare. Chi è Matilda? Non ho nessuna collega con questo nome.
Il mio cervello mi ricorda che, molto probabilmente, Evan Royden ha una vita fuori dalla centrale.
«La sta chiamando una certa Matilda, signore», ringrazio il fatto che è troppo immerso nel sonno per rendersi conto del mio tono di voce gracchiante.
Nessun segno di vita.

«Signore», riprovo. «Matilda la sta chiamando in modo piuttosto insistente»
«Non pensarci», biascica. «Ignorala»
«Non so chi sia, ma temo sia urgente. Continua ad insistere»
«È solo mia moglie», mormora, affondando il volto nella mia clavicola.
«COSA?», l'urlo è più spontaneo del dovuto. Credo di aver rotto tutti i bicchieri in casa a causa del suono troppo acuto. 

Balzo giù dal letto, scioccata: «Moglie? Lei ha una moglie?», sto strillando. Ho dormito nello stesso letto di un uomo sposato.
Evan Royden è sposato. Voglio piangere. Posso?
«PERCHÉ NON ME LO HA DETTO PRIMA?».
Ora il capo dipartimento è costretto ad aprire gli occhi e a godersi il mio viso sconvolto.
«Non me lo hai mai chiesto», si stringe nelle spalle e mi viene voglia di dargli un pugno. Forte.

Apro e chiudo la bocca, troppo turbata per dire qualsiasi cosa.
Poi Evan torna a poggiare la testa sul cuscino e scoppia a ridere. Una risata liberatoria, energica, melodiosa.
Il suono più bello che io abbia mai sentito in tutta la mia vita.
Evan Royden sta ridendo. Sul serio. Ed è una sinfonia di note allegre e piene di vita.

«Mi stava prendendo in giro?», chiedo. Lui è troppo impegnato a ridere di me. «Mi stava prendendo in giro», confermo.  Ma che stronzo.
«Mi sono sentita un'adultera pur non avendo fatto un bel niente!», indico la mia faccia e provo a rimanere seria, ma la mia affermazione lo fa ridere ancora più forte e scappa una risata anche a me.
Scuote la testa e si alza in tutta la sua bellezza. Riempie la stanza con la sua sola presenza. E quel sorriso.

«La tua ingenuità mi preoccupa, agente Kelley»
«A me invece preoccupa il suo modo sadico di divertirsi, signore».
Sorride ancora. Afferra il cellulare ed esce dalla stanza: «Dimmi tutto», dice. Poi si allontana in corridoio e non lo sento più.
Io rimango ferma per diversi istanti fino a quando non decido di andare a lavarmi la faccia. Quando esco dal bagno raggiungo la cucina dove Evan sta scrivendo qualcosa su un quaderno, il cellulare bloccato tra la spalla e l'orecchio.

Mi segue con lo sguardo quando gli passo davanti per avviare la macchina per il caffè.
Ne preparo uno per lui e sussurra un grazie quando glielo porgo. Mi appoggio al bancone e bevo il mio, lo sguardo diretto su Evan Royden.
Caffè con vista.
Wow.
Che bel risveglio.

Conclude la chiamata e si ferma ad appuntare ancora qualcosa prima di chiudere il quaderno e puntare gli occhi su di me. «Stai meglio?»
«Sì», confermo. «E grazie per essere rimasto qui». Le guance vanno a fuoco se ripenso al modo in cui mi sono svegliata.
«Non devi ringraziarmi», beve il caffè e si alza: «Adesso io devo andare. Sta per arrivare Matilda, una tua nuova cliente. È una nostra collaboratrice. Porterà con sé delle foto e le indicherai l'uomo che Matthew ha incontrato ieri sera»
«Va bene»

«Se non c'è una foto, invece, ti occuperai di descriverlo in maniera dettagliata»
«Sì, signore»
«Verrà qui anche un'altra donna, Gwen. Lei ti darà delle dritte su alcune tecniche di spionaggio»
«Ehm, va bene»
«Poi passerò a prenderti. Dobbiamo allenarci»
«Giusto», avevo rimosso che oggi è uno dei giorni delle torture.

«Ma prima di tutto devi fare una colazione decente», mi rimprovera e si muove verso la camera da letto. «Bere un caffè a stomaco vuoto non è la scelta migliore».
Lo seguo con la fronte corrucciata: «Lo ha appena fatto anche lei», le parole mi muoiono in bocca perché si sfila la t-shirt senza badare alla mia presenza. Si sta rivestendo. Davanti ai miei occhi. Quanti muscoli può avere il corpo umano?
Li vedo tutti.
Il suo corpo è più statuario di ciò che sembra. È un vero peccato coprirlo con dell'inutile tessuto.
«Scusi», bisbiglio e mi giro di spalle per concedergli un po' di privacy. Accenna un ghigno divertito. Il mio imbarazzo lo diverte. Sempre.

«Farò colazione per strada», lo sento armeggiare con i jeans. «Alla centrale hanno bisogno di me e sono in ritardo»
«Lei non è mai in ritardo», commento.
«Penseranno tutti che da quando mi sono fidanzato con l'agente Kelley ho perso la testa», tira su la zip. Sto guardando il muro, ma nella mia mente è come se vedessi ogni cosa di lui. «Puoi girarti», aggiunge.
Lo ritrovo perfettamente vestito.

«A proposito», comincio. «Come va alla centrale? Si è sparsa la voce?»
«Più veloce di quanto immagini», conferma. «Lo sanno tutti», si mette le scarpe e studia la mia espressione dispiaciuta.
«Immagino che non sia una situazione piacevole per lei»
«Non lo è», conferma. «Soprattutto perché Cristina adesso pensa di poterci provare apertamente con me e Colin ha un atteggiamento passivo aggressivo nei miei confronti. Si era preso una cotta per te, te ne eri resa conto?»

«Come, scusi?». Troppe informazioni.
«Vedi? Sei ingenua, agente Kelley», mi passa accanto e schiudo le labbra quando mi scompiglia i capelli per un saluto. «Ci vediamo dopo, Darlene».
Se ne va senza dire altro.

I giorni passano veloci tra le lezioni di Gwen e gli allenamenti di Evan. Mi sento ad ogni ora che passa sempre più distrutta.
Ho accettato l'invito di Matthew e domattina verrà a prendermi per andare a pescare, ma intanto evito di pensarci e mi limito a morire sul divano di Evan Royden.
Lui e Rafael mi fissano, le braccia incrociate al petto.

«Mi fa male tutto», dico. «Non c'è una parte di me che non sia stata torturata»
«Ti dico sempre di sparargli», mi rimprovera Rafael ed io trattengo una risata. «Una gamba o un piede, insomma. Qualcosa in grado di rallentarlo»
«Avete finito?», Evan alza gli occhi al cielo, estenuato. Ha dichiarato apertamente che odia avere me e Rafael nella stessa stanza, casa o isolato. Io invece adoro Rafael. È l'unica persona che conosco in grado di insultare Evan di continuo uscendone illeso.

«Non lo so», borbotta Rafael. «Hai finito, Althea?»
«Mi fa male tutto», ricomincio a piagnucolare e lui scoppia a ridere. Mi porge una mano per aiutarmi a rimettermi in piedi.
«Adesso ti porto a casa, ti prepari e vieni con me».
Evan si gira a guardarci con un sopracciglio inarcato, come se fosse incuriosito dal nostro dialogo e al tempo stesso confuso.

«Dove andiamo? Domani devo svegliarmi presto per andare a pescare», lo dico con un tono fin troppo aspro. È domenica. E odio alzarmi presto la domenica.
«Andiamo a rilassarci», dice. «Beviamo una birra e svuotiamo un po' il cervello. Credo che tu ne abbia bisogno»
«Non lo so», ci sto pensando. Forse non mi farebbe male.
«Perfetto. Andiamo», mi spintona scherzosamente verso la porta e giro la testa per voltarmi indietro e guardare Evan.

«Non badare a lui», borbotta Rafael. «Non sei in servizio. Non hai alcun obbligo nei suoi confronti»
«E se ci vedesse Matthew?»
«Matthew non frequenta il posto in cui ho intenzione di portarti»
«Fanno gli hamburger in questo luogo? Ho fame»
«Certamente», recupera la mia giacca e me la sistema sulle spalle, ormai davanti alla porta d'ingresso.
Saluto con la mano Evan mentre vengo letteralmente sbattuta fuori da casa sua e mi ritrovo per le scale.

«Il signor Royden non verrà?»
«Certo che verrà», sorride diabolico, come se tutta questa situazione fosse frutto di un suo malefico piano. «Forse non te ne rendi conto, piccola Althea, ma se Evan fosse una mosca seguirebbe ogni tuo passo».
Ah.

Rafael mi porta in un pub molto accogliente, con pareti di legno chiaro e luci soffuse che creano un'atmosfera di intima tranquillità. Siamo seduti al bancone e ci stiamo godendo una birra gelida e un hamburger succulento, mentre intorno a noi la gente chiacchiera animatamente e ride.
Mi inclino leggermente in avanti e addento l'hamburger, attenta a non sporcarmi i jeans chiari o il body rosso.

Rafael sta scherzando insieme al barista e non ho minimamente idea di che cosa stiano parlando perché sono troppo concentrata a lanciare delle occhiate alla porta d'ingresso con la speranza di vedere Evan. Sono pazza? Probabile.
«Smetti di fissare in quella direzione», Rafael sussurra al mio orecchio, il tono fin troppo divertito.
«Quale direzione?»
«Non devi fingere con me», si concede un sorso di birra, poi torna a scrutarmi. «So che ti piace».

Scoppio a ridere e bevo anch'io per prendere tempo. Aiuto.
«Ma di che cosa stai parlando?», sono già rossa. Lo so.
«Di chi sto parlando», mi corregge.
Evan. Evan. Evan. Evan.

«Non ti seguo», scrollo le spalle e lui sorride ancora di più davanti al mio imbarazzo.
«Va bene», solleva le mani in segno di resa. «Fingerò di crederti, ma posso darti un consiglio?».
Avvicina di più il suo sgabello al mio e mi fa ridere la sua faccia seria.
«Dimmi tutto»
«Guarda altrove», suggerisce. «Evan è troppo legato al senso del dovere per vederti sul serio».
Inarco un sopracciglio: «Che vuol dire?»
«Vuol dire che pur volendoti non si farebbe nemmeno sfiorare dall'idea di avere una relazione con te o con qualsiasi altra agente del suo dipartimento»

«Grazie per il suggerimento, ma nemmeno io vorrei avere una relazione con il mio capo dipartimento».
Ride, scuote la testa e beve un po': «Allora non ti interesserà sapere che il tuo capo dipartimento è appena entrato».
Evito di voltarmi e deglutisco: «Non sono interessata da quel punto di vista», sono un'attrice nata.

«Bene», si trattiene dal ridere. Non mi crede proprio.
«Bene», sibilo, trangugiando la birra a grandi sorsi. «Ora mi stai antipatico», sbotto. Si concede finalmente una risata liberatoria. Ha un'aria così dolce e genuina che è in totale contrasto con il viso spigoloso e i tatuaggi che lo ricoprono.
Mi aspetto che Evan venga a salutarci da un momento all'altro, però non lo fa.

Chiacchiero con Rafael del più e del meno, ma non posso fare a meno di chiedermi che fine abbia fatto Evan. Non posso voltarmi per cercarlo in giro per la stanza, accidenti.
È Rafael a farlo per me. Si guarda intorno fino a quando non lo trova, poi m'informa: «Lo hanno bloccato all'ingresso», ghigna divertito.

Mi giro piano per capire il significato della sua affermazione e odio me stessa per la fitta di gelosia che mi coglie nel vedere Evan chiacchierare con una giovane donna.
La cosa che mi disturba è il modo rilassato con cui avviene la discussione. Chissà com'è parlare con Evan senza nessun legame lavorativo.

La sua postura è sempre imponente, ma i lineamenti scolpiti del suo volto sono attenuati da un sorriso che risplende di fascino. La donna sorride a sua volta e tra una parola e l'altra gli sfiora le braccia. Adesso sta facendo un cenno del capo in direzione di un tavolo e gli occhi del capo dipartimento saettano sulle persone che lo popolano e che lo stanno salutando da lontano. Lo ha invitato ad unirsi al loro tavolo.
Accidenti.

Torno a concentrarmi sul mio hamburger.
«Vogliamo stare qui a piangerci addosso o beviamo un'altra birra e ampliamo i nostri orizzonti?»
«In che senso?»
Rafael ordina con un gesto delle mani altre due birre e poggia i gomiti sul bancone. «Vedi quella tenda pesante alla tua destra?».

I miei occhi corrono veloci su ciò che ha indicato e annuisco.
«Dietro quella tenda c'è una bellissima sala da biliardo»
«Non so giocare», ammetto subito.
«Io non la uso per giocare», si alza ed io rimango pietrificata sul mio sgabello. «Quel posto è magico per rimorchiare. Andiamo a fare una partita. Potresti fare conoscenze interessanti».
Prende le birre e fa un cenno verso la tenda blu.

«Non ci penso proprio», rido. «Non voglio rimorchiare nessuno»
«Questo non puoi saperlo», mi rimprovera. «Qualcuno potrebbe attirare la tua attenzione. Andiamo».
Inizia a camminare senza aspettare una risposta. Mi muovo nervosamente sullo sgabello prima di seguirlo.
Al diavolo.
Comincio seriamente ad odiarlo.

Scosto la tenda e mi giro per una frazione di secondo verso Evan. Si è seduto a quel tavolo e ascolta i discorsi della ragazza mentre sorseggia un liquore da un bicchiere di vetro.
Non mi guarda, ovviamente.
«Muoviti», borbotta Rafael.
«Stavo solo...»
«Non preoccuparti, ti ha vista», camminiamo lungo il corridoio stretto, la musica ovattata.

«Non mi ha vista»
«Ti ha vista eccome», scansa con la mano un'altra tenda e la sala da biliardo si apre davanti ai miei occhi. Le pareti di mattoni a vista, luci dalle tonalità calde, tavoli da biliardo in legno massiccio e poltrone imbottite che sembrano invitarmi a prendere posto. Le mura sono coperte da poster vintage di celebri giocatori e da fotografie di antichi tornei, dando alla stanza un tocco retrò e nostalgico.

«Non mi ha guardata nemmeno», mi lamento, ignorando il rumore delle palline che si scontrano e il tintinnio di bicchieri che vengono serviti al bancone.
«Ti assicuro che non è così», si ferma. «Ti lascio scegliere il tavolo, Althea. Io saluto un'amica e ti raggiungo».
Mi abbandona al centro della sala e mi sento un pesce fuor d'acqua. Quale tavolo? Dove vado? Sono tutti occupati.

Incrocio le braccia al petto e mi sposto ai margini della stanza, prendendo posto su un divano di velluto libero. Davanti a me, degli uomini stanno facendo una partita. Sono concentrati. E sono bravissimi. Non capisco niente, ma sembrano davvero talentuosi. Anche altri hanno notato che si sta svolgendo una bella partita e qualche minuto dopo arrivano alcuni spettatori.
In particolare, un giovane uomo che si è seduto accanto a me ha iniziato a spiegarmi che cosa sta succedendo e le regole del gioco. Forse ce l'ho scritto in faccia che non so proprio giocare.

Mi fingo interessata in attesa di vedere arrivare Rafael che evidentemente ha scelto in modo volontario di abbandonarmi qui. Ora capisco perché è amico di Evan: è stronzo uguale.
«Vedi?», mi sfiora il braccio con due dita per richiamare la mia attenzione. «Se la palla bianca finisce nella buca è considerato fallo»
«Non lo sapevo, grazie»
«Ci sono diversi modi per commettere un fallo nel biliardo», continua con la sua lezione. Rafael dove diavolo sei? «Colpire la palla bianca due volte, ad esempio». Si avvicina ancora di più.

Quest'uomo sa cosa sono gli spazi personali?
«Non colpire nessuna palla o colpire la palla nera prima di terminare il gioco»
«Interessante», a parlare non sono io. Sia io che lo sconosciuto al mio fianco ci voltiamo di scatto per guardare alle nostre spalle.
Con i gomiti poggiati sullo schienale del divano, Evan Royden si è piazzato in tutta la sua stazza tra di noi. È proprio nel mezzo, tra la mia testa e quella del mio improvvisato istruttore di biliardo.

«Evan», lui lo saluta, l'espressione confusa. Sembra aver visto un fantasma.
«Sean», ricambia con un cenno del capo e poi con un ghigno diabolico aggiunge: «Non sapevo ti intendessi di biliardo».
Sean ride nervosamente: «Oh, solo un po'. Stavo spiegando a questa ragazza alcuni concetti principali».
Il sorriso di Evan si allarga di più. Sembra volergli scoppiare a ridere in faccia: «Mi dispiace aver interrotto la tua lezione».
Non è per niente dispiaciuto. Sono scioccata dalla sua incapacità di nascondere il divertimento.

«Continuate pure», gli lascia un'amichevole ed energica pacca sulla spalla che scuote il povero Sean talmente tanto da farmi temere per la sua vita. È vivo.
Evan adesso parla con me, gli occhi ardenti come fuoco: «Quando avrai finito di parlare con il maestro, vieni fuori. Ti porto a casa»

«Ma cosa...»
«Non metterci troppo», continua. «Ho da fare».
Se ne va senza aggiungere altro o voltarsi indietro. Lo seguo con lo sguardo fino a quando non sparisce dietro le pesanti tende.
«Non sapevo stessi con Evan», Sean torna a parlare dopo interminabili istanti. Abbozza un sorriso imbarazzato mentre si alza: «Ehm, ci vediamo in giro. Devo proprio andare. Ci-ciao!».
Poi si dilegua come fumo nell'aria.
Ma che diavolo è appena successo?

Cerco nella stanza Rafael e non lo trovo, dunque decido di raggiungere sul serio il signor Royden fuori.
La cosa che mi sconvolge è trovarlo già davanti all'ingresso, la moto accesa ed il casco sulla testa.
Sapeva che non avrei perso tempo. È evidente.
Porge un casco anche a me: «Già finito?», non vedo i suoi lineamenti, ma di certo sorride come un demone.
«Qualcuno ha fatto scappare il mio insegnante», sibilo.

Salgo sulla moto e stringo le mani attorno alla sua vita.
«Che peccato», commenta, il finto tono dispiaciuto.
In modo spontaneo gli assesto un pugno tra le costole che lo fa sussultare. Oddio.
Ho dato un pugno al signor Royden.
Mi aspetto una ramanzina o qualcosa del genere, invece lui ride di gusto: «I tuoi pugni stanno diventando micidiali, agente Kelley».
Continua a prendersi gioco di me.
Lo odio. Lo odio. Lo odio.
«Ho imparato tutto da lei, signor Royden»
«Dovremmo aumentare la frequenza dei nostri allenamenti», ribatte in fretta mentre fa lo slalom tra le auto.

«Non mi vede già abbastanza?»
«Forse voglio vederti di più»
«E perché mai?», mi scappa una risata nervosa. Molto nervosa. Non sopporterei altri allenamenti. Davvero. Il mio corpo chiede pietà.
«Me lo chiedo anch'io, Darlene», ammette. «E vorrei tanto non conoscere la risposta».
E credo che  non stesse parlando più degli allenamenti.

Buon pomeriggio!! 🌞
Come va? Avete passato bene queste vacanze?
Spero di sì.
Io sono tornata con un nuovo capitolo super lungo. Ho visto che apprezzate 👀 quindi eccomi.
Passiamo alle nostre domande:
1) Che mi dite di Rafael? Lo amiamo o lo odiamo? 😂
2) Il nostro signor Royden si sta sciogliendo?
3) E siete pronti per andare a pesca con Matthew nel prossimo capitolo? 😈😂
Aspetto i vostri commenti e intanto vado a rispondere a quelli del capitolo precedente.
Vi ricordo che per qualsiasi cosa potrete trovarmi qui o su Instagram come lovewillkillus_
Un bacione ❤️

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