NON SONO UNA SPIA

By lovewillkillus

130K 11.6K 3.4K

Quando la giovane agente Althea Kelley viene improvvisamente trasferita a Boston per una missione di spionagg... More

Anonima
Benvenuta a Boston
Guerra all'ultimo squat
Esclusa
Che panico
Rialzati, agente Kelley
Errore mio
Basta distrazioni
In piedi
Sta' attenta
Non male, agente Kelley
Concentrati
La festa è finita
Torna a casa
Ti tengo d'occhio
Voglio evaporare
I capi sono brutti
Blackout
Oltre l'armatura
Allontanati
Il giardino segreto
Troppe emozioni
Di male in peggio
Tempo scaduto
Il mio posto preferito
Dalla parte giusta
Distrarre e fuggire
Segreto
Sono fottuta
Matthew
Non è un gioco
Ghiaccio al sole
Piano C
Due passi
Arrabbiati
Gelato
Inizia il gioco
Ingenua
Bacetto
Seccatura
Momento di gloria
Insieme
Senza cuore
Tutto giusto
Scomodo
Non sono una spia

Sconveniente

2.8K 279 86
By lovewillkillus

Siamo in un ristorante di lusso situato nel cuore di Boston, molto noto per la sua vista mozzafiato sullo skyline della città. L'atmosfera è surreale, intrisa di eleganza e raffinatezza. Tutto è arredato con tonalità neutre e accenti dorati che sono in perfetta armonia con le finestre panoramiche.

Tutti sono gentili con Matthew. Tutti. Il proprietario, i camerieri, il maitre, le hostess, il barman, perfino i sommelier.
Se fossi uscita con lui senza conoscerlo avrei ammirato la sua gentilezza e il suo essere educato e cordiale con tutti, ma adesso penso che siano tutti così rispettosi con lui perché lo temono. Parecchio.

È seduto davanti a me, gli occhi furbi intenti a studiarmi con minuziosa attenzione. «Sei nervosa», mi dice.
Non è una domanda. Ne è certo. Si sporge in avanti e sorride: «Qual è il problema?»
«Nessun problema», drizzo la schiena e assumo una finta espressione rilassata. O almeno ci provo.
«È per il tuo fidanzato?», indaga.
«Devo essere sincera?»
«Devi», risponde.
«Sono un po' agitata perché non sono mai uscita con un altro uomo alle spalle del mio fidanzato. Ecco».

Datemi un Oscar.
La verità è che me la sto facendo sotto perché temo di essere scoperta da un momento all'altro.
«Ti dispiace essere qui con me?», corruga la fronte ed io mi affretto a fare segno di no con la testa: «Per niente».
La mia risposta gli piace. Lo vedo da come gli angoli delle sue labbra rosse si sollevano: «Sono curioso, ragazza del teatro di cui ancora non so il nome, se ti rende così nervosa l'idea di essere qui con me all'insaputa del tuo fidanzato perché mi hai messo il tuo numero in tasca?».

Mi guarda come un felino ed io mi ritrovo a deglutire.
Il cuore batte veloce. Troppo.
Tum tum. Tum tum. Tum tum.
«Non lo so», le guance vanno a fuoco. «Qualcosa dentro di me mi ha suggerito di farlo»
«Ti sei pentita di averlo fatto?»
«No».
Sta per dire qualcosa, ma l'arrivo del cameriere interrompe il nostro dialogo. Posiziona ciò che abbiamo ordinato sul tavolo e rivolge un enorme sorriso a Matthew prima di andare via.

Stringo la forchetta tra le dita e provo ad ignorare la mia tachicardia.
«Non mi hai ancora detto come ti chiami», mi fa notare.
«Prova ad indovinare», lo prendo in giro e lui sta al gioco. Ingoia un pezzo di carne e poggia la schiena contro lo schienale, totalmente rilassato e a suo agio. Mi fissa il volto insistentemente, poi assottiglia gli occhi come se davvero si stesse concentrando per ricercare un nome perfetto per me.

«Scommetto che si tratta di un nome dal suono dolce», afferma. «Tenero e sensuale al tempo stesso».
Il modo intenso in cui mi guarda mi fa andare a fuoco.
Basta. Non posso reggerlo.
«Mi chiamo Darlene», taglio corto. «Non so se è dolce e tenero»
«Darlene», ripete piano, quasi in un sussurro. «Proprio come immaginavo. È bellissimo»
«Grazie», abbasso lo sguardo sul salmone grigliato che ho nel piatto. Matthew, intanto, con un cenno della mano ordina ad un cameriere di riempire il mio calice di vino.

Lo bevo a grandi sorsi per allentare un po' la tensione. Matthew osserva con un ghigno divertito la mia sete di alcool. La seconda volta è lui stesso a riempirmi il calice.
«Adesso so tre cose su di te: ti chiami Darlene, sei molto fidanzata e bevi il vino senza respirare quando ti senti in imbarazzo».
Mi scappa una risata: «Stavo respirando», mi difendo. «E non mi sento in imbarazzo. È solo che continui a guardarmi e mi viene voglia di nascondermi sotto il tavolo». Ma che ho detto?
Matthew inarca la testa da un lato e sorride ancora di più. Ha dei denti belli. Perfetti. «Scusa. A volte fisso le persone senza rendermene conto»

«Come in questo momento», gli faccio notare.
«Abituati al mio sguardo, Dar», accorcia il mio nome ed è come se quel nomignolo fosse stato creato per uscire dalla sua bocca. Non sembra sbagliato. «Perché è destinato a rimanere incollato su di te per il resto della serata».
E lo fa sul serio. Matthew mi studia anche il DNA per tutta la durata della cena. Non lo fa in modo invadente o spudorato. Sembra più incuriosito... Da me. Dalla mia persona.

Non so cosa diavolo ci veda in me, ma potrei giurare di aver fatto colpo.
Superato l'imbarazzo iniziale mi sento sempre più a mio agio. Matthew mi fa parlare un sacco. Mi chiede della mia vita, dei miei interessi. Pone domande senza essere invadente.
Se non fosse un potenziale omicida lo troverei perfetto.
Anche il nostro appuntamento procede a gonfie vele.
Lui pratica le arti marziali, ha girato moltissimi luoghi nel mondo, apprezza tantissimo le attività all'aperto e ha una passione per le escursioni e la pesca.

Evito di sorridere vittoriosa quando mi invita ad andare insieme a lui a pescare, domenica mattina.
«Ti farò sapere», rispondo. «Mi piacerebbe molto»
«Piacerebbe molto anche a me», solo adesso mi rendo conto di quanto si sia avvicinato durante il corso della serata. Eravamo l'uno davanti all'altro e adesso è praticamente al mio fianco.

Vedo che guarda qualcosa oltre le mie spalle e mi giro per vedere che cosa sta fissando. Un uomo.
Imprimo i dettagli del suo viso nella testa, cercando di memorizzarli per dare una descrizione dettagliata.
«Scusami un attimo», si alza e mi lascia un leggero buffetto sulla guancia. «Arrivo tra poco»
«Ehm, va bene».
Muove un passo in avanti e poi si volta verso di me: «Ti va di andare in un posto, dopo?».
L'agitazione torna ad impossessarsi del mio corpo.

Vorrei fargli cento domande, ma mi limito a dire: «Certamente», sperando che il posto non sia la scena di un crimine. O casa sua.
Approfitto della sua assenza per fiondarmi in bagno e avvertire Evan della piega che ha preso la serata. Doveva essere solo una cena e invece adesso non so dove andremo.

Volevo dirti che va tutto bene. Mi ha proposto di andare in un posto, ma non so ancora dove. Ti tengo aggiornato.

Cancello il messaggio che ho appena inviato e torno al tavolo con disinvoltura. Evan non risponderà. Mi sono dimenticata di dirgli che ho portato con me il rilevatore di posizione che mi ha dato la sera in cui siamo stati al teatro, ma scommetto che lui lo sa già. Qualcosa dentro di me mi dice che Evan sa esattamente dove mi trovo in questo momento. Forse penso questo solo per calmarmi.
Mi aiuta immaginare che Evan mi raggiungerebbe in ogni dove pur di aiutarmi in caso di pericolo.
Lo farebbe sul serio?
Sì. La mia stupida voce interiore suggerisce di sì.

Matthew mi porta ad una festa. Più precisamente in un locale letteralmente invaso da una quantità talmente grande di persone da sembrare piccole formiche. Noi siamo entrati dalla porta d'ingresso, ma non abbiamo fatto la fila. Ci hanno fatti passare con un gran sorriso e dei saluti calorosi per Matthew. La gente sembra volergli bene.

Sussulto quando mi prende la mano con una presa salda e lascia intrecciare le nostre dita. «Non voglio perderti tra la gente!», urla per farsi sentire nonostante la musica.
Si muove piano tra le persone ed io non posso fare a meno di seguirlo. Ci avviciniamo al bar e sento la schiena imperlata di sudore. Sono agitata. Le luci stroboscopiche e la musica fortissima, inoltre, non mi aiutano a mantenere la calma.

Delle ragazze mi spintonano mentre mi passano accanto e Matthew circonda la mia vita con un braccio per tenermi più vicina e al tempo stesso proteggermi dagli spintoni. Il suo profumo è tutto ciò che sento.
I nostri corpi sono praticamente attaccati e Matthew non mi lascia andare nemmeno quando si ferma davanti al bancone.

«Cosa vuoi bere?», parla al mio orecchio, sfiorandolo con le labbra.
«Acqua». Devo rimanere sobria.
«Va bene», annuisce. «Altro?»
«No. Solo acqua»
«Un calice di vino?», insiste con un sorriso divertito. L'idea di offrirmi da bere dell'acqua proprio non gli piace.
«Un succo di frutta, se possibile. Alla fragola». Ho bisogno di zuccheri. E intanto il mio cervello idiota pensa al bacio dal sapore di fragola che mi ha dato Evan.

Ordina subito due succhi di frutta alla fragola e mi scappa una risata quando me ne porge uno: «Mi hai fatto venire voglia di succo di frutta», spiega. «E voglio avere la mente lucida quando ti porterò a ballare. Non sono un gran ballerino quando bevo», strizza l'occhio e lascia scontrare i nostri bicchieri per un brindisi silenzioso.

«Io non sono una gran ballerina nemmeno da sobria», borbotto.
«Impossibile»
«Giuro»
«Non ti credo»
«I tuoi piedi soffriranno a causa mia», lo avviso.
«Soffrirò volentieri», dice. «Andiamo».
Mi prende la mano e mi porta a ballare.

Torno a casa alle quattro del mattino. Chiudo la porta alle mie spalle e sospiro, scaricando tutta la tensione accumulata.
È passata. Sono riuscita a superare la serata e adesso che tutte le paranoie si sono placate il mio mal di testa comincia a fare il suo ingresso.
Mi sfilo le scarpe dai piedi e tasto con le mani il muro per trovare l'interruttore della luce.

Urlo con tutto il fiato che ho in corpo quando mi accorgo di Evan Royden seduto su una poltrona, le braccia incrociate al petto e gli occhi bui fissi su di me.
«Agente Kelley», mi saluta, sollevando leggermente l'angolo delle labbra.
Porto la mano al petto e cerco di ritrovare il respiro. Mi ha fatto perdere dieci anni di vita, cavolo!
«Come ha fatto ad entrare?»
«Ho le chiavi», si stringe nelle spalle, come se la sua presenza a casa mia nel mezzo della notte fosse del tutto normale.

«Ha le chiavi», ripeto. Sono sconvolta. Sto boccheggiando, credo. Non riesco a chiudere la bocca.
«Quelle cose magiche che ti fanno aprire le porte», mi prende in giro e si alza, muovendo qualche passo verso di me. Sollevo la testa per guardarlo in faccia quando si ferma a pochi centimetri da me.
I suoi occhi scrutano attentamente ogni angolo del mio corpo, cercando segni di eventuali danni o lesioni. Lo fa sempre dopo qualsiasi operazione da lui ritenuta rischiosa.

Inizia dal viso e ne osserva ogni linea, poi sembra focalizzarsi sulla mia espressione in cerca di segni di disagio. Muove lo sguardo sulle mani, le braccia, il collo, le gambe. Esamina ogni centimetro di pelle visibile e non visibile. Io mi sento nuda pur essendo vestita.
Mi tremano le labbra, il cuore mi risuona nel petto, le guance sono infuocate e le tempie pulsano come impazzite.

«Stai bene?»
«Stavo meglio prima dell'infarto che mi è venuto non appena ho acceso la luce», borbotto, nascondendo dietro al sarcasmo l'agitazione interiore che la sua vicinanza mi provoca.
Recupero le décolleté dal pavimento e lo sorpasso, inspirando a pieno il suo profumo dolce. Ci annegherei.
«Non volevo spaventarti», mi segue.
«Poteva avvisarmi»
«Non potevo scriverti», mi fa notare. «E volevo assicurarmi che stessi bene».

Torno in corridoio senza guardarlo in faccia: «Le avrei inviato un messaggio appena possibile»
«Volevo vederti», spiega e mi si ferma il cuore. «Volevo accertarmi personalmente delle tue condizioni».
Finalmente lo guardo e incontro il suo volto serio, le sopracciglia leggermente aggrottate e le labbra serrate. Sembra un uomo di ghiaccio, ma nonostante la sua autorità, mi pare di scorgere nei suoi occhi un velo di dolcezza.

Ha come una luce che brilla nelle tenebre. Occhi che sembrano promettere di guardarmi sempre anche attraverso le tempeste. Sono pazza. Non devo pensare a queste cose.
Mi riempio un bicchiere d'acqua e recupero una pasticca per la mia emicrania: «Sto bene», confermo.
«Ti sta scoppiando la testa», dice lui in risposta.
«Ero un po' tesa e questo è il risultato»
«È successo qualcosa?», le sue spalle si irrigidiscono e torna a studiare la mia faccia per cercare dettagli che potrebbero essergli sfuggiti.

«No», mi affretto a dire. «Ero solo tesa per la situazione in generale. Con Matthew è andato tutto a meraviglia. Abbiamo cenato e chiacchierato. Mi ha parlato dei suoi interessi e di cosa gli piace fare nel tempo libero. Niente di rilevante per il nostro caso, ma durante la serata si è allontanato per qualche minuto con un uomo. Domani te lo descriverò», gesticolo animatamente. «Matthew è stato gentile. Lo è con tutti, in realtà. Dall'esterno sembra una bella persona. Dopo cena siamo andanti ad una festa. Ho appuntato nelle note del cellulare il nome del locale. Lì abbiamo bevuto un succo di frutta e ballato fino a poco fa. Mi ha accompagnata a casa e mi ha invitata ad andare con lui a pescare domenica mattina». Fine.
Credo di non aver respirato durante l'intera narrazione.

«Un succo di frutta», commenta. Ha sentito solo questo?
«Volevo rimanere sobria»
«Anche lui, evidentemente», si passa una mano sul mento e sembra pensare a qualcosa. «E ti ha invitata a pescare»
«Sì. Ho detto che gli avrei fatto sapere», chiudo un po' gli occhi e mi massaggio le tempie. Ho bisogno di sdraiarmi.
«Ci ha provato con te?»
«Tutto il tempo», ammetto.
«Ha cercato di approfittare della situazione?»
«In che senso?»
«Ha cercato di baciarti o qualcosa del genere?», si fa ancora più vicino, il tono intriso di tensione. Ogni sua parola sembra distesa su un filo di un arco pronto a scoccare.

«No. Niente di tutto questo. Si è limitato a flirtare senza troppi giri di parole».
Sposta il peso del corpo da una gamba all'altra, le sue mani si stringono e poi si allentano. «Va bene», tuona. «Perfetto». Lo sibila tra i denti.
«Possiamo parlare dei dettagli domani?», chiedo. «Scusi, ma il mal di testa inizia a peggiorare».
Rimane in silenzio e sospira. Si muove verso un cassetto della cucina e afferra una benda rosa. Come faceva a sapere che era lì? E perché ho una benda in casa?

«Vieni qui», mormora. Mi avvicino e mi fermo a pochissimi centimetri dal suo corpo. Con delicatezza posiziona la benda intorno alla mia testa, avvolgendola con attenzione. Le sue mani calde accarezzano leggermente le tempie mentre stringe il tessuto per formare un nodo saldo. «La pressione può favorire la circolazione sanguigna e può contribuire a rilassare i muscoli», spiega. «Di solito mi aiuta ad alleviare un po' il dolore»
«Grazie», la voce esce a malapena. Ho il cuore a mille.

Perché deve farmi sentire così vulnerabile? Potrei sciogliermi da un momento all'altro e mi ha solo messo una benda in testa.
«Adesso prova a dormire», ordina, ancora vicinissimo a me.
«Ci provo»
«Io resto qui», annuncia poi.
«Non è necessario», avvampo. «Sto bene, signore, davvero. Non è niente di grave. È la mia ordinaria routine»
«Resto qui», ripete con fermezza.
«Ma-»
«Non vuoi davvero discutere con me, agente Kelley», conclude con un sorriso tenero. Vuole uccidermi. Non c'è altra spiegazione. «Voglio essere qui nel caso tu abbia bisogno di qualcosa»

«Grazie», ripeto ancora. Voglio baciarlo.
Come si fa a non saltargli addosso?
Cammino verso il corridoio e poi mi blocco: «Ne è davvero sicuro? Insomma, potrebbe tornare a casa e...»
«Althea», m'interrompe. «Non voglio essere in nessun altro posto, va bene? E anche se tornassi a casa sarei comunque qui con la testa».
La sua risposta mi spiazza e le mie gambe tremano leggermente. Non trovo le parole per dire altro. Niente di niente.
Deglutisco e mi muovo piano per andare in camera da letto. Lui si ferma invece davanti al divano dove di certo crede di dover passare la notte.

Prendo fiato e conto fino a tre prima di parlare.
Uno.
Due.
Tre.
«Possiamo condividere il letto», propongo. «Quel divano è meraviglioso, ma è il più scomodo del mondo. Glielo assicuro»
«Andrà bene», declina la mia offerta.
«Lo dice solo perché non ci si è ancora sdraiato sopra. Per me non è un problema condividere la stanza e lei ha tutta l'aria di un uomo che non dorme da troppo tempo». Davvero. Ha l'aria esausta.

«Non credo sia una buona idea, Althea»
«Come preferisce», alzo le mani in aria e scelgo di non insistere. Gli porto delle coperte e due cuscini, poi lo saluto: «Buonanotte, signor Royden»
«Buonanotte», mormora, armeggiando con le coperte per sistemarle al meglio sul suo corpo.
Vado a struccarmi e mi preparo per mettermi a letto; infilo il pigiama rosa e faccio una smorfia nel vedere allo specchio la mia faccia pallida contornata dalla benda e gli occhi assottigliati per via del dolore.
Meglio mettersi a letto. Ho una pessima cera.

Mi sdraio e tiro le lenzuola fin sotto il mento, poi sussulto quando Evan bussa alla mia porta. Il mio battito cardiaco diventa frenetico quando gli dico di entrare e me lo ritrovo in camera da letto.
«Quel divano fa schifo», sibila. Sembra arrabbiato. Non vorrebbe essere qui.
Trattengo una risata vittoriosa e faccio un cenno con la mano in direzione della parte di materasso vuota accanto a me: «La mia offerta è sempre valida».
Non risponde.

Si muove nella stanza con naturalezza, come se sapesse esattamente dove si trova ogni cosa. Apre il terzo cassetto della cassettiera e tira fuori dei pantaloncini e una t-shirt nera. Sono sue quelle cose. Le avevo già notate prima.
Va a cambiarsi e poi torna da me. Si passa una mano tra i capelli e si sistema sotto le lenzuola. Sta odiando questa situazione.
Si mantiene a debita distanza ed io credo di essermi appiattita verso il lato opposto al suo. Intanto il mio mal di testa sta ballando la salsa. Come faccio a calmarmi? Ho la nausea.
E mi manca il fiato.

Chiudo gli occhi e provo a ad ignorare il pulsare delle tempie.
Lui sembra percepire il mio disagio: «Fa male?»
«Abbastanza, signore».
Si muove con lentezza verso di me e mi ritrovo a trattenere il respiro quando preme con le mani sulle mie tempie. I miei muscoli si rilassano e la tensione si riduce.
«Che magia è questa?».
Lui accenna una risata e dal modo in cui percepisco il suo torace abbassarsi e alzarsi contro la mia schiena capisco che è vicino. Molto vicino.
«Grazie, signore»
«Siamo nello stesso letto nel bel mezzo della notte e continui a chiamarmi signore», non lo vedo, ma so che sta sorridendo. Ne sono certa.

«Ad alta voce è tutto così sconveniente», mi scappa una risata che fa ridere anche lui.
«Un po'», ammette.
«Più di un po'»
«Buonanotte, agente Kelley. Riposati»
«Buonanotte, Evan».

Ciao a tutti!
Come state?
Eccomi tornata con un capitolo suuuuuper lungo.
E vi chiedo già di tenervi forte per il prossimo 😈
Non vedevo l'ora di arrivare a questo punto della storia 🫠🫠🫠
Fatemi sapere tutto: che pensate di Matthew? Dell'appuntamento?
E dell'apparizione di Evan in casa nel bel mezzo della notte? 🤣
Riuscirà Evan a reggere il peso di questa missione?
E chi cadrà per primo tra Evan e Althea?
Aspetto i vostri commenti  e ci tengo a ringraziarvi per il supporto.
Non scrivevo qui su Wattpad da davvero tanto tempo ed è meraviglioso vedere come siate ancora affezionati a ciò che scrivo.
Grazie.
Un bacio ❤️

Continue Reading

You'll Also Like

79.9K 5K 48
Clyde Evans è uno dei più bravi agenti dell'FBI. Dopo due anni di esperienza lavorativa nel dipartimento segreto più importante degli Stati Uniti d'A...
561K 23.1K 41
"Uno novembre. Ore zero quattro e sette di mattina. Il soggetto è esausto, sembra delirante. Si muove con lentezza nell'ombra, non reagisce agli stim...
213K 8.5K 35
Tutto era normale alla Major High School , i soliti gruppi, le cheerleaders, i giocatori di basket, i nerd, i secchioni, o almeno lo era finché una r...
80.8K 3.7K 30
Cosa succederebbe se una ragazza decidesse di scappare di casa, lontano dalle delusioni del fratello e della famiglia? E se con lei scappasse anche u...